Vedi MOSAICO dell'anno: 1963 - 1973 - 1995
MOSAICO
1. Terminologia. 2. Origini e sviluppi. 3. Mosaici parietali. 4. Mosaici pavimentali. a) Tecnica e artisti. b) Svolgimento e datazione. c) Soggetti. d) Stile. 5. Il mosaico cristiano.
1. Terminologia. - In senso stretto con questo termine si intende la decorazione di una superficie architettonica (sia pavimento, parete, o soffitto) per mezzo di pietruzze, oppure pezzetti lavorati di pietra, di terracotta o di pasta vitrea, giustapposti e fissati saldamente su uno strato d'intonaco, formanti esternamente una superficie liscia per lo più decorata con rappresentazioni geometriche o figurate.
Il termine, di etimologia incerta ma con probabilità derivato dal greco Μοῦσα, appare nella letteratura romana solo assai tardi, precisamente negli Scriptores Historiae Augustae: se è stata dubitata l'autenticità dell'opera di Sparziano sulla vita di Pescennio Nigro - in un passo della quale (Pesc. Nig., vi, 8) il ritratto dell'imperatore è detto pictum de musio -, la forma museum si legge ad ogni modo in Trebellio Pollione (Trig. Tyr., xxv, 4), mentre solo in S. Agostino appare la forma musivum (De Civ. Dei, xvi, 8, 1); ma da principio il termine non sembra riferirsi che alla decorazione di pareti e vòlte, e non è un termine generale per i vari prodotti di quest'arte, che sono variamente definiti, per lo più con circonlocuzioni, secondo la loro natura e il posto che occupano. Le singole pietruzze dei m. si chiamano in latino tesserae, tesserulae, tessellae (crustae forse solo per pannelli di tessere), in greco ψῆϕοι, o ἀβάκια o ἀβακίσκοι, e il pavimento a mosaico pavimentum tesseris structum, δάπεδον ... ἐν ἀβακίσκοις συγκείμενον ἐκ παντοίων λίϑων (Athen., Dipnos., v, 207 c); ἔδαϕος ἐκ ψήϕων πολυτελῶν συγκεῖσϑαι, ἐκ ψεϕίδων ... γεγράϕαται, ecc. I termini greci per la medesima arte, μουασεῖον, μουσίωμα, μουσείωσις, ἔργον μεμουσωμένον, μουσαϊκόν, non sono che delle traduzioni dei termini latini che si rinvengono solamente assai tardi, per la maggior parte in epoca bizantina. Il mosaicista è chiamato musivarius (v.), museiarius, musearius, e in origine probabilmente non è dunque che il decoratore di pareti, mentre per quello dei pavimenti era forse riservato il nome di tessellarius, tesserarius o tessellator (in greco ψηϕοϑέτης e κυβευτής).
Il significato di altri termini antichi in connessione con l'arte musiva rimane tuttora malcerto. Rientrano soltanto nel senso largo di m. le svariate decorazioni a lastrine di marmo o di pietre colorate, formanti disegni geometrici, o anche le incrostazioni figurate in lamelle simili (crustae, incrustatio: v. incrostazione); invece è una vera maniera di m. la decorazione a disegni geometrici in tessere bianche di pietra incastrate nell'opus signinum, cioè in un letto di calcestruzzo rosa fatto di calce e coccio pesto, usata soprattutto in Italia e molto frequente a Pompei, specialmente in epoca repubblicana fino al principio dell'Impero; una variante è quella a disegni di tessere bianche, soprattutto a crocette di poche tessere seminate su un piano a frammenti di terracotta più grandi. Il lithòstroton (λιϑόστρωτον), da alcuni studiosi identificato con l'opus sectile, da altri è ritenuto invece solo una sua speciale categoria, che presenta pavimenti a lastrine di pietre colorate di varie forme e dimensioni, più o meno regolarmente incastrate su un fondo di coccio pesto o lastrine più piccole di calcare bianco. (Tale interpretazione si è voluta dedurre dal fatto che un pavimento rinvenuto nel criptoportico a Preneste è stato messo in relazione con la costruzione sillana nel Tempio della Fortuna menzionata in Plinio (Nat. hist., xxxvi, 189): Lithostrota coeptavere iam sub Sulla, parvolis certe crustis, extat hodieque quod in Fortunae delubro Praeneste fecit. La continuazione del passo, sembra ad altri (D. Levi) assicurare che il discorso si riferisca ai consueti m. di tessere ritagliate formanti disegni e figure. In un passo di poco precedente dello stesso Plinio (Nat. hist., xxxvi, 184), si precisa l'età della diffusione dell'uso del m. in Roma: Pavimenta originem apud Graecos habent, elaborata a(n)te (emendamento di Detlefsen, per la lettura più comune arte) picturae ratione, donec lithostrota expulere eam. Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus qui Pergami stravit quem vocant asaroton oecon. .... fecerat parvis e tessellis tinctisque in varios colores. Quest'ultimo passo ci addita probabilmente l'origine lontana della decorazione pavimentale a m. nella pittura su stucco dei pavimenti in Grecia, pittura su pavimenti in stucco che, sebbene di natura estremamente delicata e destinata a lasciarci poche tracce, ci ha restituito esempî assai cospicui per l'arte preellenica, non solo sul continente, ma anche a Creta (Festo), e del cui perdurare attraverso tutta l'età greca ci rimangono alcuni resti, benché assai più modesti, a cui recentemente si è aggiunta anche una testimonianza fino all'arte tardoromana in un pavimento, relativamente ben conservato, di Antiochia. Il significato di lithostroton in Plinio sarebbe dunque quello generale di m. a tesserine di pietra, significato conservatosi ancora nel XII sec., come appare da un passo di Eustazio di Salonicco (Ad Od., xxii, 297, p. 1927, 61) che cita la descrizione di Ateneo, su cui torneremo in seguito, del m. con rappresentazioni dell'Iliade sulla nave di Gerone II di Siracusa. Né contraddirebbe questo siguificato il fatto che in un passo di Varrone (Rerum rusticarum, iii, 2, 4) il termine è differenziato da quello di emblema (v.): emblema aut lithostrotum. Nel periodo più antico dell'arte musiva, infatti, era uso incastrare nel centro dei pavimenti più lussuosi, in mezzo a una decorazione ornamentale nel consueto tessellatum, un piccolo riquadro figurato, detto da Lucilio emblema vermiculatum (forse dall'apparenza screziata, o dall'andamento curvilineo delle minutissime tessere di svariate e ricercate pietre e vetri colorati), eseguito non direttamente sul posto come la decorazione geometrica, ma separatamente in laboratorio, emblema posante su un piano di pietra, marmo o terracotta, e limitato a una sua cornice.
L'esistenza di quest'uso in Italia già nel II sec. a. C. è attestato nel verso di Lucilio più volte riferitoci (Plin., Nat. hist., xxxvi, 185; Cic., Orat., 149; De orat., iii, 171); si trattava di lavori di lusso, copie di pitture di cavalletto, e facilmente trasportabili, come sembra testimoniare un curioso passo di Svetonio (Divus Iulius, 46) secondo il quale Cesare avrebbe portato dietro a sé nelle sue campagne tessellata et sectilia pavimenta.
Col progredire del tempo l'emblema tende a ingrandirsi, e perdere della sua primitiva finezza col crescere delle dimensioni delle tessere, e finisce con lo scomparire, fondendosi cioè la decorazione centrale figurata della stanza con la decorazione geometrica tessellata circostante, entrambe create nella medesima tecnica sul pavimento stesso. Ad Antiochia, la cui serie di m. finora conservatici comincia forse già verso la metà del I sec. d. C., per uno solo ancora si può parlare di veri e proprî emblemata; in Africa peraltro ne vediamo a Zliten in Tripolitania, almeno fino al principio del II sec. d. C., di grandissime proporzioni e più d'uno in una stanza, e ancora più tardi, sempre più raramente, fino probabilmente all'età antonina, a Roma, a Ostia, a Corinto.
2. - Origini e sviluppi. - Non ha alcun fondamento l'affermazione, ancora generalmente ripetuta, dell'origine del m. dall'Oriente, per cui se ne additano i predecessori in monumenti, quali le decorazioni di pareti mesopotamiche mediante coni in terracotta di varî colori disposti a motivi geometrici nella struttura delle facciate, o quelle, pure parietali, a lastre di terracotta invetriata dell'antico Egitto, che - se non nell'estensione del termine m. al suo senso lato - con l'arte musiva di cui trattiamo non hanno niente in comune né come tecnica né come espressione artistica.
Piuttosto è lecito suggerire una verisimile derivazione dei pavimenti in pietruzze ritagliate da quelli in ciottoli naturali, per i quali ultimi peraltro possiamo risalire ai più antichi esemplari non già nell'Oriente, ma sul territorio stesso della Grecia classica, a Creta cioè forse fino dall'età prepalaziale, e attraverso tutta la civiltà minoica: tecnica che a Creta, come nel resto del Mediterraneo orientale, è stata in larga voga per i cortili fino ai nostri giorni. Dalla semplice decorazione a disegni geometrici e vegetali in ciottoli bianchi e neri o colorati, decorazione che può arrivare alla ricchezza e squisita finitezza del pavimento a racemi del IV sec. a. C. di Sicione, si passa, almeno dalla piena epoca classica, cioè dalla fine del V sec., a m. figurati, sia in Italia che in Grecia, col m. di Mozia a pannelli di animali lottanti, con simili motivi di lotte di grifi e di animali ad Atene (Pompeion), Corinto e Olinto, qui insieme a rappresentazioni mitologiche, in una ricca serie di m. colorati anteriori alla distruzione della città nel 348 a. C., quale il mosaico di Bellerofonte, quello con Nereidi e Tritoni, o i frammenti di una centauromachia. Un'altra serie di mirabili m. a ciottoli hanno procurato gli scavi da poco iniziati a Pella in Macedonia, ancora quasi del tutto inediti, dei quali ci è concesso riprodurre qui un particolare del m. con scene di caccia, che ricordano le cacce del sarcofago di Alessandro, e che è infatti approssimativamente datato all'età di Alessandro il Grande. Da notarsi, in questo m., il particolare che il disegno di contorno della figura e nei capelli è marcato da una linea ottenuta con l'inserimento di una sottile lista di piombo. Questa manca però nel panneggio svolazzante e nella spada brandita, evidentemente perché queste parti sono concepite più nei loro valori pittorici che in quelli plastici. Un altro mosaico, un poco più recente, mostra la linea disegnativa ridotta solamente ai particolari interni della figura (v. pella). Esiste pure qualche testimonianza per il passaggio tra la tecnica a ciottoli interi e quella delle pietre ritagliate a cubetti e pezzenini di pietra, nell'uso in certi m. di ciottoli rozzamente ritagliati nei contorni per qualche dettaglio più significativo, come gli occhi del tritone in un ben noto m. a ciottoli di Olimpia, o anche per interi rozzi motivi geometrici, come in un pavimento di Assòs.
Egualmente gratuita è l'affermazione che l'invenzione del vero e proprio m. a tessere cubiche sia avvenuta ad Alessandria.
