Motociclismo
Veemente dio d'una razza d'acciaio
motocicletta ebbra di spazio
che scalpiti e fremi d'angoscia
(Filippo Tommaso Marinetti)
La rivincita
dell'uomo
di Roberto Ronchi
25 settembre
Con il secondo posto nel Gran Premio della Malaysia, disputato a Sepang, Valentino Rossi su Yamaha si assicura con quattro gare di anticipo il titolo della MotoGP, mostrando, così come era accaduto nel 2004, quanto la capacità del pilota possa prevalere sulla superiorità tecnologica. Rossi è il terzo nella storia del motociclismo, dopo Mick Doohan e Giacomo Agostini, ad aver vinto per cinque volte consecutive il campionato della classe regina.
Tecnologia e piloti
Gli enormi progressi della tecnica e l'inarrestabile crescita del computer con le mille possibilità a esso connesse sembrano aver tolto spazio all'uomo, alle sue speranze, alle sue sofferenze. Ciò che una volta si conquistava con il sudore e con un grande impegno fisico viene servito facilmente da un chip, che si incarica di affrontare complessi e noiosi calcoli e rende possibili azioni una volta solo sognate. Questa constatazione assume valenza particolare negli sport del motore, dove la tecnologia è sempre stata un supporto fondamentale, consentendo di rendere i mezzi più forti e più potenti, nonché accessibili a un più ampio numero di persone, e dove le competizioni hanno sempre rappresentato il banco di prova di ogni innovazione. La ricerca del risultato migliore ha portato i tecnici a cercare soluzioni all'avanguardia da fornire ai piloti, a un punto tale che a volte si ha l'impressione che questi si siano quasi trasformati in accessori, ancora utili ma destinati a essere sempre più emarginati, senza grandi differenze tra l'uno e l'altro, mentre in futuro le competizioni si terranno piuttosto tra gli ingegneri dei vari team.
È vero, infatti, che l'industria ha sempre cercato nelle gare la conferma della bontà delle sue scelte, poiché l'utilizzo estremo di un qualunque componente ne mette in evidenza pregi e difetti e fornisce ai tecnici informazioni importanti per procedere nello sviluppo dei prodotti che poi arriveranno sul mercato.
Se le prime gare ciclistiche nacquero proprio con l'obiettivo di mostrare come le biciclette (non i ciclisti) sapessero resistere a grandi sforzi, tanto più questo concetto è stato esaltato dai mezzi meccanici, moto o auto, nave o aereo.
Addirittura si può dire che senza uno sviluppo tecnico gli sport del motore perdono parte del loro significato e quando ci si trova in situazioni che non lasciano spazio all'evoluzione tecnologica ci si interroga dove andare a cercare nuovi terreni da esplorare. Questo è accaduto quando il motociclismo ha prodotto con la classe 500 la sensazione di poter offrire poco alla ricerca. I vincoli che limitavano i tecnici erano molti: le moto dovevano avere una cilindrata massima di 500 cm3, il peso minimo era regolamentato a seconda del numero dei cilindri e questi, comunque, non potevano essere più di quattro. Certamente negli ultimi anni della classe 500 erano apparsi i motori big bang (ovvero con gli scoppi irregolari) e l'elettronica aveva cominciato a essere utilizzata in misura massiva (la Yamaha già nei primi anni Novanta aveva studiato la gestione elettronica delle sospensioni), ma gli spazi cominciavano a essere stretti. Inoltre tutta la ricerca non poteva essere riversata sulle moto in commercio che, a differenza di quelle che correvano i gran premi, erano praticamente solo a quattro tempi.
Questa serie di riflessioni e la ricerca di nuovi stimoli per mantenere vivo il campionato hanno fatto sì che nel 2001 sia stato varato un nuovo regolamento che permetteva alla moto a quattro tempi, con cilindrata fino a 990 cm3 e con un numero di cilindri libero, di gareggiare assieme alle vecchie due tempi.
Nel 2002 si è disputato con queste regole il primo mondiale MotoGP.
Il debutto della MotoGP
L'era di Valentino Rossi, allora, era già iniziata: il pilota di Tavullia si era laureato campione del mondo della classe 125 nel 1997 e si era ripetuto due anni dopo nella classe 250.
Nel 2000, quando la Honda si era trovata a dover sostituire l'australiano Michael Doohan, che le aveva portato nella classe 500 cinque titoli iridati consecutivi prima di concludere la sua carriera all'inizio del 1999 per una grave caduta nel GP di Spagna, non aveva avuto dubbi e aveva puntato sul giovane Rossi.
Il marchigiano aveva subito ripagato della fiducia la casa giapponese, arrivando primo già al nono gran premio, a Donington in Inghilterra, e iniziando così la sua straordinaria carriera nella classe regina. Aveva poi conquistato il mondiale nel 2001, l'ultimo riservato alle 500 a due tempi. Era logico puntare ancora su di lui in questa svolta epocale per il campionato.
Il reparto Ricerca e sviluppo della HRC (il settore corse della Honda) si impegnò al massimo per debuttare nel mondiale MotoGP con un mezzo che fosse all'altezza della tradizione del marchio.
Il risultato andò oltre ogni ottimistica aspettativa. Le Honda MotoGP umiliarono gli avversari: mostrarono una superiorità tecnica schiacciante vincendo 14 dei 16 gran premi con una facilità disarmante. Solo a stagione inoltrata la Yamaha poté ridurre il divario ottenendo due successi, uno dei quali propiziato dal cedimento della gomma posteriore di Rossi.
Si aveva l'impressione che per vincere il mondiale non fosse necessario essere un grande pilota, ma bastasse guidare una Honda. Questo in parte era vero: Tohru Ukawa, buon collaudatore ma certamente non un campione, riuscì a vincere il GP del Sudafrica, approfittando di un errore di Rossi, proprio grazie alle enormi prestazioni della Honda che gli consentirono di tenere a distanza gli altri avversari senza difficoltà.
