MOSTARDA da Strada
(Mostarda da Forlì). – Nato a Forlì verso la metà del secolo XIV da Ugolo da Strada, di oscure origini, è assente dalle fonti documentarie fino al 1379, quando partecipò con la compagnia di S. Giorgio, capitanata da Alberico da Barbiano, alla storica battaglia di Marino contro i bretoni ingaggiati dall’antipapa Clemente VII.
Dieci anni dopo, entrato agli stipendi della Chiesa romana, combatté su più fronti: nel maggio 1393 accorse a fianco di Carlo Malatesta alla difesa di Bertinoro, rivendicata da Pino Ordelaffi e il cui dominio era sempre stato motivo di contrasto tra i signori di Rimini e quelli di Forlì; poi si alleò con Luca di Canale, allorché questi conquistò Montegranaro, e con 400 armati a cavallo fece razzie nel territorio fermano impossessandosi di Monte Santa Maria delle Vergini (marzo 1394). Le ostilità nella Marca, che vedevano schierati Mostarda, Andrea Tomacelli, Giovanni da Barbiano, Conte da Carrara, i Malatesta e le città di Ascoli, Recanati, Macerata, Montecchio e Osimo contro Ancona, Fermo, Gentile da Varano e indirettamente i Montefeltro, erano però iniziate in precedenza e nel mese di dicembre 1392 Bonifacio IX, intenzionato a ripristinare la pace nella provincia, aveva deciso di avviare le trattative. Il 30 marzo 1393 si era raggiunto un accordo generale tra le parti: da un lato Andrea Tomacelli, i capitani al suo servizio, Osimo, Recanati e altri centri minori, dall’altro le città di Ancona e Fermo, Gentile da Varano, Guido Chiavelli di Fabriano, Guido Ottoni di Matelica, Sciarra Simonetti di Jesi, Onofrio Smeducci di San Severino e Benutino Cima di Cingoli. Tuttavia un elemento nuovo intervenne a turbare il processo di pacificazione in corso e fu la politica espansionistica perseguita dai fratelli Carlo e Pandolfo III Malatesta, i quali dopo aver occupato nel 1393 Recanati, Montelupone, Montefano e Filottrano, acquisirono nel maggio 1394 da papa Bonifacio IX il castello di Rocca Contrada, di grande importanza strategica per il controllo della Marca.
Altre incombenze militari impegnarono Mostarda sia a fianco di Paolo Orsini, con il quale aiutò le truppe di Bonifacio IX a rientrare a Roma e a cacciare i Colonna (autunno 1394), sia al soldo del rettore pontificio Andrea Tomacelli per contrastare Biordo de’ Michelotti, un nobile perugino esiliato durante le lotte di fazione scoppiate a Perugia, ma risoluto a diventare signore della sua città (aprile 1394).
Nell’aprile 1394 si stipulò il contratto di condotta tra Mostarda e Benedetto, vescovo del Montefeltro e vicerettore ecclesiastico nella Marca anconitana, in cui si stabilì che il salario per le prestazioni militari di Mostarda spettasse alle comunità locali, mediante la riscossione bimestrale delle cosiddette taglie. Periodicamente il comune di Montecchio (oggi Treia) era obbligato a sborsare a Mostarda una somma di 300 ducati. Così pure nel gennaio 1395 Mostarda, Luca di Canale, Piero di Castello e Neri da Faenza percepirono dai maceratesi 680 ducati a saldo dei compensi arretrati.
In tale precario contesto Mostarda agì tra Marche e Romagna: nel giugno 1395 venne assoldato con Luca di Canale dai comuni di Fermo, Ancona e Recanati per opporsi a Biordo de’ Michelotti; nel luglio dello stesso anno, assieme a Conte da Carrara, soccorse gli Ordelaffi in conflitto con i fiorentini e conquistò la bastia di Sodurano; infine nel dicembre aiutò i fuoriusciti guelfi ascolani a rientrare in città, dopo aver allontanato i sostenitori ghibellini del duca Andrea Matteo Acquaviva, che rivendicava diritti su Ascoli.
Nel corso delle sue imprese militari, Mostarda non aveva affatto celato l’ambizione di acquisire denaro e privilegi sui territori conquistati. Ciò lo portò, nel primo semestre del 1396, a ribellarsi alla Chiesa e a perseguire una politica del tutto personale ai danni delle comunità locali: dapprima si schierò con Luca di Canale, Piero da Castel Modenese e Neri da Faenza contro le truppe papali capitanate da Paolo Orsini, poi con Antonio da Camerino per sostenere gli esuli di Macerata ai danni del neoeletto signore della città, Antonio di Simonuccio.