Non sostiene in nessuna maniera questa teoria il termine opus Alexandrinum, che probabilmente va applicato solo a una variante di opus sectile, con grande uso di porfido, introdotta sotto l'imperatore Alessandro Severo. Una fonte letteraria invece, in accordo con le testimonianze archeologiche, sembra additare per tale invenzione l'opposta direzione: è la descrizione di Moschione, nel passo di Ateneo sopra citato, dello splendido pavimento musivo con rappresentazioni dell'Iliade che decorava la lussuosa sala da pranzo della nave da cerimonia offerta al re Tolomeo III di Egitto da Gerone II di Siracusa, m. che è il primo a noi nominato nella storia, il quale ci appare esaltato come una novità, una creazione in cui si vogliono vantare le risorse dell'isola e l'ingegno e le doti dei suoi artisti, rifulgenti ugualmente in altre parti della costruzione, come in un pavimento incrostato di lamine d'agata e di diverse pietre semipreziose. Da Ateneo non si fa parola di alcun altro m. nei numerosi edifici di Alessandria da lui menzionati; e di più, alla scarsa, poco significativa e per lo più tarda testimonianza di m. ad Alessandria e in genere in Egitto, si può contrapporre quella - ricchissima e fiorente fino dall'epoca ellenistica - in Sicilia e nell'Italia in genere. Una brillante conferma a questo asserto è stata testé procurata dai m. (fra cui uno col mito di Ganimede) rinvenuti in una casa di Morgantina, nella Sicilia centrale, costruita verso l'inizio del regno di Gerone II e distrutta subito dopo la sua morte, creati in una tecnica intermedia fra quella dei m. di ciottoli e i tessellati veri e proprî, cioè a pietre variopinte, mescolati a pezzi di terracotta per il color rosso, di grandezza e di contorni irregolari ma già a superficie piana.
Al contrario della chiara definizione di un m. a tessere variopinte nel passo di Ateneo, alcuni passi che citano m. che si riferirebbero ad età più antica, come uno di Galeno con un aneddoto della vita di Diogene e un altro di Ateneo in cui si parla di pavimenti nella casa di Demetrio Falereo, possono riguardare m. di ciottoli o altre categorie di pavimentazione con lamine di pietra. In tutta la letteratura antica, per quanto riguarda i m. di età ellenistica e di quella romana repubblicana, non v'è che l'altra menzione da noi citata in Plinio delle opere di Sosos di Pergamo: l'asàratos òikos, o "sala non spazzata", cioè la pittoresca rappresentazione su un emblema dei resti di pasto caduti a terra alla rinfusa, della quale si sono conservate a noi varie repliche, tra cui una al Laterano e una al museo di Aquileia, nonché le "colombe che si abbeverano sull'orlo di un vaso", di cui la replica più fine e più famosa è quella del Museo Capitolino.
I documenti originali più antichi di opere in m. non sembrano risalire molto più su della seconda metà del sec. II a. C., e i complessi più significativi di questo periodo più antico e più raffinato dell'arte musiva provengono in realtà tanto dall'Italia che dalla Grecia. Alla testa di questa categoria per importanza, bellezza, dimensioni, si può collocare il famosissimo m. pompeiano rappresentante una battaglia di Alessandro e Dario, probabilmente la battaglia di Issos, rinvenuto nel 1831 entro al gruppo più imponente di m. figurati che mai sia stato portato alla luce, quello della Casa del Fauno; è anche dei più studiati e discussi, la cui esecuzione, probabilmente avvenuta a Pompei stessa e con l'uso di pietre locali, direttamente sul pavimento e senza un piano di posa di terracotta o di pietra secondo il sistema dell'emblema, non va riportata lontano nell'età ellenistica, come si suol fare per lo più, ma è verosimilmente contemporanea a quella degli altri m. della medesima casa, e va datata cioè sul volgere fra il II e il I sec. a. C.
È rappresentato il momento drammatico dell'uccisione del re persiano, contro cui irrompe Alessandro a testa nuda sul suo cavallo galoppante, in mezzo alla calca dei cavalieri combattenti o precipitanti a terra, groviglio pittoresco in cui il rendimento di alcune parti di uomini e cavalli può essere completamente tralasciato; sullo sfondo neutro, bianco, spiccano solo le lance oblique dei combattenti e un nudo tronco d'albero. Sono usati solamente quattro colori principali, e le combinazioni di essi: bianco, giallo, rosso e nero, essendo dunque il quadro probabilmente una copia di un'opera della "pittura a quattro colori" del IV sec. a. C., forse della Battaglia di Alessandria dipinta da Philoxenos di Eretria (v. alessandro magno; greca, arte; philoxenos).
Alla medesima età e alla medesima cerchia artistica vanno attribuiti due piccoli e frammentarî m. di Palermo con Alessandro combattente e a caccia, di una lavorazione ancora più colorita e minuta che non quella del pannello di Pompei, e un m. ora a Vienna. Sugli altri pavimenti figurati della Casa del Fauno appaiono: un symplegma di un fauno e una ninfa, uno dei bellissimi pannelli a "pesci" di ogni genere nuotanti nel mare (v. Tavola a colori), una figurina di Eros alato cavalcante una tigre, una replica delle già citate colombe sui bordi di un vaso, un pannello con un gatto che abbatte un gallinaceo, di cui varianti esistono al Vaticano e al Museo Nazionale Romano, e un frammentario m. con un leone che sbrana la preda, di cui una bella replica proviene da Teramo. Affine a queste ultime rappresentazioni è la composizione rotonda della Casa del Centauro rappresentante degli Eroti che legano un leone (opera tuttavia di fattura un po' più andante e probabilmente di età leggermente più avanzata delle precedenti), di cui si conservano due repliche o riduzioni, una da Anzio e l'altra ora a Londra, e che forse è una traduzione in m. di una scultura in marmo di Arkesilaos. Invece circa contemporanei al m. di Alessandro, databili cioè attorno al 100 a. C., sono i due pannelli pompeiani firmati da Dioskourides di Samo (v.), rappresentanti indubbiamente due scene della Commedia Nuova, con le figure questa volta collocate davanti a uno sfondo architettonico, scene copiate da pitture del III sec. a. C. Apparentato per genere, benché più tardo, è il m. con la Prova dei Coreuti del dramma satiresco dalla Casa pompeiana del Poeta Tragico (v. attore, Tavola a colori). Tra i soggetti mitologici a Pompei è trattato con grande frequenza quello di Teseo che esce vittorioso dal Labirinto (v. minotauro, Tavola a colori), ma si rinvengono anche altri, come il Ratto delle Leucippidi, Posidone e Anfitrite, ecc. Accanto ai più belli e antichi pannelli figurati di Pompei e della Sicilia, per quanto riguarda la produzione del Mediterraneo occidentale, si possono collocare anche alcuni m. di Malta, fra cui specialmente interessante è la scena del satiro sorpreso nel sonno e legato da due menadi. Il complesso più cospicuo di m. di questa più antica categoria proveniente invece dal suolo della Grecia è quello, assai minore tuttavia al pompeiano, restituitoci da Delo (v.); m. per i quali si ha un termine ante quem nel sacco dell'86 a. C. da parte del generale di Mitridate Archelao, ma che tuttavia anch'essi non sembrano risalire molto più in su della fine del II sec. a. C. Tra i pannelli figurati ritroviamo una replica del Genio alato cavalcante una tigre o pantera, mentre fra quelli decorativi uno dei più imponenti e meglio conservati è quello dalla Casa dei Delfini firmato da Asklepiades di Arados in Fenicia con un tondo a rosoni nel centro, bordo turrito e delfini nei segmenti di cerchio fra l'orlo quadrato e la decorazione rotonda. Invece solo scarsi frammenti ha ridato Pergamo, la patria del già citato illustre mosaicista Sosos, frammenti fra i quali s'è trovata la firma d'un altro artista, Hephaistion (v.); un'altra firma di artista, Sophilos, appare su uno dei pochi m. ellenistici restituiti da Alessandria.
3. - Mosaici parietali. - Contrariamente all'incertezza sulle origini, una data esatta ci è fornita per l'estensione dell'uso del m. - con impiego peraltro delle assai più leggere e aderenti tessere vitree - dal pavimento alla vòlta degli edifici, nella continuazione del passo di Plinio sopra addotto (Nat. hist., xxxvi, 189): Pulsa deinde ex humo pavimenta in camaras transiere vitro. At Romae novicium et hoc inventum. La data di tale innovazione vicina ai suoi tempi è sostenuta dallo scrittore per il fatto che, se tale tecnica fosse stata conosciuta prima, sarebbe stata usata da Agrippa per le sue terme, e da Scauro per il suo teatro, costruito a Roma nel 58 a. C., e nel quale erano usati m. solamente Per incrostazione nel secondo piano della scena. È ovvio che le condizioni dei trovamenti ci abbiano restituito un'assai frammentaria documentazione di m. di vòlte per i primi secoli. Conservato sul posto è un tratto di finissima decorazione a viticci, probabilmente di età adrianea, nelle Terme dei Sette Sapienti a Ostia; la più antica vòlta perfettamente conservata peraltro è quella, recentemente scoperta, di una tomba sotto S. Pietro, di età dunque precostantiniana, ma già sicuramente cristiana perché sulle sue pareti, attorno alla rappresentazione di un cocchio - che può essere quello di Apollo-Sol (v. helios) come quello di Elia radiato - in mezzo a una lussureggiante vigna, sono scene bibliche quali quella di Giona e la balena, quella di Mosè che fa scaturire la sorgente, e via dicendo. Invece una cospicua documentazione di colonne, nicchie e fontane incrostate a m. proviene già da Pompei, fra cui la fontana, nella quale il m. è accoppiato all'incrostazione di conchiglie, dalla Casa della Fontana Grande. M. parietali si trovano anche ad Ercolano (v. ercolano, Tavola a colori). A Roma è datata all'età di Tiberio l'edicola di Pomponio Hylas nel suo ipogeo sulla via Latina; più tarde sono altre vaschette e absidiole dell'Italia come dell'Africa; a Roma recentemente è stata posta in luce nella parte neroniana della Domus Aurea una vòlta che era coperta a mosaico, con al centro un gruppo figurato imitante il bronzo, con riflessi ottenuti da tessere dorate; da Anzio proviene una nicchia di fontana con la figura di Ercole recumbente, di età severiana. Nelle Terme a Mare, a Leptis Magna, si hanno resti di m. parietali con scene nilotiche, ricoperti poi da affreschi del III secolo.
4. - Mosaico pavimentale. a) Tecnica e artisti. - Le precise indicazioni per la tecnica di costruzione di un m. lasciateci da Vitruvio (vii, 1) e da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 186-7) trovano riscontro in una quantità di documenti originali.
