MOSCO (Μόσχος, Moschus)
Poeta greco, nato a Siracusa, fiorito intorno al 150 a. C. Fu, secondo Suida, scolaro di Aristarco. Fu autore di un'opera perduta, sui provincialismi rodiesi. Ma più noto assai è il suo nome per alcuni componimenti poetici d'indole bucolica e amorosa che mostrano in lui il seguace e imitatore di Teocrito, sebbene dall'arte di Teocrito egli rimanga nell'insieme assai lontano. Non sono sue alcune delle cose che gli vengono attribuite, in particolar modo l'Epitafio di Bione.
Infatti Bione fu posteriore a M. e l'autore dell'Epitafio si dichiara da sé ausonio. Egli appartenne o all'età sillana o ad epoca anche posteriore; e non mostra poi nessuna delle caratteristiche dell'arte di M. Esagera, ad es., enormemente nell'accumulare erudizione mitologica, difetto questo dal quale non seppe forse nessun poeta alessandrino andare immune, ma che assai più lieve che in altri si riscontra nell'autentico M., il quale mostra sotto questo rispetto una fine e garbata discrezione. Di più, l'autore dell'Epitafio tradisce un carattere impetuoso, amante dell'enfasi retorica, mentre ciò che sicuramente si può attribuire a M. mostra in lui generalmente una signorile compostezza e un fine senso della misura, che talora possono magari degenerare in freddezza. Forse meno difforme dall'arte moschea quella dell'autore dell'epillio Megara, pervaso d'un certo calore e movimento ma privo delle incomposte smanie dell'autore dell'Epitafio; tuttavia anche l'attribuzione di Megara a M. non poggia su buone basi.
Delle cose maggiori giunteci sotto il suo nome sono genuine l'epillio Europa e il componimento Amore fuggitivo. Il primo narra il ratto della giovinetta da parte dì Zeus trasformatosi in toro; l'architettura del poemetto è abbastanza abile, ma parecchi tratti sono freddi e lenti. L'Amore fuggitivo è un carme assai manierato che tradisce l'influsso del Ladro di favi e dell'epigramma di Leonida nonché, assai probabilmente, quello di qualche scultura del tempo.
Tra le cose minori supera di gran lunga le altre il frammento conservatoci da Giovanni Stobeo, dove con semplicità di forma e un certo colore di vero sentimento si mettono a riscontro le attrattive della vita di mare e di quella di campagna. Ma nell'insieme si può dire che il vero sentimento bucolico in Mosco o scarseggia o manca addirittura; quello che in Teocrito si sentiva soltanto di quando in quando, la scuola, si sente invece in Mosco pressoché sempre. La poesia sua è ormai pressoché tutta artificiosa poesia d'imitazione.
Per il testo si vedano le edizioni teubneriane maior (Lipsia 1855) e minor (Lipsia 1904, 2ª ed. stereotipa) dei Bucolici Graeci dell'Ahrens, l'ediz. oxoniense dei Buc. Graeci del Wilamowitz (Oxford 1910, 12ª ed.) e la parigina di Ph. E. Legrand (Bucoliques Grecs, II, 1927).
Bibl.: Christ-Schmid, Geschichte der griechischen Litteratur, II, i, 6ª ed., Monaco 1920, p. 197 seg.; F. Susemihl, Geschichte der griechischen Litt. in der Alexandrinerzeit, I, Lipsia 1891, p. 231 segg.; C. Cessi, La poesia ellenistica, Bari 1912, p. 436 segg.; A. Taccone, L'Europa di Mosco. Studio critico e versione poetica, in Atti della R. Accad. di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, n. s., IV (1915), p. 49 segg.