Mozi
Filosofo cinese (5°-4° sec. a.C.). Il suo nome personale (ming) era Di, ma fu noto anche come Mo Di. Poco si conosce della sua vita, se non che fu attivo in un periodo compreso fra la morte di Confucio (479 a.C.) e la nascita di Mencio (372 a.C. ca.) e che verosimilmente fu originario di una famiglia di artigiani. Studiò le dottrine di Confucio, ma ne divenne un acceso critico, contestando soprattutto il prevalente tenore aristocratico e la smodata pratica dei riti e dell’arte della musica. Il Mozi (➔) è il corpus testuale che offre la migliore prospettiva delle dottrine del maestro M. e della sua scuola, particolarmente attiva sin verso la fine del 3° sec. a.C. Contrario a qualsiasi principio di autorità, M. insegnò che il fondamento di ogni argomentazione o discriminazione (bian) deve discendere non tanto dalla soggettività dell’uomo quanto piuttosto dalla applicazione abituale di alcuni criteri: la conformità alle gesta dei sovrani della remota antichità, la sintonia con l’esperienza del popolo e la considerazione degli effetti benefici o dannosi prodotti. L’eccelsa saggezza del sovrano può essere percepita solo attraverso l’armonia e la prosperità diffuse. La principale preoccupazione di M. non fu di natura epistemologica: le contese umane si generano ovunque per la prevalenza della parzialità o delle molteplici forme di egoismo, tanto che l’agire umano null’altro è che una permanente guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). L’unico e appropriato modo per affrancarsi da tale intima disposizione umana all’interesse particolare o personale è la pratica di jian’ai, solitamente tradotto con «amore universale». Si tratta di un modus agendi che persegue l’interesse generale, vale a dire di tutti gli uomini indistintamente, e si rivela nella più ampia condivisione dei benefici materiali, nell’accrescimento demografico e nello stabilimento dell’ordine. Tale condotta è sostenuta implacabilmente dal Cielo (tian), che punisce coloro che agiscono contro ciò che è giusto, retto (yi), e ricompensa coloro che per contro vivono conformemente alla giustizia. Così il sovrano, figlio del Cielo, nulla decide su ciò che è giusto, poiché il Cielo ne è l’unica e assoluta fonte. Il caos è proprio il segno di una diffusa miscredenza, cioè dell’incapacità a credere che il Cielo possa scrutare gli uomini, giudicare le loro azioni e pertanto punirli o riconoscerne i meriti. Nell’azione retributiva il Cielo è poi coadiuvato da una ricca e variegata famiglia di divinità e di spiriti inferiori. Sono temi che più o meno tornano nelle dottrine della tarda scuola dei seguaci di M., il cui precipuo contributo resta però, come opportunamente sottolineato da Angus C. Graham, un’assai sofisticata dottrina della conoscenza, ben evidente nei capitoli 40-45 del Mozi, che contengono in parte anche il cosiddetto Mojing («Canone del maestro Mo»).