La sostruzione deve essere composta di tre strati diversi, da collocarsi sul suolo accuratamente spianato, asciugato e consolidato: lo statumen, un conglomerato di ciottoloni, poi il rudus, spesso circa 25 cm, composto di tre parti di pietre spezzate e una di calce, e infine il nucleus, o strato cementizio di circa 12 cm, fatto di tre parti di coccio pesto e una di calce. La superficie delle tessere incastrate su uno straterello superiore di intonaco, resa perfettamente piana procedendo nel lavoro ad regulam et libellam, era levigata e a sua volta resa compatta e resistente mediante una spalmatura finale, fatta con polvere di marmo, sabbia e calce. Norma generale era che gli artisti cercassero i materiali per le tessere dei loro m. anzitutto sul luogo stesso dove li eseguivano; per le tonalità dei colori non esistenti nelle pietre locali dovevano essere usati materiali stranieri, e nei m. più fini dei grandi centri artistici, come Roma, potevano essere usati frammenti di pietre e marmi importati per il loro ampio consumo architettonico. Troviamo tessere vitree già nei m. più antichi, per esempio in grande quantità per il colore nero nel m. del Gatto dalla Casa del Fauno. L'uso ne permane attraverso tutta la storia del m., si estende soprattutto per il rendimento dei fondi azzurri del mare e per il fogliame verde, meno per le tonalità gialle. In periodo più avanzato, piuttosto che affermarsi, al contrario di quanto si crede generalmente, l'uso del vetro nel m. pavimentale declina forse, specialmente nei m. di aspetto più opaco di certe epoche di decadenza, come nella seconda metà del III sec., ma esso permane, talvolta anche con largo impiego, fino alla fine dell'antichità, come si può constatare tanto sui pavimenti di Antiochia come su quelli di Tabarca in Africa, sui magnifici pavimenti delle basiliche di Aquileia del vescovo Teodoro, morto circa il 319 d. C., e via dicendo; l'uso del vetro impera sempre, come abbiamo detto, nei m. di pareti e di vòlte. M contrario, assai tardo e raro è l'uso di tessere in terracotta, che ad Antiochia non fanno apparizione prima dell'età di Costantino. Se si eccettua il citato esempio di età neroniana, solo nel III sec. d. C. sembra diffondersi - da prima specialmente per la rappresentazione di gioielli - l'uso delle tessere d'oro, nella tecnica romana, cioè a foglia d'oro su un cubo di vetro traslucido, diversa dalla tecnica bizantina che nell'XI sec. adotta uno smalto rosso opaco. In alcuni emblemata dei m. più antichi di Pella, di Delo e di Pergamo sono stati notati anche resti di listelli di piombo a contorno delle figure; frammenti di madreperla sono talora adoperati, come abbiamo visto, soprattutto per m. decorativi, incrostazioni di fontane e via dicendo. Per quanto riguarda il procedimento del lavoro, non è documentata la tecnica del cartone di posa negativo, quale è usato per il m. moderno, e probabilmente si procedeva sempre alla collocazione diretta delle tessere nel disegno positivo, talora facendo precedere un'incisione nei contorni delle figure sullo strato d'intonaco - di cui s'è qualche volta notata traccia in m. d'età tarda - o anche un abbozzo di pittura a colori sulla cassetta di un emblema vermiculatum, e forse distribuendo gradatamente col procedere del lavoro lo strato dell'intonaco stesso, colorandolo nel colore che doveva avere la figura sovrastante. In qualche caso era prima eseguito in m. il contorno delle figure, e poi se ne riempiva l'interno. Le tessere dello sfondo esterno alle figure seguono da principio il contorno delle figure stesse in una disposizione irregolare, che man mano si va regolarizzando in file orizzontali e verticali, quali hanno esclusivamente le parti a disegno ornamentale. Il sistema di spalmare l'intonaco a piccole sezioni, che venivano gradualmente ricoperte dalle tessere col procedere del lavoro, spiega vari errori riscontrati in certi m., errori che peraltro possono essere spiegati anche per incomprensione da parte dei mosaicisti di un cartone preparato da altri, o del suo modello su un album di disegni.
Infatti lo studio dell'intera produzione di una fiorente scuola musiva come quella di Antiochia ci ha permesso di formarci una chiara idea della natura del m. come creazione artistica. Abbiamo detto che i più antichi e preziosi piccoli emblemata potevano essere costruiti in botteghe di grandi centri produttivi, ed essere trasportati a mercati lontani; più tardi probabilmente anche questi poterono essere creati sul luogo dove dovevano essere esposti. Ma quando, con l'inizio dell'età imperiale romana, la decorazione a m. da prodotto di lusso si espanse fino ad acquistare un'immensa diffusione - tanto che si può dire che non vi era casa signorile in alcuna città dell'Impero priva di m. -, botteghe locali indubbiamente sorsero in ogni grande città e in ogni centro di qualche importanza; artisti e capomastri viaggianti sopperivano ai bisogni di località minori e di edifici isolati. È probabile che artigiani apprezzati potessero a loro volta fissarsi in provincia e fondarvi nuove scuole: così a Lillebonne in Gallia un T. Sennius Felix di Pozzuoli firma un m., in cui menziona anche un suo discepolo, Amor. Già le firme di mosaicisti, che si fanno ogni giorno più numerose, e il fatto che dei mosaicisti, come Sosos, abbiano tratto dalle loro opere fama duratura, dimostrano che il m. non era un'arte del tutto disprezzata nell'antichità; ne sono conferma l'agiatezza e la posizione sociale che certi mosaicisti poterono raggiungere, e ancor più la constatazione che nell'editto di Costantino in favore della rinascita delle belle arti, i mosaiasti sono esentati dalle tasse al pari degli architetti, pittori e scultori. Per verità il m. è un'arte sorella della pittura, anzi una vera e propria traduzione in materiale solido e duraturo della delicata pittura su cavalletto e parietale: due arti per le quali infatti gli antichi usavano i medesimi termini.
Assai più che non gli artisti, viaggiavano gli album di schizzi, contenenti svariate redazioni di ogni soggetto, mitologico o diverso, detratti da opere celebri di ogni genere e di ogni tempo dell'antichità; da questi album sceglievano i loro soggetti pittori, affrescatori e mosaicisti. È per questa ragione che possiamo trovare due repliche musive del medesimo soggetto in lontanissime località dell'Impero, ad esempio le due repliche dei centauri che abbattono fiere, una in una provincia africana e l'altra a Tivoli presso Roma; non solo, ma anche due repliche del medesimo soggetto, una in pittura e una in m., come la scena di conversazione intima rappresentata su un pannello dipinto della villa della Farnesina a Roma e in un m. da Centumcellae ora a Vienna. In un m. di Antiochia pare di poter riconoscere una redazione della stessa scena di Komos, il dio del banchetto, descrittaci per uno dei quadri della galleria di cui ci ha lasciato conoscenza Filostrato nelle sue Imagines; in un altro vediamo una variante della scena del Mercante di Eroti conservataci in un affresco pompeiano. I mosaicisti, assai più raramente che non i pittori potevano copiare esattamente un intero originale, stretti com'erano dalle esigenze dello spazio e dalla forma e disposizione dei pavimenti, e generalmente sia contaminavano figure di redazioni diverse del soggetto da loro trattato, sia spezzavano in più riquadri i modelli imitati, o ne omettevano delle figure o delle intere parti. Abbiamo visto che - probabilmente attraverso gli stessi album - legami potevano esistere anche tra m. e scultura, come oltre che dalla trasformazione in m. della scultura di Arkesilaos può essere dimostrato dai m. antiocheni riproducenti, in due opposte vedute, il famoso gruppo scultoreo ellenistico del Satiro e dell'Ermafrodito.
Album di motivi geometrici e floreali dovevano pure essere a disposizione dei più modesti tessellarii locali, cui era lasciata l'esecuzione dei bordi decorativi attorno al pannello figurato: decorazione geometrica dall'esame complessivo della quale, pertanto, più ancora che dalle parti figurate spicca il carattere peculiare di ogni singola provincia dell'arte musiva; tendenze locali che peraltro dovevano suggerire anche altri caratteri ben distinguibili, come la diversa distribuzione dei m. secondo le diverse architetture, oppure la predilezione per pannelli figurati, quale notiamo ad Antiochia, a differenza di quella per la decorazione geometrica caratteristica delle scuole germaniche, o infine diversi gusti policromici. A quanto pare è limitata all'Italia e alla Gallia meridionale, e diffusa particolarmente in età antonina, la classe del m. monocromo, nero su fondo bianco, applicato anche per larghissime composizioni di pubblici edifici termali e simili, come nel m. col trionfo di Posidone tra mostri marini nelle Terme di Nettuno sul decumano di Ostia. Quando esisteranno pubblicazioni sufficienti e studî d'insieme per ogni singola scuola musiva, potranno risultare anche con maggiore chiarezza che non oggi le differenze nell'interpretazione stilistica nelle diverse province dell'Impero. Già oggi siamo in grado di valutare, ad ogni modo, il prezioso contributo che il m. può offrire, sia dal punto di vista estetico che da quello cronologico, per la ricostruzione della storia dell'arte antica, e della pittura antica in particolare, ramo quest'ultimo conservatoci in maniera tanto lacunosa per i periodi successivi alla distruzione di Pompei. La considerazione dei m. come un'arte d'infima qualità, infatti, ha causato la vandalica distruzione perpetuata fino a tempi assai recenti della maggior parte dell'immensa congerie dei suoi monumenti riportati alla luce, non meno che le difficoltà e le gravi spese necessarie per lo scavo della loro vasta superficie, e anche più poi per la loro conservazione, protezione o rimozione. In realtà, benché nel campo dei m. - come del resto anche in quello degli affreschi di Pompei ed Ercolano - di rado ci si imbatta in opere originali o in nuove formule, mentre si tratta piuttosto in genere di prodotti di decoratori, i m. debitamente studiati, fotografati ed esposti, ci permettono spesso di cogliere il sapore estetico dell'opera originale, m. che, di più, offrono un repertorio senza pari di rappresentazioni di primario interesse per lo studio di tutti gli aspetti della vita antica, religiosa, pubblica e privata.
(Per nomi di artisti, oltre che gli Indici, si veda musivarius).
b) Svolgimento e datazione. - La datazione di ogni singolo m. presenta gravi difficoltà, a causa della assai vaga relazione che lo lega all'edificio e alla stanza cui appartiene. Pochissimi sono i m. datati da una loro propria iscrizione, anteriormente ai pavimenti delle chiese cristiane contenenti i cartelli con le date di fondazione della chiesa o delle sue parti. Interi gruppi di m. già ricordati hanno un sicuro termine ante quem nell'anno di una distruzione o una grave sciagura della città cui appartengono, com'è per esempio la data del già citato sacco di Delo, quella dell'eruzione del Vesuvio che ha distrutto Pompei, o quella del terribile terremoto del 526 d. C. che ha forse per sempre stroncato ogni slancio di creazione artistica ad Antiochia. Un sicuro termine post quem, oltre che nella data di costruzione dell'edificio, o dell'ambiente in cui si rinviene il m. (per esempio bolli di mattoni nei muri o nelle suspensurae di edifici termali), o addirittura nella data della fondazione di una città, come quella di Timgad da parte di Traiano, può essere fornito da una moneta trovata in uno strato ermeticamente sigillato sotto a un m. compatto; un simile termine può essere fornito pure da abbondanti ceramiche o lucerne rinvenute nelle medesime condizioni. Abbiamo già detto che gli emblemata in tessere minutissime, talora inferiori a un mm2, appartengono all'età più antica, e che la grossezza delle loro tessere tende ad aumentare; tale criterio di datazione, peraltro, viene pressocché a cessare nel momento della fusione dell'emblema nell'intero pavimento tessellato, ed allora la grandezza delle tessere, che per le parti decorative si aggira attorno a un cm2, varia piuttosto che non secondo l'età secondo la finezza del lavoro e l'importanza delle parti rappresentate; è minore per esempio per gli occhi, le teste delle figure e via dicendo. Ma un più sicuro elemento di datazione - almeno per i m. non del tutto rozzi ma dotati di qualche pretesa artistica - è lo stile medesimo, nel quale, accanto ai riflessi dell'iconografia e dell'arte del più o meno distante originale, si riesce spesso a cogliere anche l'impronta dell'arte dominante al momento della creazione del m. esaminato. Qualche utile elemento cronologico può essere fornito anche dal campo di un'altra arte, oltre alla pittura: dall'architettura.