Era la vittoria della tecnologia sull'uomo? Certamente qualcuno, e tra questi anche qualche manager della casa giapponese, iniziò a pensare che un grande pilota è importante, ma non indispensabile per il successo.
La tecnologia contava in misura sempre crescente e cresceva anche il controllo dell'elettronica sul mezzo, seguendo la strada aperta tra le auto dalla Formula 1 e riducendo sempre più i margini di errore del pilota.
Quando la tecnologia fa paura
Dopo due anni di incontrastato dominio, la stagione 2003 si aprì proponendo ancora l'accoppiata Rossi-Honda come l'avversario da battere, ma l'armonia tra pilota e costruttore non c'era più. Nel rinnovo del contratto erano emerse alcune divergenze che avevano caricato d'interesse, e di titoli sui giornali, la pausa invernale. La Honda cercava sì l'ennesimo successo nel mondiale ma cullava anche il sogno di portare un giapponese in vetta al massimo campionato delle due ruote. Il prescelto era Daijiro Kato, un giovane pilota che due anni prima aveva dominato sugli avversari nella classe 250. Con un pilota valido e tutta l'alta tecnologia che la HRC poteva mettergli a disposizione, l'impresa sembrava possibile e anche in tempi brevi.
La prima gara del campionato si corse proprio a Suzuka, sulla pista di proprietà della Honda, e per Kato fu preparato un vero gioiello ricco di risorse tecnologiche. Ma la tecnologia a volte tradisce. Durante il terzo giro del gran premio, la moto di Kato si imbizzarrì, sbandò, si lanciò verso l'esterno della pista mentre si doveva affrontare una chicane sulla destra. Il pilota non chiuse il gas, anzi la velocità inspiegabilmente aumentò e l'impatto contro il muretto di delimitazione della pista fu fortissimo.
I soccorsi arrivarono forse non abbastanza tempestivi; Kato fu ricoverato in condizioni gravissime all'ospedale di Yokkaichi, dove morì nelle prime ore del 20 aprile, il giorno di Pasqua.
Cos'era successo? L'unica inchiesta aperta, quella della Honda, non diede risposte, ma l'ipotesi più accreditata, e mai ufficialmente smentita, è che a causare l'incidente sia stato un problema al ride by wire, il raffinato sistema elettronico che sostituisce il comando del gas e che grazie a un computer può essere regolato in modo da affrontare al meglio varie situazioni in gara. Un ritardo nella chiusura del gas, un'accelerazione imprevista possono aver fatto perdere il controllo allo sfortunato Kato lanciandolo contro il muretto. Il dramma del giapponese ha fatto molto riflettere: l'uomo non appariva più in grado di contrastare la macchina, che sembrava poter decidere in forma autonoma il destino del suo pilota, poteva portarlo alla vittoria o trascinarlo alla rovina senza essere fermata.
Una scelta coraggiosa
Tecnologia che fa paura, dunque, ma comunque essenziale per vincere un titolo iridato. Rossi se lo aggiudicò, per la terza volta consecutiva nella classe regina. Le vittorie di Valentino avevano però questa ombra: era il pilota più bravo o guidava la moto più forte? Quanta percentuale del merito dei suoi successi era da attribuire alla moto che guidava? Bastava avere la Honda ufficiale per essere campione del mondo?
Alla fine del 2003 da questi interrogativi nacque la rottura insanabile tra la casa giapponese e il campione italiano. I tentativi di ricomporre il dissidio che allontanava sempre più i numeri uno dei piloti e dei costruttori fallirono. La Honda puntò su un pool di piloti di alto valore complessivo ma soprattutto sull'inesauribile fucina di idee innovative che provenivano dai suoi ingegneri; Valentino Rossi approdò alla Yamaha, la rivale di sempre della Honda, che mancava l'appuntamento con il titolo mondiale dal 1992.
Un'idea coraggiosa ma folle, quella di Rossi? Abbandonava la certezza di un'altra vittoria iridata per un'avventura senza grandi speranze, almeno nell'immediato futuro? Per i 'nemici' di Rossi la Honda aveva il mondiale in tasca ancor prima che questo partisse e anche molti sostenitori del marchigiano non pensavano alla possibilità di un successo immediato, bensì puntavano sulle sue capacità di alzare il livello tecnologico della Yamaha, portandola a competere tecnologicamente con la Honda grazie alle sue grandi qualità di pilota e collaudatore. Da una parte e dall'altra, tutti comunque erano convinti che la tecnologia fosse la grande risorsa necessaria per vincere il mondiale.
Fu un inverno difficile, lungo, pieno di collaudi (iniziati tardi per Rossi poiché la Honda non gli aveva dato il nullaosta per salire subito sulla nuova moto). L'italiano già primeggiò nei test IRTA a Jerez, il primo appuntamento ufficiale, anche se non valido per il campionato, di tutti i team. È vero che un giro al massimo spesso non vuol dire molto, in un gran premio non si può correre sempre oltre i propri limiti, rischiando a ogni metro del percorso per recuperare ciò che gli avversari guadagnano facilmente nei tratti di rettilineo semplicemente grazie alla potenza della propria moto. Però era un segnale importante, che non subito fu interpretato nel modo corretto.
Si dovette aspettare il primo gran premio dell'anno, sull'assolata pista di Welkom in Sudafrica, per scoprire che il talento di Rossi valeva ben più di qualunque progresso tecnologico. Affrontò la gara soprattutto sotto il profilo psicologico: voleva piegare il morale degli avversari e così realizzò il miglior tempo nelle prove del venerdì, il sabato conquistò la pole position abbassando di mezzo secondo il record precedente e domenica in gara attaccò subito, lanciandosi in un'imprendibile fuga; solo un coraggioso Max Biaggi gli tenne testa, in quattro giri fu anche davanti ma all'arrivo poté solo ammirare da una posizione privilegiata, a soli 210 millesimi di distacco, il trionfo dell'avversario. Poi vennero altri 15 gran premi (con la vittoria in 8 di essi), ma fu questo gran premio sudafricano a mostrare che la tecnologia non basta, che per vincere in moto il cuore del pilota e le sue doti sono più importanti. La vittoria a Welkom aprì nuovi scenari, chi aveva puntato sull'uomo avrebbe vinto, chi aveva scelto solo la tecnica si sarebbe dovuto arrendere.
