BONAVOGLIA ('Ḥefeṣ ), Mosè de' Medici
Nato a Messina verso la fine del Trecento, il B. - Bonavoglia è l'equivalente dell'ebraico 'Hefes - sembra aver ottenuto assai presto, per motivi che non conosciamo, la stima e l'affetto dei sovrani aragonesi. Infatti nel giugno del 1416, l'infante Giovanni, viceré di Sicilia, inviava, a nome del fratello re Alfonso V, una missiva al rettore dello Studio di Padova raccomandandogli Mosè de' Medici, che si recava colà per perfezionarsi negli studi di medicina.
È da presumere che il B. già non fosse più giovanissimo; infatti tornato in Sicilia, appena quattro anni dopo, il 9 giugno 1420, gli venne conferita la carica di "giudice generale di tutti gli Ebrei del Regno", un ufficio che, evidentemente, non poteva essere affidato che a persona matura di senno e di esperienza, e che era il più elevato fra quelli attribuiti agli Ebrei dimoranti in Sicilia. Chi lo occupava era designato, nel parlare comune, come dienchelèle, corruzione del titolo ebraico di dajànkelalì o "giudice generale"; tra gli Ebrei era detto anche nagghìd o "capo, presidente".
Questa suprema magistratura, la quale aveva per compito di giudicare in ultima istanza tutte le cause civili fra Ebrei in cui fosse applicabile il diritto mosaico, era stata istituita per la prima volta nel 1392 a favore della giudecca di Siracusa; nel 1398 fu poi fatta valere per quelle di Palermo e di Messina che, con Siracusa, formavano il trio delle maggiori giudecche dell'isola. Successivamente, questa magistratura fu estesa anche alle altre minori, ma numerose giudecche siciliane; presso le più importanti, il dienchelèle poteva deputare propri sostituti. Fu appunto con giurisdizione su tutta la Sicilia che la carica venne commessa a "magistro moysy medici de bonavogla Iudeo de messana arcium et medecine doctori ac regio medico familiari ac fideli", come sarà designato in un documento di poco successivo.
L'esercizio di questa magistratura si scontrava però con forti interessi contrari. Da una parte, vi si opposero i giudici civili e il vescovo, che vedevano così sottratti alla propria competenza quelli fra i litiganti ebrei che avrebbero preferito di essere giudicati secondo la legge comune e non secondo quella ebraica. Dall'altra, le erano avverse le aliame, e cioè le università ebraiche, che dovevano rimettere in ultima istanza la cognizione di cause fra Ebrei a una terza persona la quale, anche se ebrea, era fortemente ligia alla persona e, quindi, agli interessi del sovrano. Il gioco di queste correnti contrastanti rese agitatissimo per il B., come già per i suoi antecessori, il mantenimento di questa carica. Il 6 giugno 1421 re Alfonso, aderendo alle insistenze delle giudecche, abolì la carica di dienchelèle e riconobbe loro nuovamente le attribuzioni giurisdizionali in ogni grado di cui avevano goduto precedentemente. Poco più di un anno appresso, però, - il 18 nov. 1422 - lo stesso re dichiarò nulla l'abolizione e reintegrò il B. nell'ufficio di giudice generale, confermandogli anzi la nomina a vita. Nel 1433, e forse prima, le giudecche di tutto il Regno riuscirono nuovamente a liberarsi da questa magistratura, pagando un forte compenso all'erario regio; ma anche questa volta l'abrogazione non fu di lunga durata, perché Alfonso, il 2 ott. 1438, ripristinò l'ufficio di giudice generale degli Ebrei, assegnandolo nuovamente al Bonavoglia. Anzi, ciò stabilito, resistette a una richiesta di abolizione avanzatagli non dalle giudecche, ma dall'università cristiana di Palermo. Così il B. potette esercitare, di fatto o solo di nome, questa carica fino alla sua morte nel 1446. Infatti, trovandosi a Napoli al seguito di re Alfonso, egli delegò temporaneamente le sue mansioni a due sostituti, un cristiano e un ebreo; quest'ultimo era il fratello rabbino Isacco Bonavoglia. Appena morto, i contrasti intorno a questa magistratura tornarono a scoppiare più violenti di prima; pochi mesi dopo, nel febbraio del 1447, il combattuto ufficio di giudice generale degli Ebrei veniva abrogato, e per sempre.