Spesso, fin dai più antichi tempi, la decorazione pavimentale cerca di imitare quella dei soffitti, e da principio precisamente di soffitti piani suddivisi in cassettoni quadrati e rettangolari, o in simili cassettoni alternati con altri a forma di losanghe, di dischi ed elissi. Nel m. di "Cilicia" da Seleucia, il porto di Antiochia, possiamo osservare come tale imitazione - precisamente di soffitti a losanghe, e ad esagoni, stelle e quadrati, contenenti questi ultimi un medaglione rotondo - sia accentuata con grande vivacità mediante tonalità accennate a ombre e chiaroscuri e mediante l'indicazione di borchie di ottone. Un'altra ovvia imitazione di un soffitto a 9 cassoni figurati, suddivisi da dentelli in prospettiva e da fasce di onde, ci è offerta dallo splendido m. antiocheno della Casa del Pavimento Rosso, così chiamata appunto dallo sfondo rosso dei pannelli rappresentanti le stagioni e scene mitologiche, tra cui quella di Fedra e Ippolito. Nel m. di Europa sul toro, dalla medesima località, attorno all'imitazione del soffitto vediamo rappresentata anche la parte superiore delle pareti con maschere su mensole. Ma l'imitazione sui pavimenti musivi di vòlte a crociera non può avvenire che dopo la creazione di tal genere di vòlte, verso la fine dell'età flavia. Un bellissimo m. con scene dionisiache da Gemila-Cuicul in Algeria, appartenente con tutta probabilità all'epoca antonina, sembra essere uno dei più antichi conservantici l'imitazione di tale struttura architettonica; imitazione che ritroviamo in Antiochia nello splendido m. della Villa Costantiniana, ora al Louvre, con figure di stagioni sulle diagonali, dividenti pannelli trapezoidali con scene di caccia, attorno a un bacino d'acqua ottagonale nel centro su cui si doveva specchiare il cielo, rendendo più completa l'illusione offerta dal pavimento. In un m. della Casa del Menandro, pure ad Antiochia, la spartizione diagonale dei soffitti mediante candelabri o figure alate è sostituita da quattro alberi e palme, che formeranno una suddivisione prediletta dei m. di pavimenti e vòlte di età più tarda, in Oriente come in Italia (per csempio nell'Oratorio di S. Giovanni Evangelista al Laterano, costruito da Papa Ilario tra il 461 e il 468 d. C.). A questo proposito possiamo menzionare un'altra cospicua categoria di pavimenti imitanti un pergolato, per lo più concepito come sorgente da quattro pilastri, le cui foglie e racemi di vigna egualmente sono immaginati come rispecchiati in una vasca centrale.
Discutibili invece sono le relazioni tra arte musiva e arte tessile, e - al contrario di quanto abbiamo visto per la pittura - manca una conferma tanto da parte della tradizione letteraria quanto della documentazione monumentale per l'affermazione di un'influenza di questa sull'origine di quella; dubbia è l'esistenza di uno stile floreale tessile e di una "maniera a tappeto", che dall'arte tessile sarebbe passata alla decorazione pittorica murale e al m., e, perfino per motivi - cosi largamente diffusi su tappeti e ricami di età tarda - come le rosette e i petali disseminati nel campo, l'evoluzione si può seguire probabilmente in senso inverso, da motivi geometrici dei più antichi mosaici. Solo per la fine dell'antichità possiamo riscontrare con certezza l'introduzione di elementi e maniere proprie ai tessuti onentali nel repertorio dei m., soprattutto in scuole musive prossime all'Oriente come quella di Antiochia.
c) I soggetti. - È impossibile passare in rassegna sia pure solo i più significativi esempî della immensa congerie di prodotti di questa classe artistica, ed è egualmente impossibile cercare di distribuirli in definite categorie: si può dire che non v'è soggetto mitologico, rappresentazione di vita o elemento dell'antico repertorio decorativo che ne rimanga assente. Naturalmente la scelta del soggetto era spesso suggerita dal carattere dell'edificio, o della parte dell'edificio cui un m. era destinato, come dall'ambiente sociale in cui esso sorgeva e dalle predilezioni del committente e dell'artista. Certi soggetti potevano essere preferiti in una data città, per cui per esempio a Dafne - il boschivo e ridente sobborgo di Antiochia presso le cascate dell'Oronte - troviamo con frequenza il soggetto di Apollo e Dafne. In edifici termali, come anche in ninfei, attorno all'impluvio nelle case private, in fontane e in vasche da bagno, ritornano con monotona insistenza i soggetti che si riferiscono all'acqua e al mare: spesso sono campionarî di ogni sorta di pesci che, su m. in fondo alle vasche o percorsi d'acqua corrente, vogliono suscitare l'impressione del mare e dei fiumi coi loro abitanti; oppure sono immagini o busti di Posidone e Anfitrite o di Oceano e Teti, talora nel loro regno marino, o il solo thìasos marino di mostri, centauri e nereidi, o sono eroti naviganti su delfini; altrove sono scene realistiche dei bagnanti stessi che si attardano o si accingono al bagno; ma vi possono essere anche soggetti mitologici, come quello di Narciso che si specchia nella fontana. Nelle palestre, nei ginnasî o negli annessi di terme dedicati a esercizi sportivi troviamo rappresentazioni della palestra stessa, o figure generiche di palestriti (come le grandi figure e i busti di lottatori nel ben conosciuto m. dalle Terme di Caracalla al Laterano), o rappresentazioni ideali di atleti famosi, come quella di Nicostrato a Seleucia. Tra le illustrazioni di esercitazioni atletiche o di esibizioni possiamo ricordare quella, divenuta rapidamente famosa, della grande villa nei pressi di Piazza Armerina in Sicilia, con donne dai costumi succinti in atteggiamenti sportivi. Negli atrî, o proprio sulla soglia di casa, poteva esservi un avvertimento al visitatore, come il cave canem pompeiano, con l'immagine del cane feroce, o una scritta di augurio al medesimo, o il nome del proprietario; ma vi poteva essere anche, assieme a certe formule sacre, una rappresentazione profilattica a protezione della casa e dei suoi abitanti, un gorgonèion, un ferro di cavallo, oppure la rappresentazione del malocchio stesso, per lo più circondato da ogni sorta di animali profilattici, come nella Basilica Hilariana - cioè l'associazione dei dendrofori sul Celio a Roma -, oppure in una casa di Antiochia dove una simile figurazione posa direttamente sopra un altro m. di valore consimile, con le figure di un gobbo-portafortuna e di Ercole fanciulletto che strozza i serpenti. A questo proposito possiamo ricordare che nella categoria degli apotròpaia vanno incluse anche le grandi teste di Oceano, con immensi occhi sbarrati, il cui effetto incantatorio è determinato da una iscrizione nel m. da Setif in Algeria. Sulle soglie di stanze da bagno, di terme o di case private, sono spesso rappresentati due sandali, con o senza una formula di augurio di buon bagno. In ginecei spesso troviamo soggetti pertinenti ad Afrodite e alla sua toletta, ad Eros e Psyche, oppure vi può essere figurato Achille tra le figlie di Licomede. In stanze di riposo presso i bagni, o altrove, possono essere tracciate in m. delle specie di scacchiere, le tabulae lusoriae; o possiamo invece trovarvi rappresentati giochi di galli, o passatempi diversi.
Per le sale da pranzo abbiamo già ricordato gli asàrota, e vi possono comparire assai spesso nature morte o varie rappresentazioni di cibi d'ogni genere; d'altra parte vi può essere rappresentata la cena stessa, come il grandioso banchetto su un m. di Cartagine, entro una sala ovale con tavole di banchettanti tutto in giro e suonatori e danzatori nel centro. Nel m. del "Buffet Supper" di Antiochia, attorno a un medaglione in cui è Ganimede, il coppiere degli dèi, vediamo una tavola a ferro di cavallo imbandita di tutti i piatti formanti una completa e ricca cena romana; un altro m. antiocheno rappresenta un parassita che si affretta a pranzo, leggendo su un orologio solare che "la nona ora è passata". Dioniso e il suo thìasos sono soggetti adatti per il luogo del convivio; ma altre volte vi possono essere rappresentazioni di tutt'altro genere, come nel m. di Aion ad Antiochia, che ricorda le speculazioni filosofiche su cui, dopo il banchetto, si potevano intrattenere i convitati, appartenenti a una società intellettuale imbevuta di idee neoplatoniche. Nel triclinio soprattutto riusciamo ad esaminare la disposizione dei m. secondo l'uso dell'ambiente, disposizione che naturalmente varia nei diversi luoghi, secondo le diverse architetture, e nelle diverse età. In alcuni dei più antichi m. di Antiochia vediamo i pannelli figurati disposti a forma di una T; l'asta è circondata da tre pannelli a U su cui posavano le tre mense ed erano quindi decorati a poveri motivi geometrici; le scene figurate erano rivolte verso la parete di fondo della sala, dovendo essere contemplate dai convitati durante il pasto; la barra orizzontale della T, invece, aveva talvolta le scene rivolte dalla parte opposta, per essere vedute dagli invitati entranti nella sala da pranzo. Già nell'età adrianea peraltro troviamo ad Antiochia la collocazione, consueta anche nei triclinî della Gallia, dell'Africa e altrove, di un singolo pannello figurato spostato verso un orlo della sala, lasciando sui tre altri lati lo spazio per le mense, con le figure della scena rappresentate sempre rivolte verso lo spettatore e la parete di fondo della stanza, oppure con elementi, come uccelli, disposti circolarmente in modo da essere visti ugualmente bene da tutti e tre i lati della sala. Abbiamo già menzionato sopra la rappresentazione del "Buffet Supper", fatta per essere contenuta entro il contorno di una tavola a ferro di cavallo.