Il fattore umano
Ma quando si punta sull'uomo si devono considerare anche i suoi sentimenti, le sue reazioni, le sue capacità di reagire di fronte alle difficoltà o nei momenti di grande tensione, e quello del 2004 è stato un campionato con grandi tensioni.
L'inizio fu caratterizzato da un sostanziale fair play. In Francia, a Le Mans, la Yamaha di Rossi si spense sulla griglia di partenza del giro di riscaldamento: per farla ripartire arrivarono tre meccanici, invece dell'unico consentito dal regolamento, ma la Honda non presentò reclamo e Rossi prese il via regolarmente. In Italia la Yamaha rese il favore non protestando perché Sete Gibernau, il rivale più pericoloso e allora in vetta alla classifica, aveva effettuato un sorpasso mentre erano esposte le bandiere gialle che lo proibiscono espressamente.
In Olanda si ebbe un primo segno che questa gelida sportività veniva cancellata: Rossi in testa, incalzato da Gibernau, frenò un po' troppo bruscamente, lo spagnolo lo tamponò e dovette rassegnarsi al secondo posto ma nei box il suo umore non era certo dei più allegri. Valentino minimizzò, lo spagnolo finse di abbozzare ma le sue dichiarazioni sembrarono molto forzate.
Si arrivò così in Qatar, tredicesima prova del mondiale. I meccanici della Yamaha 'gommarono' il posto in griglia di Rossi, cioè andando avanti e indietro con un ciclomotore di quelli che si usano negli spostamenti nel paddock lasciarono sull'asfalto un po' di pneumatico in modo da rendere meno scivolosa la piazzola di partenza. Si tratta di un'operazione proibita dal regolamento ma ampiamente tollerata che di fatto era stata effettuata anche a Rio in Brasile, dove la pista era piuttosto maltenuta. In Qatar la praticarono anche i meccanici di Biaggi. Questa volta, però, la Honda presentò reclamo e obbligò Rossi
(che aveva ottenuto l'ottavo tempo in prova) a partire dalla penultima posizione; ultimo era Biaggi penalizzato per lo stesso motivo dopo un analogo reclamo della Yamaha.
Il reclamo e la penalizzazione andavano oltre il semplice fatto sportivo: non bastando la superiorità sul piano tecnologico, la Honda voleva colpire Rossi sul piano umano e centrò in pieno il bersaglio. Valentino partì furioso, aveva propositi di vendetta e dimenticò le sue capacità di pilota; al quarto giro sorpassò con prepotenza, al limite del regolamento, Alex Barros; era quarto ma non gli bastava, mancavano ancora quattordici giri al traguardo, ma non volle aspettare, forzò, sbagliò e cadde.
Una macchina non avrebbe commesso quell'errore, ma anche in queste reazioni scomposte si vede la differenza tra gare tecnologiche e gare corse col cuore.
E una macchina non si sarebbe risentita, Rossi sì e a Sepang, una settimana dopo, rifiutò di stringere la mano a Gibernau (che considerava il 'mandante' del reclamo) quando quello voleva complimentarsi per la sua vittoria nel GP di Malaysia.
Dati a confronto
Un campionato con grandi emozioni, ma siamo proprio sicuri che la tecnologia non sia stata vincente e che il merito della vittoria finale sia da attribuire solamente a Valentino Rossi? L'ipotesi più facile da sostenere è che i consigli di Rossi abbiano permesso alla Yamaha un'evoluzione tecnica tale da portarsi a livello, o quasi, della Honda. Misurare lo sviluppo tecnologico non è facile, mancano unità di misura ben definite ed è impossibile calcolare la percentuale di influenza del pilota. Comunque qualche valutazione si può fare considerando i punti della classifica e i tempi realizzati in prova.
Valentino ha vinto il mondiale con 9 vittorie, esattamente come nel 2003, ma ha totalizzato 304 punti, 53 in meno dell'anno precedente e il suo vantaggio sul secondo in classifica è sceso da 80 a 47 punti. Gli altri piloti della Yamaha sono stati sempre inferiori a quelli della Honda e nella graduatoria finale dietro a Rossi si sono piazzate tutte e sei le Honda, l'ultima delle quali, quella di Nicky Hayden, con gli stessi punti di Carlos Checa, il primo dei piloti della Yamaha (Rossi escluso, ovviamente). Nei 16 gran premi, a parte le due corse da cui si è ritirato per caduta, solo in un'occasione, in Francia, Rossi, giunto quarto, è stato battuto da un compagno di marca, Checa, arrivato secondo.
Significativi i piazzamenti e il distacco dal vincitore del migliore pilota della Yamaha a parte Rossi: Sudafrica, Norick Abe 9° a 36"643; Spagna, Checa 6° a 1'07"184; Francia, Checa 2° a 1"671; Italia, Abe 7° a 5"842; Catalogna, Marco Melandri 3° a 13"923; Olanda, Melandri 3° a 9"909; Brasile, Abe 8° a 27"498; Germania, nessun altro pilota della Yamaha al traguardo; Gran Bretagna, Checa 6° a 17"110; Repubblica Ceca, Checa 6° a 21"181; Portogallo, Checa 5° a 17"966; Giappone, Melandri 5° a 23"577; Qatar, Abe 7° a 53"373; Malaysia, Checa 9° a 23"150; Australia, Checa 10° a 21"245; Valencia, Abe 10° a 31"537. Sono generalmente piazzamenti alti e distacchi rilevanti.
