MOSÉ
È il personaggio che nella Bibbia appare come liberatore del popolo ebraico dall'Egitto, e suo organizzatore e legislatore nel deserto (v. ebrei).
Nome. - Il nome in ebraico è Mōsheh, e in Esodo (II, 10) gli verrebbe attribuito il significato di "estratto dall'acqua", con allusione al suo salvamento dal fiume fatto dalla principessa egiziana (v. appresso). Questa etimologia è di tipo popolare, come altre nella Bibbia; esiste in realtà un verbo ebraico mashah, "tirare" "estrarre", ma in tale relazione il nome significherebbe "estraente" e non "estratto". Flavio Giuseppe (Antichità giud., II, 9, 6), seguito da qualche moderno, spiega il nome affermando che "gli Egiziani chiamano l'acqua μῶ e ὐσῆς i salvati dall'acqua": i quali due vocaboli sono stati riavvicinati al copto mō "acqua", e uge "salvato". Tuttavia la massima parte dei moderni preferisce vedere nel nome in questione il vocabolo egiziano m s (w), "ragazzo" "figlio", che entra frequentemente nella formazione di nomi proprî egiziani.
Secondo il raccondo biblico, M. nacque dalla stirpe di Levi (v.), mentre gli Ebrei in Egitto erano perseguitati. Sua madre, invece di gettarlo nel fiume, secondo i decreti della persecuzione, lo depose nella giuncaia dentro una cesta; ivi fu trovato dalla figlia del faraone che lo prese con sé (un avvenimento analogo è raccontato circa la nascita di Sargon, re babilonese del III millennio a. C.). Educato alla corte egiziana, M. vi rimase circa 40 anni, mentre i suoi connazionali Ebrei erano oppressi. Vedendo egli un giorno un ebreo bastonato da un egiziano, uccise l'egiziano, quindi, per sfuggire alla vendetta del faraone, si ritirò nel deserto di Madian. Ivi ebbe la rivelazione del Dio degli Ebrei, che gli comunicò il suo nome personale di Y H W H (v. Jahvè), e gli diede l'incarico di tornare in Egitto per liberare e farne uscire il popolo ebraico. Frattanto il faraone che regnava al tempo della fuga di M. era morto, il successore rispose però con una ripulsa a M., presentatosi a domandarvi il libero esodo degli Ebrei. M. ricorse al potere taumaturgico datogli da Jahvè per la sua missione, e richiamò sull'Egitto le "dieci piaghe", o punizioni divine, in fine delle quali il faraone diede il permesso. Adunato il popolo e celebrata per la prima volta la pasqua ebraica, M. e gli Ebrei si misero in viaggio verso il deserto di là dal Mar Rosso; rincorsi dall'esercito del faraone, che voleva di nuovo trattenerli, M. miracolosamente fece travolgere gli Egiziani dalle acque del guado su cui si erano inoltrati gli Ebrei. Di là M. col popolo si diresse al sud, verso il monte Sinai, ove ebbe molte rivelazioni da Jahvè, ricevendone il decalogo (v.) e altre leggi per il popolo, e organizzò il culto ebraico. Dopo circa un anno di permanenza al Sinai, ripartì per entrare nel Canaan (Palestina).
Giunto a Cades, avvenne ivi un fatto a cui la Bibbia accenna in modo assai vago, ma in forza del quale Jahvè punì M. escludendolo dall'entrare nel Canaan: probabilmente si trattò di una debolezza di M. nell'impedire qualche atto idolatrico degli Ebrei, il quale poi causò un'ampia apostasia del popolo. Il fatto doveva esser noto nell'antichità, ma dai testi biblici è stato fatto scomparire (salva deboli tracce), verosimilmente per riverenza a M. Dopo circa 40 anni di permanenza nel deserto, con centro su Cades, si ripartì di qui per conquistare il Canaan. Terminata la conquista della Transgiordania inferiore e media, e insediatavi parte del popolo, M. morì sul monte Nebo, poco di là dal Giordano al suo sbocco nel Mar Morto, contemplando da lontano quella Terra Promessa in cui non poté entrare per la punizione divina.
La figura di M. è stata oggetto d'innumerevoli ricerche critiche recenti. Oggi quasi concordemente si ritiene che la sua figura sia strettamente storica e personale, essendo state abbandonate le varie interpretazioni che ne facevano un eroe mitico; parecchi tuttavia rigettano come favoloso il racconto relativo alla sua nascita e salvamento: altri suppongono che egli fosse ministro di un presunto santuario madianita di Cades.