I soggetti prediletti nell'immenso repertorio della decorazione musiva ci offrono la possibilità di penetrare in ogni aspetto della vita, del pensiero, delle credenze religiose degli antichi. Importanti avvenimenti storici potevano ispirare il mosaicista, com'è stato il caso per il m. pompeiano di Alessandro; un m. recentemente scoperto a Baalbek rappresenta la nascita del grande re macedone, mentre l'imbarco di un elefante fatto prigioniero doveva ricordare, su un m. da Veio, la fantastica spedizione italiana di Pirro. Infinitamente più vasta è la produzione nel campo mitologico. La maggior frequenza di certi soggetti mitologici ci conferma quanto sappiamo già dalla tradizione letteraria che lettura prediletta, accanto ai poemi di Omero, erano, fra le tragedie, quelle di Euripide: varie scene mitiche, infatti, come per esempio quella di Fedra e Ippolito dalla antiochena Casa del Pavimento Rosso, o il magnifico m. di Ampurias con la morte di Ifigenia, palesano in qualche dettaglio la versione euripidea. Ma alcuni appassionati di teatro potevano far riprodurre nella loro casa non già l'episodio mitologico, ma addirittura la sua rappresentazione scenica: così, una delle più suggestive è ad Antiochia la rappresentazione dell'inizio della medesima Ifigenia in Aulide euripidea, caratterizzata dall'architettura teatrale e dai costumi scenici; su un emblema dei m. di Ulpia Oescus in Bulgaria si svolge una scena degli Achei di Menandro. Il grandioso pavimento musivo del Vaticano da Porcareccia, presso l'antica Lorium in Etruria, conteneva una quantità di pannelli di carattere teatrale, ciascuno con una scena tragica a due personaggi in costume, oppure con un gruppo di un poeta tra le Muse, o con maschere tragiche e bacchiche. Abbiamo già citato i m. pompeiani con scene della Nuova Commedia, o con la preparazione di un dramma satiresco; la passione per la commedia è illustrata dal m. con soggetti di commedie menandree, con titoli, a Mitilene e dal m. antiocheno con Menandro e Glicera alla presenza della Commedia stessa. Le maschere teatrali che compaiono in una quantità di m., a cominciare da quelli pompeiani, come elementi decorativi, possono per altro avere anche valore magico (v. maschera, Tavola a colori). Alcuni m. palesano invece la predilezione di un proprietario di casa per altre letture, diverse da quelle più consuete, come, ad esempio, per il genere del romanzo ellenistico: così i due m. rispettivamente con scene dei romanzi di Metioco e Partenope e di Nino e Semiramide, dalla Casa del Letterato ad Antiochia. Come abbiamo visto sopra per le superstizioni, così m. rappresentanti specifiche scene religiose possono testimoniare l'appartenenza dei committenti a una speciale religione o setta o congregazione: tal'è il caso per un finissimo, benché frammentario, m. da Cartagine detto M. "della diffa", al Louvre, illustrante una processione isiaca; per un altro da Antiochia rappresentante una scena probabilmente immaginata davanti a un tempio di Iside, e ancor più per i due m. di un'altra casa antiochena rispettivamente con una scena di iniziazione ai misteri di Iside e una seconda riferentesi alla cerimonia del Navigium Isidis. Un curiosissimo m. della tomba di una certa Urbanilla a Lambiridi in Algeria, databile verso la fine del III sec. d. C., palesa l'appartenenza della defunta alla setta gnostica dell'Ermetismo; un altro monumento funerario della Libia accenna probabilmente alle credenze neo-pitagoriche del defunto. Più frequenti di tutti gli altri sono i m. che illustrano i riti e le credenze dei divulgatissimi misteri dionisiaci come, per esempio, il m. sopra citato di Gemila-Cuicul in Algeria. Alcuni di questi m. con rappresentazioni di carattere religioso determinano con tutta verisimiglianza il loro edificio come il luogo stesso di culto. Iscrizioni e dati di scavo determinano come un Bakcheion, sacro ai riti di Dioniso, un edificio di Tramithia nell'isola di Milo, in cui tra gli altri m. ne troviamo uno assai curioso, con un'iscrizione misteriosa, rappresentante una scena di pesca nella quale i pesci simboleggiano i mystae, pescati - cioè salvati - dal dio o dal suo sacerdote; probabilmente decorava un simile edificio anche un vastissimo m. da piazza della Vittoria a Palermo. Alcuni dei numerosi m. con la raffigurazione di Orfeo (v. orfeo, Tavola a colori), potevano appartenere a seguaci delle dottrine o membri di associazioni orfiche, come sembra dimostrato, per un'età assai tarda, dalle iscrizioni su un ben conosciuto m. del museo di Istanbul rinvenuto presso la porta di Damasco a Gerusalemme in cui, accanto a Orfeo e ai suoi animali, vediamo anche un centauro e Pan. Un mitreo può essere decorato, oltre che dalle scene della leggenda del dio, dai simboli e dagli istrumenti del sacrificio taurobolico, com'è il caso di tre dei mitrei di Ostia. Anche la sede di un'associazione privata può essere determinata da scene musive riferentisi alle sue attività, cerimonie, o pratiche come anche da iscrizioni e simboli. Oltre alla già citata Basilica Hilariana sul Celio, possiamo ricordare la supposta sede dell'associazione dei vexillarii o praecones nell'edificio di via dei Cerchi a Roma, sotto al Paedagogium, in cui un m. rappresenta appunto una serie di araldi con le loro insegne, e la Caserma dei Vigili di Ostia nel pronao del cui Augusteum un sacrificio di tori è rappresentato in un m. monocromo. Lungo i portici del Piazzale delle Corporazioni di questa città avevano sede gli uffici delle associazioni di naviganti e commercianti dei paesi in relazione di conunercio col porto di Roma, paesi individuati sui m. antistanti agli uffici stessi da iscrizioni, simboli, stemmi, e anche da rappresentazioni figurate pertinenti alla loro vita e ai loro prodotti (v. ostia).
Infatti le rappresentazioni riferentisi a tutte le manifestazioni della vita quotidiana precedono, per numero, forse solamente quelle del mondo mitologico. Ne abbiamo già nominate parecchie a proposito dei vari ambienti della casa privata; altre larghissime categorie illustrano singoli momenti della caccia, o interi racconti di caccia, a partire dal sacrifizio propiziatorio ad Artemide sino al ritorno della spedizione carica degli animali uccisi, come abbiamo trovato nei quattro pannelli della Villa Costantiniana di Antiochia; oppure corse di cavalli, giochi nel circo, rappresentazioni di mimi e saltimbanchi, lotte gladiatorie: per queste ultime possiamo ricordare da prima i lunghi fregi con un'unitaria e ininterrotta successione di episodi di ogni genere, come in uno dei bei pavimenti da Zliten in Tripolitania, rappresentazioni che più tardi si dissolvono, anche se decoranti un simile lungo fregio, in gruppi più distaccati di individuali combattimenti di gladiatori, alternati spesso a episodi di caccia; per esempio nel m. ricomposto a Villa Borghese a Roma. I lavori agricoli e la vita campestre sono descritti in tutta la varietà dei loro aspetti, per esempio scene singole della vita rustica le abbiamo viste sui testé citati m. da Zliten; altri graziosi quadretti pastorali ci possono essere illustrati negli emblemata della villa romana di Corinto, appartenenti all'età adrianea o antonina. Arrivando a un'epoca assai più avanzata, cioè il V sec. d. C., sui magnifici pavimenti del Grande Palazzo di Costantinopoli (v.), che altri data addirittura nel VI sec., è tutto un repertorio di vivacissime e suggestive scene di vita campestre d'ogni genere, non solo con i consueti contadini che mungono davanti alle loro capanne, ma anche col drammatico episodio del lupo che fa razzia nel gregge, con suonatori, donne alla fontana o che allattano, animali della stalla e del cortile: il paesaggio, con flora e fauna locali ed esotiche (per esempio una scimmia ai piedi di una palma), individuato dalle antiche divinità delle fonti, da Pan che porta sulle spalle Dioniso bambinetto, è disseminato di edifici consueti, ma ravvivato anche da mostri fantastici, da grifi, chimere e liocorni; scene di caccia alla lepre succedono ad altre contro fiere possenti, talora con un cacciatore che si rivolge sulla groppa del cavallo a scoccare la freccia, e le cacce si alternano con lotte di animali, consuete o rare, realistiche o simboliche, come quella di un cervo o di un'aquila contro un serpente, o di un elefante contro un leone. È, al contrario, in chiara e ordinata disposizione che la vita di tutte le stagioni dell'anno in una ricca casa colonica africana ci è descritta nel m. di Dominus Iulius a Cartagine; e la rappresentazione dell'edificio stesso al quale appartiene il m., nel centro di esso, ci può offrire una preziosa informazione sull'architettura di queste ville coloniali africane, di cui altri vari esempi ci sono illustrati soprattutto in un gruppo di grandi e chiari m. di un'altra città africana, Thabraca (Tabarca); ma l'architettura dei più diversi edifici di una città siriana nella metà del V sec. d. C. ci è testimoniata dal bordo "topografico" del m. di Megalopsychia rinvenuto nel sobborgo antiocheno di Dafne (v. antiochia), e rappresentante i varî edifici della città stessa cui appartiene, specificati dai loro nomi e ravvivati da animate scene delle sue strade e piazze. Un simile bordo "topografico" da Ma῾in illustra invece, in forme più o meno schematiche e nella prospettiva peculiare della tarda antichità, le chiese di 24 fra le principali città della Palestina e della Giordania. In una cappella funeraria di Tabarca sono rappresentate contemporaneamente la veduta esterna e quella interna della chiesa denominata da un'iscrizione Ecclesia Mater. Appartenente a questa categoria è il gruppo delle carte topografiche, il cui più illustre esempio è il grande e tardo m. di Madaba (v.), con la veduta a vol d'uccello della città di Gerusalemme. Invece non sono che rappresentazioni generiche di città turrite quelle che ci appaiono in buon numero di m. paleocristiani, soprattutto della Siria e Giordania, in cui le singole città sono differenziate solamente dai nomi diversi. Egualmente molti sono i m. che ci offrono dei paesaggi fantastici, fra i quali vanno inclusi i numerosi e vivaci "paesaggi nilotici", con elementi realistici o idillici dell'ambiente egizio - che non ci obbligano in nessun modo a dedurne una fabbricazione alessandrina -, fra i più antichi e grandiosi dei quali basti menzionare il ben conosciuto e assai discusso m. Barberini da Palestrina. Più o meno realistiche sono delle rappresentazioni di porti di mare, con i loro edifici, i fari, il carico di navi, le scene di pesca. Il pavimento delle terme di Althiburus-Medeina ci rivela una specie di catalogo di tutte le navi della marina del tempo, con la nomenclatura relativa in greco e latino; lungo i pavimenti negli ambulatorî del Martyrion di Seleucia, appartenente già all'inizio del VI sec. d. C., scorriamo come attraverso le tavole di un atlante zoologico in cui sono rappresentate tutte le specie di animali allora noti. Soggetti di vita rustica e cittadina, scene religiose e simboli sono associati nei m. con allegorie delle Stagioni e dei Mesi (v.), uniti in interi cicli nell'interessante categoria dei Calendari illustrati, di cui l'esemplare più antico ci è stato restituito da Antiochia, mentre i più tardi e meglio conservati sono uno a pianta quadrata e uno rotondo da Beisan in Palestina. In un numero ingentissimo di m. troviamo le raffigurazioni delle sole Quattro Stagioni, sia sotto forma di putti o eroti sia di donne (v. Tavola a colori), con o senza ali, in atteggiamenti riferentisi alle caratteristiche di ogni singola stagione e accompagnate dai loro vari attributi. Nel centro dei m. coi Calendarî o con le Stagioni ritroviamo spesso immagini astratte della Terra, del Sole e della Luna, del Tempo, dell'Anno, dell'Abbondanza. La frequenza dei m. con le quattro stagioni è dovuta, in parte, alla convenienza della distribuzione di quattro figure angolari nella divisione dei pavimenti a scompartimenti poligonali; così la frequente divisione dei m. nel sistema esagonale, ottagonale, e via dicendo, fa prediligere la scelta di figure allegoriche o astratte associate in gruppi di 6, 7, 8, 9, 12, escludendo o includendo lo scompartimento centrale, quali, accanto alle Stagioni, i Quattro Venti, le Fazioni del Circo, i sette Giorni della settimana, i 7 Pianeti, i 7 Saggi della Grecia (od otto Sapienti antichi, come nel m. di Baalbek firmato da Amitaion, con massime filosofiche presso a ognuno dei Sapienti), le nove Muse e, coi Mesi dell'anno, i dodici segni dello Zodiaco (v.). Le Fazioni del Circo possono apparire nella rappresentazione stessa delle corse e sotto i relativi simboli, oppure nelle figure dei quattro fantini nei loro costumi di colore diverso e accompagnati dai loro cavalli, come nel m. dalla villa di Baccano al Museo delle Terme. I sette Saggi, oltre che nei loro busti, possono apparire uniti in filosofici conversari, come nei m. da Torre Annunziata e da Sarsina umbra, oppure assisi attorno a una tavola lunata, verisimilmente a rappresentazione del "banchetto dei Sette Sapienti" descrittoci nell'opera arbitrariamente attribuita a Plutarco, come nel m. recentemente scoperto ad Apamea.