Molto interessante, inoltre, confrontare le prestazioni in prova nel 2003 e nel 2004 di due piloti che non hanno cambiato moto: Gibernau con la Honda e Checa con la Yamaha, entrambi spagnoli, entrambi alla guida di una moto ufficiale. Gibernau in 14 gran premi (non sono stati considerati il GP del Qatar che nel 2003 non era stato disputato e il GP della Repubblica Ceca le cui prove si sono tenute sotto la pioggia) ha complessivamente migliorato il suo record in prova di 16"746, ma in percentuale il tempo è inferiore rispetto a quello del 2003 di circa l'1,17%; Checa ha abbassato le sue prestazioni complessivamente di 12"118 e in percentuale dello 0,85%. Il divario che c'era tra i due nel 2003, 3"452, è più che raddoppiato, diventando 8"080.
Entrambi i piloti non hanno modificato la loro classifica: Gibernau è giunto secondo in entrambi gli anni e Checa settimo. Ultimo particolare, la Honda, malgrado la sconfitta nel mondiale piloti, è riuscita ugualmente a conquistare il successo nel campionato marche.
Le conclusioni sono scontate.
La Yamaha, è vero, si è evoluta, ma a un ritmo inferiore a quello della Honda. Il suo risultato complessivo è stato deludente, tre suoi piloti hanno sempre e comunque subito gli avversari, solo uno è stato capace di dominare su tutti: Valentino Rossi, che ha saputo sfruttare al massimo le minori risorse e rimediare con fantasia, coraggio, capacità di guida e condotta di gara all'handicap di prestazioni inferiori.
Dall'altra parte le risorse tecnologiche messe in campo sono state notevoli, le moto sono state modificate più volte. Già in occasione del GP di Spagna, seconda gara del mondiale, alla Honda
si studiò il controllo elettronico della trazione in partenza per dare più accelerazione e maggiore stabilità al via. Dopo il GP di Catalogna (sesta gara) Barros provò un motore evoluzione del V5, che equipaggia le moto ufficiali, caratterizzato fra l'altro da nuovo albero motore e nuovi alberi a camme; in gara il nuovo motore esordì al GP di Germania, giusto a metà campionato.
Da non trascurare il fatto che - cosa molto insolita - ai gran premi si sono visti sempre più spesso ingegneri e altissimi dirigenti della Honda, segno che la volontà di migliorare la moto era altissima e che Rossi faceva veramente paura.
In conclusione
Non si può negare che nel futuro la tecnologia sarà sempre più presente nelle moto. In aggiunta al controllo elettronico dell'erogazione, del comando del gas, della frizione, del freno motore, del cambio, delle sospensioni, la Ducati ha recentemente sperimentato la gestione elettronica del cambio e della frizione per ridurre fortemente sia in staccata sia in scalata l'effetto del freno motore.
Tutti i team, poi, avevano provato sistemi di trasmissione via radio con il pilota prima che il regolamento venisse modificato proibendo espressamente questa possibilità.
Ma la tecnologia non basta se l'uomo non la sa controllare e il campionato del 2004, che rimarrà una pietra miliare nella storia di questo sport, ha confermato l'importanza del pilota. Di quella stagione offrono un adeguato commento le parole pronunciate da Suguru Kanazawa, presidente della HRC: "Crediamo che il futuro sia rappresentato dall'impiego sempre maggiore dell'informatica e dell'elettronica, ma il computer sarà sempre al servizio dell'uomo, non lo potrà sopravanzare. In Honda da anni sviluppiamo la tecnologia applicata alla robotica, ma un robot non arriverà all'intelligenza umana. Così è anche nelle moto: bisogna sviluppare sistemi che aiutino l'uomo".
Valentino Rossi ha convinto anche i suoi avversari che l'uomo è il più importante.
repertorio
Storia dello sport motociclistico
Le origini
La nascita del motociclismo è databile al 1869, quando Sylvester Roper, di Roxbury, Massachusetts, per primo decise di applicare un piccolo motore a vapore al telaio di una bicicletta e appena terminata la costruzione del suo 'velocipede a vapore' cominciò a sfidare in velocità ciclisti e cavalieri. Oltre che primo costruttore e primo corridore, Roper fu anche la prima vittima dello sport motociclistico: nel 1896, sperimentando l'ultima versione del velocipede a vapore sulla pista di Charles River, cadde in pieno rettilineo, sembra a causa di un infarto provocato dall'ebbrezza del momento.
Ai suoi esordi lo sport motoristico, in mancanza di un preciso indirizzo industriale e di regolamenti collaudati e razionalmente mirati, accomunò auto, moto e tricicli. Le prime moto da corsa erano indifferentemente a due o tre ruote, in realtà, furono inizialmente preferiti i tricicli a causa dell'inaffidabilità dei modelli a due ruote. Uno di questi, dotato di motore bicilindrico di 1500 cm3 a 4 tempi raffreddato ad acqua, della potenza di 2,5 CV, fu prodotto in serie a partire dal 1894 dalla ditta tedesca Hildebrand & Wolfmüller. Nel 1895 fu iscritto alla prima grande corsa automotociclistica della storia, la Parigi-Bordeaux-Parigi, ma non giunse nemmeno al traguardo: il fallimento in gara precedette quello industriale.
Nel 1896 i fratelli Michel ed Eugène Werner brevettarono con il nome motocicletta la loro bicicletta a motore, in grado di battere, per affidabilità e velocità, la concorrenza dei tricicli sia su strada sia in corsa. Il pilota ufficiale della Werner, Bucquet, in sella alla prima motocicletta con motore posto al centro del telaio, nella posizione che ancora oggi occupa, fu il primo vero campione del motociclismo.