La questione cronologica si riconnette con quella di tutta la storia degli Ebrei e specialmente del loro ingresso nel Canaan. Oggi le opinioni più seguite sono due, ritenendosi che M. sarebbe fiorito o sotto la dinastia egiziana XVIII, ovvero sotto la XIX; nel primo caso il faraone persecutore degli Ebrei sarebbe Tḥutmóśe III (prima metà del secolo XV a. C.) e il faraone dell'esodo sarebbe Amenḥótpe II o III (seconda metà dello stesso secolo); nel secondo caso il persecutore sarebbe Ramessêśe II (1292-1225?), e quello dell'esodo sarebbe Merneptáḥ (1225-1215?). La seconda opinione sembra avere più verosimiglianza.
Bibl.: V. bibl. alla voce ebrei, Storia; cfr. bibbia; pentateuco; inoltre, G. Rawlinson, Moses, his life and times, 2ª ed., Londra 1887; H. Gressmann, Mose und seine Zeit, Gottinga 1913; M. Vernes, Sinaï contre Kadès, Parigi 1915; E. Sellin, Mose und seine Bedeutung für die israel.-jüdaische Religionsgeschichte, Lipsia 1922; P. Volz, Mose u. s. Werk, 2ª ed., Tubinga 1932.
L'"Assunzione di Mosè".
A. Ceriani pubblicava nel 1861 da un palinsesto bobbiese del sec. V-VI un curioso scritto, che dava come il testamento profetico di Mosè a Giosuè, redatto in latino corrotto, ma completo, tranne le immancabili lacune d'una pergamena soprascritta (Monumenta sacra et profana, I, fasc.1, Milano 1861). Mancava il titolo; ma gli studiosi lo chiamarono "Assunzione", titolo però che si adatta al contenuto molto meno di "Apocalisse". Di Assunzione (Ανάληψις) di Mosè parlano tre scrittori alessandrini, Didimo, Clemente, Origene, ma a proposito della lettera di Giuda Taddeo, dicendo che la storia della disputa del demonio sul cadavere di M. era registrata in una cotale Assunzione di Mosè: nel nostro scritto non c'è nulla di tutto questo.
Nello scritto M. riconnette, al modo solito apocalittico (v. apocalittica, letteratura), la storia del suo popolo con le future sventure. L'anonimo Scrittore è sfiduciato: "i sacerdoti dell'Altissimo" sono i re mentre il restante della classe, dalla quale pure dovrebbe attendersi risveglio e aiuto, è imbelle e servile. I dati cronologici non sono trasparenti: deve essere morto il "Re non di stirpe regia, distruttore dei capi delle famiglie, d'un lungo regno di trentaquattro anni", difatti si dice che i suoi figli avrebbero regnato meno di lui. Questo "re" sembra essere Erode il Grande; ma i figli suoi, tranne Archelao, regnarono a lungo. Si ritiene generalmente che l'autore intenda parlare della Palestina. Rimane invece misteriosa la figura di un certo "Taxo" che con i sette figli fa il patto di digiunare per tre giorni, per poi ritrarsi in una caverna, attendendo gli estremi fati nazionali. Tuttavia Israele alla fine trionferà e sarà elevato sul dorso d'un'aquila fino al cielo delle stelle, mentre i nemici porteranno la loro ignominia sulla terra; questo trionfo avverrà 250 "tempi" (forse settimane di anni) dalla morte di Mosè, e pertanto, nel calcolo comune presso i Giudei, all'anno 4250 dalla creazione. Essendovi nominato un "Re dell'Occidente", che brucia la casa dei Giudei e crocifigge i figli, si può assegnare lo scritto almeno dopo la campagna di Varo del 4 a. C. (Flavio Giuseppe, Ant. giud., XVII, 10, 2, 10).
Non paiono decisivi gli argomenti recati da taluni per dimostrare un originale ebraico dello scritto, che ha invece tutta la probabilità, stante la pochezza dell'ispirazione e del contenuto, d'essere un'esercitazione letteraria d'un giudeo occidentale, ispiratosi a soliti motivi senza nulla di veramente determinato. I tentativi fatti per interpretare il nome Taxo col procedimento cabalistico detto ghematria sono stati vani.
Bibl.: R.H. Charles, The Assumption of Moses, Londra 1867; G. Hölscher, Über die Entstehungszeit der Himmelfahrt des Moses, in Zeitschr. neutest. Wiss., XVII (1916), pp. 108-128, 149-159; J. Loeb, Le Taxo de l'Assumption de Moïse, in L'Univers. Isr., XXXV (1850), pp. 41-49; G. Kuhn, Zur Assumptio Mosis, in Zeitschr. ältest. Wiss., XLIII (1925), pp. 124-129.