La diffusione dei m. delle Stagioni, come di quelli con le rappresentazioni delle corse e delle fazioni del circo, può dipendere anche da un'altra ragione: dal significato magico e profilattico che è stato loro attribuito in un certo momento di evoluzione della speculazione e della superstizione degli antichi. Invece la larghissima voga delle scene di caccia a partire dalla tarda antichità va certamente attribuita al significato allegorico che la caccia e il cacciatore vengono allora acquistando, come immagini della lotta della virtù contro il peccato, e simbolo dell'imperatore, personificazione terrena della divinità, del bene trionfante contro il male. Ottimi esemplari di vasti m. di tal classe sono stati rinvenuti ad Antiochia, a cominciare dal già citato m. della Villa Costantiniana, come molti altri si rinvengono in tutto il mondo antico, per esempio, in Oriente, sui già citati m. del Palazzo Imperiale di Costantinopoli, e in Occidente nella villa di Piazza Armerina (v.) in Sicilia. Infatti, man mano che ci si avvicina alla tarda antichità nell'arte musiva vediamo accentuarsi il prevalere, sulle rappresentazioni mitologiche, di quelle allegoriche e simboliche. Alle allegorie del mondo classico, ciascuna differenziata secondo il suo significato e in genere rappresentata come partecipante a un'azione, vediamo subentrare le allegorie del pensiero bizantino e le personificazioni di idee astratte, impersonali ed immobili, differenziate solamente dai loro nomi. Le personificazioni di Agros e Opora seduti a convivio, ad Antiochia, appartengono ancora in qualche maniera al simbolismo classico; pur sempre, ma più vagamente, sono tali le figure anch'esse banchettanti che distinguono i differenti aspetti del Tempo nel m. di Aion; ma, a cominciare precisamente dal m. della Villa Costantiniana, ci imbattiamo sempre più frequentemente ad Antiochia nelle personificazioni del tutto astratte dei più disparati concetti rappresentati in forme umane, e specialmente nell'aspetto di busti che tendono a dominare soli nel centro di un ampio m. decorativo: Δύναμις, Κτίσις, Χρῆσις, Εὐανδρία, Εὐκαρπία, ᾿Αγωρά, Σωτηρία, ᾿Απόλαυσις, ᾿Ανανέωσις e via dicendo. Il busto femminile, per quest'ultimo concetto, può essere sostituito dal simbolo della Fenice; nel m. di Megalopsychia (v.) il tondo femminile centrale, col suo attributo della sacca di monete, esprime esattamente il medesimo simbolo delle allegorie figurate nelle scene di caccia tutto attorno. La personificazione di Amerimnia, cioè "Sicurezza", "Mancanza di preoccupazioni", appartiene alla classe dei m. tombali, di cui abbiamo già incontrato sopra parecchi esempî, e che si diffonde in una produzione assai larga e in genere di scadente valore artistico specialmente in Africa; ma in questa medesima classe abbiamo talora delle rappresentazioni figurate più complesse e di maggiore levatura artistica, come, per esempio, il m. antiocheno di Mnemosyne, che ci fa assistere probabilmente a un'agape funeraria con la commemorazione dei defunti.
Se non possiamo pertanto ammettere il giudizio di un'estrema decadenza dell'arte musiva nel IV sec. d. C., con l'inaridimento di ogni nuova ispirazione compositiva e il progressivo e rapido abbandono del repertorio figurato, vediamo invece come, per il nuovo gusto del soggetto astratto, assai spesso la decorazione si riduce a un grande busto dominante in un tondo centrale, tutto circondato da un largo bordo geometrico. Verso la fine dell'antichità anche - abbiamo detto - si diffonde la moda del m. a "tappeto", con tutto il campo cosparso di rosette, petali, o a file di uccelli, con o senza un simbolo centrale (quale la Fenice), o a reticolato con un campionario di soggetti varî entro ogni quadrato o rombo, uccelli, fiori, ma anche quadrupedi e oggetti di ogni genere. Altrove, per esempio nel superbo m. di Sabratha (v.) già appartenente al VI sec. d. C., animali simbolici, tra cui domina in alto il prediletto pavone che fa la ruota, si trovano sparsi entro i rami di un immenso ceppo di vite che si espande, quasi in rigoglio naturalistico, in tutta l'immensa superficie del pavimento, mentre ormai più spesso la vigna attorce i suoi viticci in una disposizione regolare di medaglioni rotondi, col ceppo sorgente da una grande anfora, nel centro della base del m., o da quattro anfore angolari, con uccelli, cesti, oggetti diversi in ogni medaglione, come sul m. del Monte degli Ulivi a Gerusalemme: motivo della vigna adottato anche per m. di vòlte, per esempio nella cappella di Santa Matrona a S. Prisco di Capua, con quattro spicchi divisi dalle quattro palme sulle diagonali; oppure medaglioni della vigna racchiudenti ciascuno scene di vita agricola e scene di genere, come nei tardi m. di Kabr Hiram in Fenicia e del già menzionato monastero di Beisan in Palestina (v.). Campionarî di varî elementi presi dal mondo pagano possono entrare anche, col nuovo significato simbolico attribuito loro dal pensiero cristiano, a decorazione di pavimenti di chiese, come nelle due basiliche teodoriane di Aquileia, in una delle quali troviamo soprattutto gli animali simbolici, quali la colomba, la tartaruga, il leprotto e via dicendo, mentre nell'altra fra le figure allegoriche domina in un pannello centrale l'antica Nike col suo nuovo significato di Vittoria Eucaristica, e nell'abside in un pannello maggiore figura il soggetto biblico di Giona e la balena. Su questi medesimi pavimenti di Aquileia (v.) ritroviamo le quattro Stagioni, passate al repertorio cristiano con un significato allegorico poco discosto da quello pagano, come vi passano le altre allegorie dei Tempi dell'anno, e varî soggetti della mitologia classica, come quello di Orfeo e altri. Effettivamente per l'abbellimento di edifici cristiani possono passare soggetti decorativi o figurati del repertorio classico pure a solo scopo ornamentale: tal'è il caso dei dodici pannelli della vòlta a botte, ancora conservataci, lungo l'ambulacro circolare di S. Costanza a Roma (v. Tavola a colori), con elementi geometrici, o un seminato di fiori sparsi nel campo, o scene di vendemmia, mentre per la cupola dello stesso edificio disegni del sec. XVI ci rivelano l'originaria decorazione, oggi distrutta, di eroti naviganti e pescanti in un paesaggio marino, suddiviso da dodici cariatidi. I medaglioni umani nel centro dei pannelli col campo cosparso di fiori palesano qui la prosecuzione fino alla bassa antichità del genere del ritratto realistico che - accanto ai più consueti ritratti ideali di filosofi, di poeti, di personaggi storici - riscontriamo già in un emblema pompeiano, probabilmente di età giulio-claudia, e che ci è attestato dalle fonti storiche, per esempio per il ritratto sopra menzionato di Pescennio Nigro, mentre pure nei medaglioni dei m. di Aquileia con tutta probabilità possiamo riconoscere i ritratti dei donatori. Ma lo splendido impulso offerto all'arte del m. a tessere vitree per pareti e vòlte dalla necessità della decorazione degli edifici del nuovo culto, quale appunto la decorazione di S. Costanza, doveva necessariamente far cadere a un rango di secondaria importanza la decorazione pavimentale dei medesimi edifici: cosicché in una quantità di pavimenti di chiese paleocristiane non troviamo che schematiche composizioni geometriche, spesso con nastri e corde intrecciate formanti cartelli contenenti iscrizioni con le date di fondazione delle chiese medesime, o nomi di fedeli e donatori, o formule religiose. Fra numerosi esempî di simili m. restituitici dal territorio veneto ed istriano (Aquileia, Grado, Parenzo ecc.), una scritta a Grado tramanda il nome dell'unico ebreo del luogo convertitosi in un certo momento al Cristianesimo. La Palestina soprattutto ci ha conservato un buon numero di pavimenti di sinagoghe, con simili decorazioni geometriche, a rozzi animali o ingenue scene figurate, e simboli della religione giudaica.