Già in quel periodo era intenso lo sforzo delle industrie motociclistiche per migliorare i prototipi da presentare in gara. Ci si accorse presto, tuttavia, della impossibilità di continuare a organizzare corse automotociclistiche, visto che alle moto non era ancora applicabile il rivoluzionario motore a scoppio, il cui iniziale ingombro era un limite accessibile solamente alle quattro ruote; conseguentemente la disparità di prestazioni era notevole. Dopo il tragico epilogo della Parigi-Madrid del 1903 (8 vittime nel solo tratto Parigi-Bordeaux) le competizioni fra città e città di auto e moto insieme furono abolite. Da allora in poi le automobili, in attesa della costruzione dei primi autodromi, utilizzarono i circuiti stradali, mentre le motociclette, oltre che nei circuiti, si cimentarono negli ippodromi e nei velodromi, entrambi assai diffusi anche nei piccoli centri.
Il 1904 fu un anno importante per le motociclette: in Francia fu organizzato, su un circuito di 54 km nei pressi di Dourdan, alle porte di Parigi, il primo Trofeo internazionale di velocità, riservato a squadre nazionali in sella a motociclette prodotte nello stesso paese rappresentato dalla squadra e con peso a vuoto non superiore a 50 kg. Questa iniziativa costituì l'embrione sia del campionato del mondo piloti e costruttori, che sarebbe stato ufficialmente istituito 45 anni più tardi, sia dei regolamenti tecnici e sportivi. Parteciparono cinque squadre, provenienti da Austria, Germania, Danimarca, Francia e Inghilterra. La gara però fu caratterizzata dalle irregolarità delle moto di casa, che arrivarono al punto di far spargere dei chiodi al passaggio dei piloti stranieri, e fu quindi annullata. Nonostante questo incidente, la volontà di perseguire l'obiettivo di un'internazionalizzazione del motociclismo portò alla fondazione della FICM (Fédération internationale des clubs motocyclistes; oggi FIM, Fédération internationale de motocyclisme), nel dicembre dello stesso 1904. Soci fondatori furono Francia, Austria, Germania, Belgio, Danimarca e Gran Bretagna; l'Italia non deteneva ancora quella leadership europea che avrebbe conquistato molti anni dopo.
Anche in Italia, tuttavia, stavano prendendo piede le competizioni motociclistiche, soprattutto nelle regioni settentrionali, maggiormente influenzate dalle innovazioni francesi. La prima gara fu la Torino-Asti e ritorno del 1895, alla quale seguirono numerose corse in salita, come la Susa-Moncenisio e la Sassi-Superga del 1902. Alla crescita del motociclismo in Italia diedero impulso anche le prime marche nazionali: Carcano, Bianchi e soprattutto Rosselli e Marchand. Vasta risonanza ebbe, nel 1904, una competizione organizzata dalla Gazzetta dello Sport e denominata 'Mille chilometri', con partenza a Milano e arrivo a Brescia dopo un percorso in quattro tappe di complessivi 972 km.
In questo primo periodo, tuttavia, i piloti di spicco preferivano concentrarsi sulle più spettacolari sfide in pista, che attraevano anche il pubblico degli scommettitori. Il massimo esponente dell'epopea dei pistards fu il francese Maurice Fournier, che colse successi sui velodromi di tutto il continente. Accanto a Fournier, godettero di grandissima fama in Francia tre piloti italiani: Giosué Giuppone, Vincenzo Lanfranchi e Alessandro Anzani. In quell'epoca gloriosa dei pionieri, a vere corse di alto contenuto tecnico e agonistico erano affiancate spesso, a puro scopo di cassetta, gare improvvisate e annunciate come 'campionato del mondo', ma prive di qualsiasi riconoscimento ufficiale. I record mondiali di velocità fiorirono ovunque, senza che nessuno li controllasse ufficialmente e ne certificasse la validità. Si tramanda l'impresa del pioniere americano dell'aviazione Glenn Hammond Curtiss, il quale nel 1907, per collaudare il suo motore d'aereo a 8 cilindri a V da 40 CV, lo montò su un telaio da motocicletta che lanciò su un rettilineo in sabbia battuta sulla spiaggia di Daytona Beach in Florida, facendo cronometrare una velocità media, sul miglio lanciato, di 219,450 km/h.
Nel 1905 la FICM organizzò il secondo Trofeo internazionale, ancora a Dourdan: la vittoria comportava anche lo spostamento della sede di gara nel paese natale del vincitore. Se la aggiudicò l'austriaco Vondrick, così che nel 1906 la manifestazione si svolse a Patzau, città boema dell'Impero austro-ungarico. Anche in questo caso gli organizzatori favorirono notevolmente le moto di casa, che infatti vinsero. La delusione per questa altra gara falsata portò gli inglesi Harry e Charlie Collier a cercare una formula innovativa, alternativa al Trofeo e alle corse nei velodromi. L'ostacolo maggiore era rappresentato dall'inderogabile limite di velocità di 32 km/h vigente sulle strade britanniche; si ovviò organizzando la gara nell'Isola di Man, che godeva di autonomia amministrativa. Si corse così il 28 maggio 1907 il primo Tourist Trophy, con particolari regole: esclusione dei prototipi a favore delle moto di serie adattate entro limiti precisi. Ad aggiudicarsi la corsa fu l'ideatore della stessa, Charlie Collier. Il Tourist Trophy divenne in breve tempo la gara motociclistica più importante del mondo, terreno di sfida sportiva e tecnica fra le industrie e i piloti inglesi e quelli del resto del mondo.
Non si era però spenta del tutto la passione per la pista, che trovò nuovo impulso nella costruzione dei primi autodromi, pensati soprattutto per le corse automobilistiche ma aperti anche alle motociclette. Il prototipo di tanti impianti che fiorirono in tutta Europa nei decenni successivi fu costruito nel 1907 a Brooklands, non distante da Londra. Sull'esempio del Tourist Trophy, in tutta Europa proliferarono i gran premi: in Francia nel 1912 si tennero quelli di Reims e di Francia (a Fontainebleau); in Italia lo stesso anno si disputarono la prima Targa Florio motociclistica e il primo Circuito di Brescia; altri gran premi furono organizzati in Germania, Belgio e Olanda. Intanto, dopo sei anni di inattività, conseguente al fallimento del Trofeo internazionale, venne rifondata nel 1911 la FICM, con la partecipazione del neonato Moto club d'Italia.