La motivazione della defezione di Mostarda va ricercata nel fatto che i Comuni locali non erano sempre puntuali nei pagamenti. Dalle fonti archivistiche coeve è possibile ricostruire in maniera particolareggiata l’atteggiamento delle due parti: da un lato Mostarda e i suoi soci che esigevano la riscossione di tutta la quantità di denaro stabilita nel contratto di condotta con la Chiesa, dall’altro le autorità comunali intenzionate a dilazionare il dovuto in attesa di nuove disposizioni. Mostarda non si limitava solo a scrivere lettere minatorie agli inadempienti, ma spesso concretizzava il suo risentimento con improvvise rappresaglie nei territori dei Comuni restii ai pagamenti. Alle azioni intimidatorie seguivano poi vere e proprie operazioni militari dirette verso le località che gli si ribellavano.
Mostarda, che nel mestiere delle armi aveva trovato una crescente fonte di reddito, di prestigio e di potere, fu in condizione di esercitare nell’ambito delle vicende regionali un ruolo di un certo rilievo, grazie anche alla protezione dei Malatesta e alla costituzione di un piccolo Stato personale, comprendente il castello di Percozzone (Ripe) ubicato in diocesi di Senigallia unitamente ai vicariati di Montemilone (oggi Pollenza) e di Amandola, donatigli da papa Bonifacio IX (6 febbraio 1398).
In opposizione a Mostarda, Paolo Orsini tentò di coinvolgere i da Varano con i rispettivi aderenti, ma i signori di Camerino scelsero di restare neutrali e sollecitarono le comunità poste sotto il loro controllo a non parteggiare per alcuno dei due contendenti, attendendo il corso di nuovi eventi.
Ritornato agli stipendi della Chiesa, Mostarda giunse a Fermo (agosto 1396) e con l’aiuto di Conte da Carrara convinse Alessio di Montereale a restituire cento buoi e 26 prigionieri da lui razziati nel territorio di Monterubbiano. Nel 1397, per conto del legato pontificio, vigilava sulla città di Macerata al fine di prevenire eventuali attacchi da parte di Gentile da Varano; in seguito si spinse nel Piceno per reprimere un focolaio di rivolte ghibelline ivi scoppiate e ripristinare così il potere ecclesiastico. Riconquistò alla Chiesa Ascoli, Staffolo, Osimo, Montefilottrano, Montefano, Offagna, Montelupone, Castelfidardo e Numana (luglio 1397), distinguendosi per la durezza delle sue azioni.
Si adoperava, nondimeno, per il mantenimento del controllo papale in Umbria nelle turbolente giornate di guerra del 1398 contro il signore di Perugia, Biordo de’ Michelotti. Nei mesi di gennaio e di febbraio di quell’anno, affiancato da Pandolfo III Malatesta e da Bartolomeo da Pietramala, occupò il contado perugino ed entrò a Migiana di Monte Tezio e a San Marco. A seguito dell’assassinio di Michelotti (marzo 1398), la sua brigata attaccò Perugia per scacciare il partito popolare dei raspanti, poi, a fianco di Conte da Carrara, compì razzie nelle località limitrofe di San Valentino, San Montano, Capocavallo, Montemorcino, Maestà di Colonnata, Veggio, Prepo, San Vittorino, fino a invadere i territori di Cannara, Foligno e Spello ove si unì alle restanti truppe pontificie.
Alla fine della guerra umbra, Mostarda ritornò nella Marca e aderì al progetto espansionistico malatestiano verso sud: si mise, quindi, al servizio di Galeotto Belfiore Malatesta e di Ottobuono Terzi, i quali, però, subirono una disfatta a Cingoli (agosto 1399) dalle compagnie di Ceccolo Broglia e di Conte da Carrara.
Negli anni 1399-1400 la situazione della Marca era estremamente fluida e richiedeva un controllo più forte e pronto di quanto potesse offrire il debole apparato del restaurato governo papale. Il precipitare degli avvenimenti determinò da parte delle autorità pontificie la necessità di porre la provincia sotto il controllo di un nuovo condottiero. La scelta cadde su Paolo Orsini che, nominato capitano generale della Chiesa, svolse un ruolo fondamentale contro coloro che minacciavano lo stato ecclesiastico. Appena Orsini ebbe preso possesso del nuovo incarico, iniziò a pretendere da ogni Comune marchigiano gli stessi contributi erogati in passato a Mostarda, il quale nel frattempo continuava a imperversare nella provincia. In effetti per tutto il periodo compreso tra il 1399 e il 1400, le comunità locali dovettero far fronte, tra enormi difficoltà finanziarie, tanto alle continue richieste di pagamento di Mostarda, che si ostinava a difendere con i suoi soci i privilegi conquistati nella Marca, quanto alla corresponsione delle taglie pretese da Paolo Orsini, che faticosamente cercava di acquisire in loco potere e credibilità. I rapporti tra i due uomini d’arme furono improntati – come era prevedibile – a uno stato di forte tensione e rivalità e si aggravarono ulteriormente a seguito della violenta incursione organizzata alla fine di novembre 1399 dagli uomini di Paolo Orsini nel territorio di Montemilone, già vicariato di Mostarda.