d) Lo stile. - Al contributo dato dal repertorio musivo alla nostra conoscenza della vita e del pensiero degli antichi, si può forse controbilanciare il suo valore artistico e il suo significato per l'integrazione del quadro complessivo dell'arte, e specialmente della pittura antica. Gli emblemata di Pompei e di Delo ci fanno cogliere soprattutto, come pochi altri prodotti pittorici, il senso naturalistico del tardo ellenismo nel rendimento di ghirlande di fiori e di animali, conservanti ancora schemi e convenzioni dell'arte classica, ma ravvivati dalla vivacità dei colori e dalla delicatezza dei trapassi, con sfumature e ombre impercettibili, e palesanti una tendenza crescente alla regolarità e alla stilizzazione verso l'età augustea; i m. di Dioskourides (v.) ci danno due splendidi esempî del colorismo ellenistico e della rappresentazione di personaggi entro uno spazio architettonico. Lo stile "illusionistico" dell'età flavia spicca in altri m., quale ad esempio il quadretto pompeiano del Nano e del gallo (v. Tavola a colori alla voce impressionismo), che palesa quasi la disintegrazione della superficie pittorica in tante macchie separate, alternatamente chiare e scure, che conferiscono all'insieme l'effetto di irrequietezza e mobilità caratteristico all'arte di questo periodo. Ma il valore della testimonianza dei m. per la storia dell'arte si fa assai maggiore dal momento della distruzione di Pompei, quando le documentazioni per l'arte pittorica si fanno sempre più scarse e frammentarie. Alcuni dei più antichi m. di Antiochia, come quello di Polifemo e Galatea, rispecchiano ancora la maniera del quarto stile pompeiano. Una serie di m. da Villa Adriana con rappresentazioni paesistiche, scene idilliche, lotte di leoni e tori o cacce di centauri, mostrano tutti una medesima ispirazione e maniera artistica e, rivelandosi quindi tutti opera di uno stesso periodo e di una stessa scuola, ci permettono di renderci conto - più che non lo consentano alcune pitture di incerta datazione - di quanto sia erroneo il concetto generalmente diffuso di un'arte dell'età di Adriano esclusivamente impregnata di classicismo, che segnerebbe una stasi nello sviluppo della maniera prettamente romana; come, al contrario, l'arte adrianea raggiunge l'espressione massima di tutte le tendenze trapelate nell'arte romana fin da quando, sui suoi inizi, questa s'era avviata lungo un proprio cammino indipendente, nella conquista dello spazio, nella rappresentazione prospettica, nell'organizzazione del quadro da un unico punto di vista e da un'unica sorgente di luce, pure accoppiando questi raggiungimenti con un rinnovato senso plastico nel rendimento dei corpi, con un'accentuazione della linea di contorno e un delicato trapasso di luci e ombre e tonalità - sostituitosi alle macchie dell'illusionismo flavio - per il passaggio dei piani interni delle figure. Gli artisti si sentono ora talmente padroni della prospettiva, che quasi si compiacciono delle posizioni oblique più ardite dei loro personaggi, degli atteggiamenti più casuali e più peregrini, degli incroci più impensati dei diversi elementi; ai sistemi della prospettiva lineare si aggiungono quelli della prospettiva aerea, agli effetti di luce solare si alternano la rappresentazioni di "notturni", come nel già citato m. antiocheno di Komos, in cui il dio appare, illuminato da una torcia, nella penombra della stanza del banchetto; agli esperimenti nel rendimento delle iridescenze dell'aria, si accoppiano quelli della trasparenza dell'acqua, sotto alla quale si rispecchiano e gettano ombra parti di corpi, come gli zoccoli di un toro in uno dei pannelli di Villa Adriana. Un'accentuazione di tutte le tendenze dello stile adrianeo si può perseguire attraverso l'intero periodo degli Antonini: gli effetti di luci chiare, vibranti sulle superfici, e di ombre scure ammassate sui contorni, tendono ormai al virtuosismo, la rappresentazione di capelli e di riccioli della barba, a una maniera pittorica di toni sfumati; il movimento tende a divenire agitazione, l'espressione aumenta d'intensità. La caratteristica acconciatura femminile ci suggerisce, per esempio, una data tra la fine del regno di Antonino Pio e l'inizio di quello di Marco Aurelio per il bel m. firmato da Aspasios da Lambaesis in Algeria, e una simile acconciatura la ritroviamo nel già rammentato m. dionisiaco da Gemila-Cuicul della medesima provincia, databile verisimilmente verso gli inizî del regno di Commodo. Col periodo severiano non possiamo dire ancora di constatare una decadenza, ma piuttosto di aver raggiunto una saturazione di tutte le tendenze e di tutte le conquiste dell'arte precedente, e insieme l'esplicazione di tendenze e di maniere nuove: con l'alba del III sec., in altre parole, trapelano già i germi di quello che sarà l'"espressionismo" del Medioevo. L'ideale della rappresentazione perfetta del corpo umano, della creazione dello spazio attorno ad essa e dell'organizzazione della scena nello spazio secondo leggi prospettiche, non interessa più; per l'accentuazione dello slancio, la figura umana può essere innaturalmente allungata per ottenerne un'immediata relazione con lo spettatore, la si torce in piena frontalità, mentre anche le figure che dovrebbero essere immaginate lontane nello spazio sono portate quanto più possibile in primo piano; la veridicità del racconto è subordinata all'espressione del concetto che si vuol far valere, la "forma" cede davanti all'"idea". Un'esemplificazione di tutte le discordanti tendenze dell'arte severiana può essere offerta, fra tanti, dall'efficacissimo m. con scene agricole da Cesarea-Cherchel, pure in Algeria. La vivacità dell'azione è divenuta qui concitazione, gli atteggiamenti sono forzati, distorti a servizio della drammaticità del racconto, sottolineata dal ritmo obliquo dei corpi, dai gesti angolari; i capelli sono resi a masse arruffate e sconvolte, i contrasti di chiari e scuri, di luci e ombre sono violenti. Il rendimento pittorico del paesaggio, cosparso di alberi e di collinette, col terreno degradante da una zona all'altra senza una linea diritta per il suolo, crea a prima vista un'espressione di spazio; ma a un più attento esame si nota che uno spazio profondo non esiste, che tutte le figure sono portate in superficie, e collegate fra di loro e con gli elementi paesistici in una pseudo-prospettiva. I m. di Antiochia, inoltre, hanno richiamato l'attenzione al risorgere verso il principio del III sec. della maniera di rappresentazione di scene figurate entro ricche cornici architettoniche, già prevalsa durante il secondo stile pompeiano, ma ora con una tendenza assai più realistica nel rendimento degli edifici e nei loro rapporti con le figure in essi o davanti ad essi immaginate. A partire dalla seconda metà del III sec. d. C. i m. ci fanno assistere a un vero e proprio dissolvimento del naturalismo ellenistico, all'intiepidimento di tutti i mezzi stilistici precedenti, a un rendimento di corpi umani sempre più schematico, con contorni rigidi, un drappeggiamento lineare, un gestire sempre più vacuo ed enfatico, un disfarsi della composizione in elementi staccati. Nei volti, sempre più vuoti di espressione, si può notare spesso l'accentuazione delle guance mediante grandi chiazze rosse - particolare che ritornerà nel m. medievale.
I pavimenti della Villa Costantiniana di Antiochia ci permettono di cogliere in una delle sue manifestazioni più suggestive quella maniera detta il Rinascimento di Costantino, nella quale è adottata l'imitazione più larga di soggetti e schemi classici, talora con una finezza di esecuzione che a prima vista ci lascia perplessi nel dubbio di trovarci di fronte a opere dell'antichità classica medesima; a un esame più attento invece si rivela chiaramente come l'arte non ha arrestato per niente il suo cammino verso quella che sarà tra poco la più spiccata maniera del Medioevo. Il rendimento del volume plastico dei corpi è sostituito da una disposizione sempre più ornamentale e simmetrica delle pieghe del panneggio, da un'alternativa ritmica di zone d'ombra e di luce atta a creare movimento e vita alla sola superficie; nelle scene di caccia le posizioni oblique dei personaggi, seguenti i contorni laterali dei pannelli trapezoidali, tengono sospesi i corpi in un equilibrio del tutto instabile; in queste rappresentazioni paesistiche, gli incroci obliqui delle figure creati spazio con mezzi prospettici sono sostituiti dalla giustapposizione dei corpi, tutti portati in primo piano. Le rocce di contorno hanno già la suddivisione a blocchi regolari che si trovano nei manoscritti miniati del primo Medioevo; in tali manoscritti trova riscontro il peculiare allineamento di figure su due o più piani paralleli, quale notiamo già per la distribuzione del gregge nei pannelli idillici del bordo del pavimento su citato, allineamento che possiamo riscontrare egualmente nel quadro del Buon Pastore del più antico fra i m. parietali di Ravenna, nel "Mausoleo di Galla Placidia", assieme al medesimo rendimento delle rocce, alla medesima forma degli animali e alla medesima disposizione ornamentale della lana delle pecore (v. ravenna).
Il rapido moltiplicarsi dei monumenti musivi per i recenti ritrovamenti e l'approfondirsi della nostra conoscenza sulle diverse scuole per tutta la vasta estensione dell'Impero romano, peraltro, ci mettono in guardia dal presumere di poter tracciare una linea evolutiva della storia del m. uniforme ed equivalente dappertutto. Divergenze cronologiche potranno risultare per le varie province secondo la distanza di ognuna dai grandi centri propulsori dell'arte imperiale, l'importanza e la capacità dei singoli laboratorî o l'aggiornamento o invece il conservatorismo dei singoli artisti; differenze stilistiche potranno talora essere dovute a tendenze contrastanti per le diverse categorie di m., quelli di solenni edifici imperiali o di case private, quelli di edifici profani e pagani e quelli di edifici sacri e cristiani. Così, passando dai m. di una provincia orientale, quali quelli di Antiochia, alle scuole d'Occidente, uno splendore esuberante di pavimenti musivi e un vigoroso rinnovamento artistico possono essere riscontrati nel ricco repertorio di m., che ci offrono quasi un campionario di ogni sorta di rappresentazioni - fra i meglio visibili dopo i recenti restauri e la copertura dell'edificio a loro protezione - conservatici nella già citata villa di Piazza Armerina (v.), in Sicilia: grande villa imperiale, o almeno patrizia, del cui proprietario l'immagine stessa sarebbe rappresentata da un personaggio, riccamente ammantato e in atteggiamento solenne, assistente agli svariati episodî di cattura e trasporto a Roma di fiere e animali esotici nel m. della Grande Caccia, che adorna un lunghissimo corridoio dominante il peristilio centrale. Stile e trovamenti di scavo suggerirebbero, se non per tutto il complesso per una parte dei m., una datazione già verso il principio del IV sec., cioè ancora alla fine dell'età tetrarchica e l'inizio di quella costantiniana. Oltre al vasto tappeto a teste animali tutt'attorno ai quattro lati dello spazioso peristilio, e ad altri varî m. decorativi, il complesso comprende scene di contenuto realistico - gruppi di famiglia, con dame e fanciulli che si avviano al bagno, o cambiano vestiti, o uomini che si preparano al massaggio dopo il bagno, o un gruppo di bambinetti che giocano, e forse una scena di acclamazione del padrone della villa al suo ingresso in essa, e una splendida rappresentazione della corsa nel circo - specificato forse come il Circo Massimo di Roma - in un ampio salone a due absidi affiancato alle terme, mentre nel "Piccolo Circo", sotto l'aspetto di una corsa di fanciulli su bighe tirate da uccelli, è rappresentata l'allegoria delle Quattro Stagioni. Soggetti realistici sono ancora le scene di caccia, in cui oltre alla grande caccia già citata incontriamo una caccia più piccola, con tutti i suoi varî e consueti episodî dai preparativi col sacrificio ad Artemide fino al banchetto alla sua fine, e una scena di agoni di musica e poesia. Amorini spesso sostituiscono personaggi reali in m. con la vendemmia o la pigiatura e il trasporto dell'uva, e in altri con soggetti marini in cui navigano o pescano o solcano le acque sul dorso di delfini o si associano a tritoni e nereidi nel thìasos marino. Nel repertorio mitologico sono comprese rappresentazioni di Arione, di Orfeo, di Polifemo, della contesa di Eros e Pan, di Dafni e di Cyparissus e, insieme a questi ultimi, nella lussuosa aula triloba presso allo xystus, scene del mito di Ercole, cioè la sua vittoria sui giganti, la sua apoteosi, e la pazzia di Licurgo (v.), attorno a un'ampia composizione quadrata con le imprese dell'eroe. Soprattutto in queste ultime e grandiose composizioni possiamo cogliere le alte qualità artistiche dei migliori fra i mosaicisti della villa (l'arte dei quali trova un riscontro più nelle scuole africane che non in quelle delle province orientali), per la sapiente composizione dei singoli quadri e lo stretto intreccio dei varî episodî nella singola composizione centrale, per l'irrompente foga dell'azione, le ardite prospettive, le violente torsioni e gli abili scorci, la gradevole coloritura e il gioco dei chiaroscuri conferenti plasticità ai corpi: qualità e caratteri stilistici che - quale che sia la discussa datazione della costruzione e della decorazione musiva dei singoli ambienti della villa - qui realmente più spesso suggeriscono un ritorno e un'intensificazione della precedente maniera dell'arte severiana che non palesino gli elementi che nel progredito rinascimento costantiniano preludono all'arte del Medioevo.