Nel 1924 Guido Mentasti con la Moto Guzzi 500 vinse la prima edizione del Campionato d'Europa in prova unica, una competizione che, divenuta a prove multiple legate da un punteggio nelle ultime edizioni prima della Seconda guerra mondiale, anticipò il successivo Campionato del Mondo.
Dall'altra parte dell'Atlantico, le corse avevano perlopiù seguito una strada diversa, quella del dirt track: si correva su piste ovali cortissime, di rado più lunghe di mezzo miglio, con moto estremamente potenti; quasi sempre il tracciato era in terra battuta e i piloti, per via della potenza e della scarsa aderenza, dovevano adottare una guida altamente spettacolare, in continua derapata.
Il Campionato del Mondo di velocità
Il Campionato del Mondo di velocità nacque nel 1949, sotto l'egida della Federazione motociclistica internazionale con l'intento di coordinare e valorizzare la dilagante attività agonistica frammentata nelle varie nazioni, mediante una serie di gare selezionate e collegate da un punteggio riservato a piloti e costruttori, così da poter proclamare ufficialmente, anno dopo anno, i migliori in senso assoluto nelle rispettive classi di cilindrata.
Negli anni il campionato è rimasto sostanzialmente immutato, a prescindere dalle varianti al regolamento che di volta in volta lo hanno adeguato ai tempi. Esordì con quattro categorie: 125, 250, 350 e 500. Per tutte le moto erano stati fissati importanti vincoli: abolizione dei compressori e pertanto della sovralimentazione e, con essa, dei carburanti speciali con percentuale di alcol e benzolo. Successivamente nuove norme di carattere tecnico imposero limitazioni ulteriori. Alla fine del 1957 furono abolite le carenature integrali, troppo costrittive per il pilota e pericolose in caso di maltempo. Dal 1962 il Campionato del Mondo si arricchì della classe 50. A partire dal 1970 fu limitato il frazionamento nelle diverse cilindrate: un cilindro la classe 50, due cilindri le classi 125 e 250, non più di quattro le classi 350 e 500, con cambio a sei rapporti per tutte. Dal 1977 entrarono in vigore nuove regole che riducevano la rumorosità allo scarico: era la condanna per i motori a quattro tempi. Nel 1983 fu abolita la classe 350. Nel 1984 la classe 50 lasciò il posto alla 80, poi cancellata nel 1989. Dal 1988 la classe 125 non poté avere più di un cilindro. Nel 2002 ha esordito la nuova formula MotoGP che mette a confronto le 500 due tempi con le 990 a quattro tempi di vario frazionamento: un ritorno alla libertà d'inventiva che ha caratterizzato periodi straordinari di questo sport.
Nel primo Campionato del Mondo, che esordì il 13 giugno 1949 con il Tourist Trophy, la 125 vide il successo di Nello Pagani dopo una lotta tutta italiana tra Mondial, Morini e MV Agusta; la 250 fu dominio della Moto Guzzi e della Benelli; nella 350 primeggiò l'inglese Velocette; nella 500, che si presentò subito come classe regina, si contesero il titolo Leslie Graham su AJS e Nello Pagani con la Gilera. Nella classifica finale i due finirono a pari punti, ma grazie a un cavillo la vittoria fu assegnata a tavolino a Graham.
Nei primi anni Cinquanta la 500 vide l'alternarsi dei successi di Umbero Masetti (Gilera) e Geoffrey Duke (Norton). Nel 1953 Duke passò alla stessa Gilera vincendo tre titoli consecutivi. Poi vide compromessa la sua carriera quando nel 1955 ad Assen appoggiò uno sciopero dei corridori privati e venne squalificato per i primi sei mesi del successivo 1956. Ne approfittò un'altra casa italiana, la MV Agusta, che in quell'anno vinse il suo primo titolo con John Surtees.
Le prime edizioni del Mondiale furono funestate da frequenti e gravi incidenti. I circuiti e le strade presentavano forti limiti e le cadute non si risolvevano in uno spettacolare ruzzolone negli spazi di fuga come oggi avviene. Nel solo 1951 persero la vita ben otto piloti italiani. Nel 1953 Leslie Graham morì nel tratto di Bray Hill al Tourist Trophy con la MV 500, dopo aver vinto pochi giorni prima la classe 125.
I costi di gestione, inoltre, cominciarono a lievitare notevolmente. I 'ritorni' erano insufficienti e Moto Guzzi, Gilera e Mondial, che non disponevano di quella commercializzazione mondiale che avrebbe poi spinto le squadre giapponesi a propagandare i loro prodotti con le corse, furono costrette al ritiro. Iniziò così nel 1958 un periodo di monopolio assoluto della MV Agusta: nelle 125 e 250 con Carlo Ubbiali, mentre nelle 350 e 500 trionfava Surtees, unico nella storia degli sport motoristici ad aggiudicarsi anche il Mondiale di Formula 1, con la Ferrari nel 1964. Nelle cilindrate minori tuttavia era già possibile notare l'evidente crescita delle prime moto giapponesi, la Honda e la Suzuki. Il pericolo si avvertì immediatamente perché l'evoluzione tecnica fu rapidissima, i fondi erano abbondanti e vennero subito ingaggiati alcuni fra i migliori piloti di lingua inglese. Nel 1961 la Honda era già in grado di vincere il suo primo Mondiale 125 con l'australiano Tom Phillis, mentre il titolo nella 250 andò a Mike Hailwood, che poi sarebbe diventato a giudizio di molti il più grande pilota del 20° secolo.