La rivalità tra i due condottieri creava situazioni di malcontento generale, al punto da rendersi necessario un intervento immediato da parte del papa. Bonifacio IX agì su due fronti: da un lato, per mediazione del vescovo di Fermo Antonio de Vetulis, annullò ai centri di Osimo, Staffolo, Montefilottrano, Montefano, Offagna, Montelupone, Castelfidardo l’interdetto che era stato comminato loro per aver dato ricetto a Mostarda quando questi si era ribellato alla Chiesa; dall’altro concesse a Mostarda l’assoluzione da ogni censura ecclesiastica, ma nello stesso tempo lo allontanò definitivamente dalla Marca, impiegandolo altrove.
Agli inizi del 1402, Mostarda venne infatti assoldato dalla coalizione romano-fiorentina, tesa tutta al recupero delle terre umbre cadute in mano viscontea. Nel ruolo di capitani pontifici figuravano anche Conte da Carrara, Braccio da Montone, Paolo Orsini e Giovanni Tomacelli, fratello di Bonifacio IX. Nella primavera del 1402, Mostarda occupò Nocera Umbra e la sottrasse al controllo di Ceccolino de’ Michelotti, poi attraversò con le sue truppe i contadi di Perugia e di Brufa, compiendo ovunque razzie. La città di Gubbio, sentendosi minacciata dalle sue milizie, si appellò, tramite Carlo Malatesta, a Guidantonio di Montefeltro, per giungere a patti con Mostarda dietro pagamento di una taglia di 1000 fiorini d’oro.
A seguito della morte di Gian Galeazzo Visconti (1402), Firenze, il papa e i fuorusciti perugini, guidati dai nobili Giacomo degli Arcipreti, Ruggero dei Ranieri, Braccio e Guglielmo dei Lancellotti, schierarono nuove forze per attaccare Perugia: ai comandanti ecclesiastici si unirono i capitani fiorentini Crasso da Venosa e Bindo da Montopoli. Nel frattempo Mostarda si accampava presso Pila e compiva incursioni nei castelli limitrofi. I raspanti di Perugia, i quali avevano chiesto alla duchessa di Milano Caterina Visconti l’aiuto di Ottobuono Terzi, ottennero qualche successo militare nel gennaio 1403, quando sconfissero nell’assisiate Mostarda, Braccio da Montone e Conte da Carrara, non senza gravi perdite per l’esercito pontificio. Malgrado ciò i perugini non riuscirono a difendere il territorio dalle incalzanti scorrerie dei condottieri papali, né a mantenere il controllo su Assisi, per cui Caterina Visconti decise di pacificarsi con il papa e di restituire alla Chiesa, anche a nome del figlio Giovanni Maria, Bologna, Perugia e Assisi (11 ottobre 1403). Il 20 novembre 1403 Giovanni Tomacelli entrò trionfante a Perugia accompagnato da Mostarda e da Conte da Carrara.
La crescente popolarità di Mostarda, che si era anche accattivato le simpatie del neoeletto papa Innocenzo VII (17 ottobre 1404), acuì l’inimicizia nei suoi confronti da parte della casa Orsini, che vedeva in lui un ostacolo alla carriera militare di Paolo. Nell’agosto 1405 Mostarda e Paolo Orsini si trovavano a Roma, per dispiegare le loro forze militari in difesa di Innocenzo VII. I romani, sostenuti dal re di Napoli Ladislao, erano infatti insorti contro il pontefice, costringendolo ad abbandonare la città e a mettersi in salvo a Viterbo. Giunti in suo soccorso, i due condottieri sconfissero gli avversari ai Prati di Nerone e obbligarono i romani a richiamare il papa.
È in questo clima di violenza che, il 23 settembre 1405 Mostarda «per invidiam interficitur» (Braccii Perusini vita…, 1929, p. 20). In realtà Antonio di Pietro dello Schiavo (1917, p. 10) e gli Annales Forolivienses… (1903-09, p. 82) danno due versioni sulla sua morte, avvenuta a Roma per mano degli Orsini: il primo sostiene che Mostarda fosse stato ucciso in un’imboscata da Antonio Orsini o dai suoi familiari e poi sepolto nella chiesa di S. Petronilla, nel rione Colonna; i secondi attribuiscono la responsabilità del delitto a Paolo Orsini, che avrebbe trucidato Mostarda in una sala del palazzo pontificio alla presenza di Innocenzo VII.
Alla sua morte, Mostarda lasciò due figlie femmine (di cui le fonti tacciono il nome) e i cinque maschi Gian Rainaldo, Regolante, Giovanni, Ludovico e Antonio, avuti da una certa ‘donna Alessandra’ di oscure origini. I discendenti, ancora bambini, vennero posti sotto la tutela del signore di Rimini, Carlo Malatesta, e della di lui moglie Elisabetta Gonzaga, i quali si impegnarono nell’amministrazione dei beni lasciati in eredità da Mostarda.
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