MOTO
Astronomia. - I corpi celesti del sistema solare, per effetto del loro moto intorno al Sole, continuamente cambiano posizione fra le stelle fisse. Tale spostamento appare però a un osservatore posto sulla superficie della Terra notevolmente complesso in conseguenza del moto, che subisce l'osservatore stesso, per effetto dei diversi movimenti della Terra. Si designa con moto diurno l'arco descritto dal corpo sulla sfera celeste nell'intervallo di un giorno. È facile comprendere ora che per l'effetto combinato dei movimenti della Terra e del pianeta, o della cometa, codesto spostamento apparente non avviene sempre in uno stesso senso; e che, per es., a uno spostamento da E. verso O. segua, dopo un breve periodo di apparente sosta, un movimento in senso opposto, e quindi, ancora dopo una breve sosta, un movimento nel senso primitivo. Come e perché ciò avvenga, risulta chiaro dalla figura, ove s'immagini che in T1, T2, T3, T4 sieno rappresentate le posizioni di un osservatore in successivi istanti, e che negli stessi istanti il pianeta si trovi rispettivamente in P1, P2, P3, P4: esso sarà allora visto successivamente in P1′, P2′, P3′, P4′. Sicché fra P3′ e P4′ il senso del moto apparirà opposto a quello fra P1′ e P2′. Si chiama moto diretto quello nel quale sembra che il pianeta si sposti nel senso concorde dei movimenti, cioè da O. verso E., e retrogrado l'opposto.
Nel linguaggio astronomico le espressioni moto diurno, diretto e retrogrado hanno anche un secondo significato. Nel movimento dei corpi celesti intorno al Sole si designa come moto medio diurno l'arco descritto nell'intervallo di un giorno medio solare da un pianeta fittizio, che giri intorno al Sole nello stesso piano, in cui circola il pianeta vero, ma con moto uniforme, compiendo un giro completo dell'orbita nello stesso tempo impiegato dal pianeta vero. Si dice ancora che un corpo celeste del nostro sistema solare è dotato di moto diretto o retrogrado a seconda che col trascorrere del tempo le sue longitudini eliocentriche (v. longitudine) vanno aumentando o diminuendo: questo secondo caso, che mai si verifica per i pianeti, è invece frequente per le comete.
Moto proprio. - Si designa come moto proprio di una stella lo spostamento, che essa subisce sulla vòlta celeste in confronto al complesso di tutte le altre, considerate come immobili, e che è individuato dall'arco di cerchio massimo proiezione sulla sfera celeste della risultante della traiettoria effettiva della stella, e del suo movimento apparente, in conseguenza del moto effettivo del Sole, che si considera invece come fermo. Data l'enorme distanza che ci separa dalle stelle anche più vicine, pur essendo esse dotate di velocità notevoli, i loro spostamenti sono sempre tanto piccoli da sfuggire alla nostra vista. Per ciò rimangono per secoli e secoli sensibilmente inalterati gli aspetti delle configurazioni stellari costituenti le costellazioni. Chi per primo ebbe a rendersi conto della possibilità di tali moti proprî fu E. Halley, che, paragonando le latitudini di Aldebaran, Sirio e Arturo date nel catalogo di Tolomeo, con quelle da lui dedotte, ebbe a trovare differenze, rispettivamente, di 33, 37 e 42 minuti di arco, che non si potevano spiegare se non ammettendo spostamenti delle stelle stesse sulla vòlta celeste. Ma a quell'epoca mancavano osservazioni rigorose di posizioni stellari, che fossero distanziate in epoche sufficientemente lontane fra loro per rendere possibili le constatazioni sicure di tali moti proprî. Fu quindi solo più tardi che T. Mayer, confrontando i risultati delle proprie osservazioni con quelli ottenuti mezzo secolo prima da O. Römer, poté fissare con sufficiente esattezza il moto proprio di 52 stelle. Pochi anni appresso N. Maskelyne non solo confermò i risultati ottenuti dal Mayer, ma ne aggiunse ancora altri relativi a 12 stelle, e da quell'epoca, diventando sempre più numeroso e sempre più attendibile il materiale di osservazione, poterono esser constatati e studiati rigorosamente i moti proprî di un numero ognora crescente di stelle. Dobbiamo particolarmente a G. Piazzi, F. W. Bessel e F. Argelander nella prima metà del sec. XIX, ad A. Auwers, S. Newcomb, J. G. Porter, L. Boss, F. Küstner, ecc. più tardi, la parte essenziale delle nostre conoscenze a tale riguardo. Furono essi che, sottoponendo a un esame accurato e ad una critica minuziosa i risultati delle osservazioni fatte in epoche diverse, da osservatori diversi e con mezzi diversi, poterono determinare i moti proprî di molte migliaia di stelle, anche allorquando non raggiungevano che piccole frazioni di secondo d'arco all'anno.