L'inizio degli anni Sessanta fu caratterizzato dalla superiorità di Hailwood, che trionfò quattro volte consecutivamente (1962-65) nella 500 con la MV Agusta, imponendosi contemporaneamente altre cinque volte con la Honda nelle classi 250 e 350. Successore di Hailwood alla MV Agusta fu Giacomo Agostini, 'strappato' alla Morini nel 1965 per correre inizialmente nella 350. L'anno successivo Hailwood passò alla Honda e Agostini in 500, dove si affermò subito, sconfiggendo dopo un appassionante duello proprio Hailwood, che si rifece nelle 350. Alla fine del 1967 la Honda si ritirò e Agostini poté facilmente aggiudicarsi un'impressionante serie di titoli in 350 e 500, ai quali affiancò dieci vittorie al Tourist Trophy, il successo nelle 200 Miglia di Daytona e Imola (con le Yamaha) e numerosi primati di volta in volta migliorati con puntiglio. Esigenza prioritaria di questo pilota fu anche battersi per la sicurezza dei circuiti: problema molto sentito all'inizio degli anni Settanta, soprattutto dopo la morte a Riccione il 4 aprile 1971 di Angelo Bergamonti, compagno di squadra di Agostini all'Agusta. Ingaggiato da Domenico Agusta, che vedeva scemare l'attrattiva dei campionati per l'uniformità dei risultati, sempre favorevoli ad Agostini, Bergamonti era parso il pilota ideale per ridare vivacità al Mondiale, ma fu vittima di un terribile incidente. Un esempio dell'intransigenza di Agostini nelle questioni di sicurezza è dato dalla clamorosa decisione di boicottare il Tourist Trophy, dopo la morte di Gilberto Parlotti alla guida di una Morbidelli nel 1972. Il suo esempio fu seguito da molti altri piloti fino a che la corsa dal 1977 perse la validità per il titolo. Nel 1973 al primo giro della corsa delle 250 a Monza morirono in un incidente multiplo il finlandese Jarno Saarinen e un altro italiano rivale di Agostini, Renzo Pasolini, della Benelli. I duelli tra i due avevano avuto un carattere epico e entusiasmato per anni gli appassionati italiani.
In seguito alla scomparsa di Bergamonti la MV affiancò ad Agostini prima Alberto Pagani, poi Phil Read, un pilota inglese duro e provocatorio con il quale Agostini si trovò così in disaccordo da decidere clamorosamente di passare alla Yamaha (1974). Dopo due stagioni di successi con la casa giapponese, tornò alla MV Agusta, per ragioni essenzialmente sentimentali, in un periodo in cui il motore a quattro tempi della moto italiana era chiaramente inferiore ai due tempi di marca giapponese. Alla fine del 1977 annunciò il suo ritiro dalle corse e intraprese una proficua carriera come team manager, che lo avrebbe portato a lanciare sulla scena mondiale altri grandi nomi, italiani e stranieri.
Il periodo post-Agostini nelle 500, dopo la doppietta dell'inglese Barry Sheene nel 1976 e 1977 con la Suzuki, fu caratterizzato dalle brillanti sfide dei piloti statunitensi in sella a moto giapponesi: aprì Kenny Roberts (Yamaha), che si aggiudicò i tre titoli dal 1978 al 1980. Protagonista di quegli anni fu Roberto Gallina, che allestì la prima grande organizzazione italiana per gestire una squadra con macchine giapponesi: il team Nava-Olio Fiat, che con una Suzuki quattro cilindri conquistò il titolo nelle 500 nel 1981 e 1982, con Marco Lucchinelli e Franco Uncini. Subito dopo ricominciò il dominio dei piloti americani, assistiti da grandi squadre che operavano per conto delle case giapponesi. Gli anni Ottanta e i primi anni Novanta videro così le affermazioni di Freddie Spencer (Honda), Eddie Lawson (Yamaha, Honda), Wayne Rainey (Yamaha) e Kevin Schwantz (Suzuki).
Abolite la 350 nel 1983, la 50 nel 1984 e la 80 nel 1989, le case italiane avevano, comunque, continuato a imporsi nella 125 grazie alle vittorie di Morbidelli, MBA, Minarelli e Garelli. Nel 1990 e nel 1991 il titolo 125 andò, invece, alla Honda, alla cui guida era il diciassettenne Loris Capirossi. L'egemonia giapponese fu interrotta nel 1992 dall'Aprilia con Alex Gramigni. La casa veneta restò poi molto attiva e conquistò, nel corso degli anni Novanta, cinque campionati 125, con Gramigni, Kazuto Sakata (due), Valentino Rossi e Roberto Locatelli, ottenendo successi anche in 250 con Max Biaggi (tre), Capirossi e Rossi, cui si sono aggiunti nel 2002 Marco Melandri e nel 2003 Manuel Poggiali.
Per quanto riguarda la 500, gli anni Novanta hanno visto la supremazia dell'australiano Michael Doohan sulla Honda, cinque volte campione del mondo tra il 1994 e il 1998. Nel 1999 Doohan fu vittima di una rovinosa caduta che lo costrinse al ritiro; lasciò, comunque, in eredità una straordinaria moto al compagno di squadra Alex Criville, che infatti vinse il titolo. Dopo una breve parentesi targata Suzuki, che nel 2000 è arrivata alla vittoria con Kenny Roberts jr., figlio del campione degli anni Settanta, il decennio attuale è stato dominato da Valentino Rossi, anch'egli figlio di un motociclista, Graziano.
