MULTA
. Si dà oggi questo nome a una sanzione pecuniaria inflitta a una persona a titolo di penalità: in tal senso la multa è definita nel codice penale (art. 24) e in tutte le disposizioni di legge in cui una sanzione consimile è preveduta.
Nel diritto penale romano, tra i provvedimenti di polizia che il magistrato può emanare contro coloro che non ottemperano ai suoi ordini, si annovera la multae dictio, distinta dalla poena propriamente detta (Dig., L, 16, de verb. signific., 131,1) e concepita come pagamento di una data somma. Essa può surrogarsi anche a pene afflittive gravi e per reati gravi, oltre che per semplici fatti contravvenzionali. Tali multe non erano di solito stabilite in alcuna legge; quando la legge le prevedeva, si procedeva mediante azione popolare.
Nel Medioevo il sistema appare in grande favore: la multa sorge come devoluzione al fisco di una parte della composizione pecuniaria dovuta dal colpevole alla persona offesa dal reato. Si chiamò prima fredio; nelle leggi dei Burgundi tale somma riceve la denominazione di multa. Analogamente, si disse banno la pena pecuniaria dovuta per una trasgressione a ordini del re o dei suoi rappresentanti, in uso presso i Carolingi e, in Italia, sotto la dominazione di essi e nei principati e comuni. Queste pene pecuniarie, derivate dalle composizioni, si ammisero originariamente anche per i più gravi delitti, ma, via via, se ne restrinse l'applicazione ai reati di natura più mite, dopo averle inasprite notevolmente. Emanuele Filiberto annullò tutti gli statuti che comminavano pene pecuniarie per l'omicidio e per i delitti più gravi. Pietro Leopoldo, che fu un precursore in materia di politica criminale, istituì una cassa cui si devolvevano le multe incamerate dal fisco, allo scopo d'indennizzare le vittime degli errori giudiziarî.
In base all'art. 24 cod. pen., la multa appare commisurata alle condizioni economiche del reo, poiché si dispone che quando la multa possa considerarsi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice può applicarla fino alla misura tripla del massimo stabilito per legge. È un criterio di adeguamento della norma penale alla personalità del delinquente che armonizza con lo spirito del codice penale del 1930 (esempî in cui la multa può andare oltre il massimo, si hanno negli articoli 66 e 78 cod. pen.). Se la multa non è pagata, ha luogo, a carico del reo, la procedura coattiva. E quando il condannato risulti insolvente, si ammette la conversione della multa in reclusione, con un computo pari a un giorno di pena detentiva per ogni 50 lire di multa, con l'avvertenza che quando tale conversione si operi, non si possono superare complessivamente i quattro anni.
Si parla di multa, in materia civile, a proposito di mezzi straordinarî d'impugnazione delle sentenze: così, p. es., in caso di rigetto del ricorso in cassazione, il ricorrente è condannato a una multa.
Bibl.: C. Ferrini, Diritto penale romano, Milano 1899, p. 41 segg.; A. Pertile, Storia del diritto italiano, V, Torino 1892; U. Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, Milano 1932.