Che si tratti in generale di spostamenti piccolissimi è dimostrato dal fatto che oggi non si conoscono che una cinquantina di stelle il cui moto proprio annuo sorpassa i 2″, e circa 200 che raggiungono 1″; sicché deve trascorrere circa un millennio perché appena 50 stelle si spostino sulla vòlta celeste di un tratto eguale al diametro della Luna, e quasi due perché a muoversi di tanto siano 200 stelle. Se poi si riflette ancora che poche di queste sono stelle brillanti e visibili a occhio nudo, ben si comprende come il fenomeno abbia dovuto tardare tanto, prima di essere osservato. La stella che secondo le cognizioni attuali dimostra il più rapido movimento proprio, è una di grandezza 9,4, e venne scoperta dal Barnard: si sposta di 10″,3 all'anno; la segue un'altra pur piccolissima, trovata dal Kapteyn, che si muove di 8″,7, e finalmente la Groombridge 1830, di grandezza 6,5, che si sposta annualmente di 7″,1. Solo al decimo posto troviamo la brillante Alfa del Centauro, che però non si sposta che di soli 3″,7.
Dal fatto che le stelle di maggior moto proprio non sono le più brillanti del cielo, non si deve arguire che non vi sia un certo nesso fra la luminosità e la grandezza del moto: è ovvio infatti, che le stelle, a parità di velocità assoluta di movimento, devono spostarsi sulla vòlta celeste tanto più rapidamente quanto esse sono a noi più vicine, e, poiché dallo studio delle parallassi risulta che in generale aumenta la parallasse col crescere della luminosità, si deve pur avere un' analoga corrispondenza anche con i moti proprî. Si trova infatti che la grandezza media del moto proprio delle stelle decresce da 0″,56 a o″,06 al decrescere della grandezza stellare dalla prima alla sesta. Ma di maggior evidenza e di maggiore interesse si presenta il legame fra le grandezze dei moti proprî e i tipi stellari. Limitandoci a considerare le sole stelle del catalogo fondamentale di Boss si trovano i seguenti valori dei moti propri espressi in centesimi di seeondo per le stelle dei diversi tipi:
Essi confermano nel modo più evidente quanto anche per altra via si è dedotto, che cioè le stelle di tipo F devono trovarsi a noi più vicine delle altre, mentre invece devono essere sensibilmente più lontane le A e particolarmente le N; e inoltre, che le velocità medie assolute, dedotte tenendo conto anche della componente, che si ritrae dalla conoscenza della velocità secondo la direzione della visuale e della parallasse, devono andar via via aumentando, con un minimo per le stelle della classe B e un massimo per la M (le stelle delle classi O ed N non si considerano in generale per il numero loro troppo esiguo). Come poi dallo studio della distribuzione dei moti proprî stellari nelle diverse regioni del cielo si sia potuto sceverare la parte dovuta al moto del Sole e constatare l'esistenza delle correnti stellari, è detto alle voci: correnti stellari; sole; stelle.
Bibl.: Sull'argomento generico: W. W. Campbell, Stellar Motions, New Haven 1913; A. S. Eddington, Stellar movements, Londra 1914. Sui metodi di determinazione di moti proprî: A. Auwers, Neue Reduction der Bradleyschen Beobachtungen, Pietroburgo 1882-1888-1903; L. Boss, Preliminary General Catalogue, Washington 1910; F. Küstner, Untersuchungen über die Eigenbewegungen von 335 Sternen, Bonn 1897; J. G. Porter, Catalogue of proper motion Stars, Cincinnati 1892. L'elenco più completo di stelle aventi moto proprio ben determinato è contenuto in R. Schorr, Eigenbewegungs-Lexicon, Hamburg-Bergedorf 1923, e nelle numerose appendici.