Gli altri campionati
Campionato del Mondo sidecar. - I sidecar ebbero larga diffusione nella prima metà del 20° secolo, in quanto antesignani delle utilitarie. Vennero, perciò, inclusi al momento dell'istituzione del Campionato del Mondo velocità nel 1949, anche perché si trattava di veicoli che garantivano una grande spettacolarità in pista, a causa delle acrobazie che conduttore e passeggero dovevano compiere per bilanciare la forza centrifuga in curva. Inizialmente primeggiò la Norton, poi dal 1954 al 1968 ci fu un'ininterrotta serie di successi della BMW. In seguito arrivarono le case giapponesi, ma la categoria aveva ormai perso l'interesse del grosso pubblico, rimanendo la tradizione dei sidecar ancorata soltanto in Inghilterra e Germania. Dal 2001, dopo un decennio di sospensione, il campionato è stato riproposto e il titolo ha ricominciato a essere assegnato.
Campionato di endurance. - Le gare di questa specialità si disputano su distanze molto lunghe, da 200 miglia, senza interruzione, con durata fino a 24 ore. Sulle moto si alternano due o tre piloti, che si avvicendano effettuando i cambi durante le soste per il rifornimento e il cambio dei pneumatici. Il Campionato del Mondo esiste dai primi anni Ottanta. Dopo un iniziale impegno delle case costruttrici, l'interesse è andato riducendosi; inoltre, tappe molto popolari, come il Bol d'Or e le 24 Ore di Le Mans e Liegi, hanno rinunciato alla validità iridata per divergenze economiche. L'unico appuntamento 'storico' ancora valido per il mondiale, e molto ambito dalle case giapponesi, è la Otto ore di Suzuki.
Campionato superbike. - La superbike è una specialità nata in Australia alla fine degli anni Sessanta e poi diffusasi negli Stati Uniti. Vi concorrono copie dei modelli venduti per la circolazione, non prototipi come nel campionato di motociclismo. Uno dei cardini del successo è stata la stabilità della regolamentazione tecnica: le moto devono essere a quattro tempi derivati da modelli stradali e i costruttori devono produrre un numero minimo di esemplari di un modello (500 per le grandi industrie, 150 per le altre) per ottenere l'omologazione, cioè il permesso di scendere in pista. Il telaio non può essere modificato, mentre la preparazione del motore è libera, rispettando però la cilindrata. Come risultato si sono avute moto molto potenti, con circa 190 cavalli per una velocità superiore ai 300 km/h. Dopo l'iniziale affermazione nei paesi anglosassoni, la Federazione motociclistica internazionale ha varato la prima edizione del Campionato del Mondo nel 1988. Lo scontro è sempre stato tra la Ducati, che ha vinto 11 edizioni (4 con Carl Fogarty), e la Honda, vittoriosa in 5 occasioni con il solo intermezzo della Kawasaki nel 1993. Negli ultimi anni alcuni tra i maggiori piloti, come Troy Bayliss e Colin Edwards, si sono trasferiti nella MotoGP.
Campionato TT. - Il Campionato del Mondo Formula TT fu creato per ripagare gli organizzatori britannici dell'estromissione dal Motomondiale del Tourist Trophy, giudicato troppo pericoloso. Fu organizzato per la prima volta nel 1977, inizialmente in prova unica sul circuito dell'Isola di Man, in seguito su più gare, sempre su tracciati stradali. Le moto furono divise in tre categorie, ma la più potente (TT3) è stata abolita nel 1989 poiché ritenuta un doppione della superbike.
Campionato cross. - Il motocross è una gara di velocità su sterrato, con buche, salite, discese, ostacoli naturali e artificiali. La sua nascita risale, ufficialmente, al 1920, anno in cui venne scelto questo nome al posto dell'iniziale scramble. In Italia arrivò dopo la Prima guerra mondiale, ma si diffuse solo negli anni Cinquanta, grazie al romagnolo Francesco Costa. La prima competizione internazionale fu il Cross delle Nazioni, un confronto tra squadre nazionali inizialmente riservato alla categoria 500. Nacque nel 1947 e vide affermarsi subito la Gran Bretagna. Nel 1975 si organizzò anche il Trofeo delle Nazioni per la classe 250, poi nel 1981 fu istituita la Coppa delle Nazioni per le 125. Nel 1984 le categorie vennero unificate nel Cross delle Nazioni. Il primo campionato individuale, invece, fu organizzato a livello europeo nel 1952.
Campionato enduro. - Il nome 'enduro' è stato imposto dalla Federazione motociclistica internazionale una ventina d'anni fa, visto che in ogni paese questa specialità aveva una denominazione diversa (in Italia regolarità). Sono definite gare di enduro le corse con moto da fuoristrada che si svolgono su percorsi di vario tipo, nei quali i piloti devono rispettare medie di velocità chilometriche e tempi di transito ai vari controlli orari; ogni anticipo o ritardo viene penalizzato. Peculiarità della gara è che può transitare anche su strade aperte al traffico e, quindi, sottoposte alle norme della circolazione stradale. Lungo il percorso si trovano, poi, delle prove speciali. In pratica, si tratta di corse paragonabili ai rally in auto con tratti di trasferimento, dove i piloti devono rispettare i tempi di passaggio. Sono le prove speciali a creare la selezione. I Gran Premi di enduro sono generalmente organizzati in Europa. Una corsa autonoma, ricca di tradizioni, è la Sei giorni di enduro, che nacque nel 1913. È una competizione a squadre nazionali: alla vincente, fino alla metà degli anni Ottanta, è spettata l'organizzazione della corsa successiva.
Campionato speedway. - Lo speedway è una gara di velocità che si corre su piste di terra battuta di forma ovale. La peculiarità consiste nel fatto che le moto sono sprovviste di freni e cambio, costringendo i piloti a spettacolari derapate per effettuare le curve. Nacque all'inizio del Novecento negli Stati Uniti, ma si diffuse presto in Gran Bretagna e nel resto d'Europa. La prima edizione del Campionato del Mondo individuale è stata organizzata nel 1936. È stato strutturato come un torneo, con gare di qualificazione, semifinale e finale fino al 1994, quando vennero introdotti i gran premi, come nelle altre specialità. Dal 1960 esiste anche un Campionato mondiale a squadre.