Queste peripezie, occorse al B. nella sua veste di supremo magistrato sugli Ebrei, non si ha notizia che dipendessero da suoi difetti di competenza o di integrità. Era noto per eloquenza e per dottrina, era indubbiamente uomo di corte, ma non era neanche indifferente alle istanze che gli facevano pervenire i suoi correligionari. Dopo che, nel febbraio del 1429, re Alfonso ebbe obbligato gli Ebrei di Sicilia ad assistere alle prediche di fra' Matteo di Agrigento dell'Ordine dei minori, costoro si rivolsero al Bonavoglia. Egli non solo riuscì a ottenere la revoca dell'ordine nel gennaio di due anni dopo, ma passato qualche mese, e precisamente il 29 luglio 1431, ottenne anche a favore degli Ebrei una di quelle non infrequenti declaratorie di conferma di passati privilegi e di remissione di delitti, il cui scopo non ultimo era quello di impinguare le casse regie. La somma dovuta sborsare fu ottenuta dal B. con prestiti raccolti al di fuori, per i quali ricevette poi con difficoltà la copertura da parte delle giudecche.
La perizia del B. sia nel campo della legge ebraica sia in quello della medicina generale doveva essere eccezionale. Ma si trattava di un connubio non del tutto fuori del comune in mezzo agli Ebrei: per rimanere soltanto nella Sicilia, dei cinque individui che occuparono la carica di dienchelèle, quattro erano contemporaneamente medici. Vi è da aggiungere, però, che nel B. la qualifica di medico non era soltanto un titolo a cui non corrispondeva una pratica effettiva e felice. Abbiamo sopra accennato come, per lo meno dal 1420, in un documento ufficiale egli fosse citato come medico personale del re. Questi, nel 1431, gli concesse inoltre il privilegio di poter assumere in cura qualsiasi cristiano. Quando poi il re mosse alla conquista di Napoli - dove assunse il titolo di Alfonso I - volle che il B. lo seguisse come medico curante e rimanesse poi al suo fianco. Non è da escludersi che proprio a Napoli il B. finisse i suoi giorni.
Fonti e Bibl.: Il materiale documentario sul B. è tutto in B. e G. Lagumina, Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia, I, in Atti della Società siciliana di storia patria, I (1884), docc. CCLXIII, CCXCIII, CCCI, CCCV, CCCXXV, CCCXXXIV,CCCXXXVI,CCCLIX,CCCLXXI, CCLXXIV. Prima di tale raccolta, notizie non del tutto esatte erano state fornite da: G. Di Giovanni, L'ebraismo nella Sicilia, Palermo 1748, pp. 109-13; L. Zunz, Storia degli ebrei in Sicilia, in Arch.stor. sicil., n.s., IV (1879), p. 78; L. La Lumia, Gli ebreisiciliani, in Studi di storia sicil., Palermo 1870, II, pp. 14-16; M. Guedemann, Geschichte der Erziehungwesens und der Cultur derJuden in Italien währenddes Mittelalters, Wien 1884, II, pp. 275-76; F. Lionti, Docc. relativi agli ebrei di Sicilia, in Arch. stor.sicil., n.s., IX (1884), pp. 328 ss.; X (1885), pp. 131 ss. Dopo la pubblicazione della raccolta dei Lagumina hanno potuto dare un quadro più preciso: L. Senigaglia, La condizione giuridica degliebrei in Sicilia, in Riv. ital. di sc. giurid., XLI (1906), p. 98; N. Ferorelli, Gli ebrei nell'Italia meridionale, Torino 1905, p. 71; V. Colorni, Legge ebraica e leggi locali, Milano 1945, pp. 313-18; C. Roth, The History of the Jews of Italy, Philadelphia 1946, pp. 236-40; A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963, pp. 482-83; Encicl. Ital., VII, p. 393; Jewish Encyclopedia, III, p. 303; VIII, p. 512; Encyclopaedia Iudaica, IV, p. 936.