La trasformazione del rendimento anatomico in un puro effetto chiaroscurale a spesse linee di contorno formanti grandi bozze scure e piani chiari, quale abbiamo notato nella Villa Costantiniana, appare anche meglio nei robusti leoni centrali di pavimenti antiocheni imitanti tappeti, nonché nell'"atlante zoologico" del Martyrion di Seleucia e nelle vaste composizioni di caccia. In queste ultime possiamo notare come l'indicazione della pelle animale è piegata ormai a un vero motivo ornamentale, e a tale aspetto si adatta pure la rappresentazione del sangue che goccia dalle ferite formando disegni a fiamma o a ventaglio; in uno dei leoni or ora menzionati, precisamente nel m. del Leone con nastri, c'imbattiamo per la prima volta nella curiosa convenzione (ripresa oggi dalla pittura contemporanea) del rendimento del muso insieme nella veduta frontale e in quella laterale. Infatti, col progredire dell'arte dei m. pavimentali, ci troviamo sempre più spesso di fronte al rendimento di oggetti e scene sia nella cosiddetta "prospettiva inversa" - in cui cioè la parte delle rappresentazioni più lontana è resa in proporzioni più grandi, invece che più piccole, rispetto a quella più vicina allo spettatore -, sia nella caratteristica distorsione di parti di figure e di edifici, dipendente dall'intento espressionistico dell'arte della fine del mondo antico, per cui le parti laterali, che dovrebbero rimanere invisibili, sono rotate di 90° e portate in primo piano parallelamente alla veduta principale che l'oggetto presenta allo spettatore: rotazione e distorsione che possiamo notare nel m. topografico di Madaba (v.), e che pare duplice nel m. della Ecclesia Mater in cui, oltre all'affiancamento delle vedute laterali a quella frontale, sembra rotato di 90° anche il pavimento orizzontale rispetto alle pareti verticali. Per l'abolizione dello spazio reale, l'allineamento di tutte le figure in primo piano e l'intreccio impossibile di tali figure, uno stadio assai più avanzato che non nel m. della Villa Costantiniana si può notare nel m. antiocheno dell'Amazzonomachia; in questo incontriamo anche la distorsione di certe parti di uno stesso corpo umano o animale rispetto ad altre parti, distorsione che in qualcuna delle grandi rappresentazioni di caccia arriva allo scavezzamento di 180° di braccia e gambe sul loro tronco. Nel dettaglio del torchio da vino in uno dei pannelli della vendemmia sulla vòlta di S. Costanza, per rendere più visibile la scena rappresentata notiamo il convenzionale spostamento prospettico di tutti i quattro pilastri del torchio verso lo sfondo, come se tutti sorgessero dall'orlo più lontano di esso: convenzione che, attraverso una serie di esempî nella miniatura dell'alto Medioevo, ritroviamo per esempio circa due secoli più tardi di S. Costanza per la rappresentazione delle cortine delle due edicole laterali più alte nel pannello dei SS. Filippo, Therinos e Cirillo a S. Giorgio di Salonicco. L'illusivo movimento e la convenzionale posizione obliqua dei corpi dei cacciatori del m. di Megalopsychia da Antiochia, col rabesco delle pieghe delle vesti incorporee, formanti uno sfondo ornamentale ai corpi, cede alla staticità assoluta dell'immobilità frontale nell'immagine centrale dell'altro antiocheno m. della Caccia di Worcester, nella stessa maniera come il ritmico movimento obliquo degli Apostoli del Battistero degli Ortodossi di Ravenna rispetto all'immobilità dei Martiri di S. Giorgio a Salonicco. Alle personificazioni mosse da passioni interne e partecipanti alle azioni umane, abbiamo visto sostituirsi gradualmente nei medaglioni dei m. i busti femminili di Megalopsychia, Ananeosis, Ktisis, in posizioni rigidamente frontali e icratiche, immobili e impersonali, staccate cosi dal mondo circostante come dallo spettatore, coi grandi occhi sbarrati in un'impassibile fissità: immobilità e fissità che ancora più tardi, nel Calendario figurato di Beisan (v. mesi e calendario) anche per la struttura dei volti e certe acconciature (v. per esempio quella di Febbraio), richiamano direttamente a qualcuna delle solenni immagini della corte imperiale di Giustiniano rappresentata a Ravenna, come quella del Praepositus sacri cubiculi.
5. - Il mosaico cristiano. - Per questi ultimi raffronti siamo risaliti dai m. pavimentali in pietra dell'antico repertorio pagano ai m. in vetro di pareti e vòlte di chiese di edifici cristiani. È ora il massimo trionfo di quest'arte, al cui splendore scintillante, più che non alle discrete tonalità di colore della pittura, è affidata la glorificazione della nuova fede, coll'esposizione di interi cicli di rappresentazioni religiose che ammantano di figurazioni, distribuite in canoni ben determinati, tutto l'interno dei sacri luoghi, a edificazione insieme e diletto dei fedeli. Con questi monumenti, anche se cronologicamente possiamo essere ancora entro l'evo antico, abbiamo già messo piede su quella che sarà non solo l'arte, ma anche l'iconografia e lo spirito dominante del Medioevo. Al giovane e imberbe Buon Pastore dell'iconografia pagana che abbiamo visto nel "Mausoleo di Galla Placidia", si sostituisce definitivamente, di solito nel centro della vòlta, l'immagine barbata del Pantocrator. Barbato è già il Cristo nel m. absidale di S. Pudenziana a Roma, databile probabilmente nei primi anni del V sec., nel quale però la rappresentazione di Gerusalemme sullo sfondo ricorda le prospettive di edifici su monumenti pagani che abbiamo prima citato, in cui l'immagine velata di Ecclesia ricorda il busto di Apolausis o le donne del m. di Mnemosyne di Antiochia. Un'intera Bibbia figurata ci è conservata nei m. di S. Maria Maggiore a Roma, che vengono datati tutti nel pontificato di Sisto III, cioè ancora nella prima metà del V sec., con le scene della infanzia di Cristo nel grandioso arco trionfale e tutto un ciclo di rappresentazioni dell'Antico Testamento nei pannelli rettangolari della navata centrale; ma certe immagini della Madonna di questi m., soprattutto quella nella scena del riconoscimento della divinità di Cristo da parte di Afrodisio nell'arco trionfale, ci possono richiamare alla mente il busto di Megalopsychia ad Antiochia, mentre scene ed edifici dei pannelli rettangolari in molti dettagli ricordano le case e la vita cittadina del bordo topografico attorno a tale busto. Ci possiamo arrestare sullo scorcio dell'evo antico con un monumento, quale il Battistero della Cattedrale di Ravenna, eretto verisimilmente dal vescovo Neone appunto agli inizî della seconda metà del V sec., di sapore cosi schiettamente bizantino ormai nella decorazione della cupola col Battesimo di Cristo circondato dal giro dei dodici Apostoli: solenni, ieratiche figure queste, ogni dettaglio del cui linguaggio artistico peraltro - panneggiamento, struttura delle teste, tendenza alla frontalità, concentrazione pensosa dei grandi occhi sbarrati - lo abbiamo veduto precedentemente formarsi lungo il cammino dell'arte della tarda antichità (v. anche nuovo testamento; paleocristiana, arte).
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Acad., VIII, 1930, p. 7 ss.; XIII, 1936, p. 67 ss.; XVII, 1940, p. 81 ss., rispettivamente sui m. italici della Repubblica e del principio dell'Impero, quelli del II sec., e quelli di Roma e vicinanze del tardo Impero: A. Blanchet, Études sur la décoration des édifices de la Gaule romaine, Parigi 1913; E. Krüger, Römische Mosaiken in Deutschland, in Arch. Anz., 1933, c. 656 ss.; K. Parlasca, Die röm. Moasiken in Deutschland, Berlino 1959; R. Thouvenot, L'Art provincial en Maurétanie tingitane. Les mosaïques, in Mélanges d'arch. et d'histoire, LIII, 1936, p. 25 ss.; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947 (m. di Antiochia, Dafni e Seleucia; varî capitoli generali sulla storia del m.; cfr. anche C. R. Morey, The Mosaics of Antioch, New York 1938); per i m. della Tripolitania: G. Guidi, in Africa Ital., V, 1933, p. 119 ss. e VI, 1935, p. 110 ss.; S. Aurigemma, L'Italia in Africa. Le scoperte archeologiche, I, I monumenti di arte decorativa, Parte I, I mosaici, Roma 1960. Alcuni inventarî e cataloghi: B. Nogara, I m. antichi conservati nei palazzi pontifici del Vaticano e del Laterano, Milano 1910; U. Fasiolo, I m. d'Aquileia, Roma 1915; per Ostia: G. Becatti, Scavi di Ostia, IV, I mosaici, Roma 1961; per quelli delle necropoli dell'Isola Sacra: G. Calza, La necropoli del Porto di Roma nell'Isola Sacra, Roma 1940; per la Sicilia: B. Pace, in Mem. Lincei, XV, 1915, p. 577 ss. Province: Inventaire des m. de la Gaule et de l'Afrique, I, Gaule; II, Tunisie; III, Algérie, Parigi 1909-25, cui fa seguito il Recueil général des m. de la Gaule, I, Belgique (Gallia, Suppl. X, a cura di H. Stern), Parigi 1957; L. Fouchet, Inventaire de Sousse, Tunisi 1960; E. Espérandieu,Les m. romaines de Nîmes, Nîmes 1935; R. P. Hinks, Cat. of the Greek, Etr. and Roman Mosaics in the Br. Mus., Londra 1933; T. Morgan, Romano-British M. Pavements, Londra 1886; J. N. von Wilmowsky, Römische M. aus Trier u. dessen Umgegend, Treviri 1888; F. Russell Cortez, Mosáicos romanos da Estremadura, in Boletim da Junta de Provincia de Estremadura, XIII, 1946, p. 274 ss.; XIV, 1947, p. 55 ss.; A. Balil, Consideraciones sobre el m. hispanorromano, Guimaraes 1958; sui m. paleocristiani del Dodecanneso: P. H. Lazzaridis, in Atti del IX Congr. Internaz. bizantino, Atene 1955, p. 227 ss.; M. Avi-Yonah, M. Pavements in Palestine (ristampato da Quarterly of the Depart. of Antiquities in Palestine, II-III), 1934; id., Israele, Mosaici pavimentali antichi, Milano 1960 (coll. Unesco, ed. it.); R. Horning, Verzeichniss von M. aus Mesopotamien, Syrien, Palästina u. dem Sinai, in Zf. d. Deut. Pal. Ver., XXXII, 1909, p. 113 ss.; M. Chéhab, Mosaïques du Liban, in Bull. du Musée de Beyrouth, XIV-XV, 1958-59; F. M. Biebel, in Gerasa, City of the Decapolis, New Haven 1938, p. 297 ss. Alcuni lavori principali su alcuni edifici decorati in m. o singoli m.: H. Fuhrmann, Philoxenos von Eretrien, Gottinga 1931 (sul m. di Alessandro); E. Schmidt, Studien zum barberinischen M. in Palestrina, Strasburgo 1929; G. Gullini, I mosaici di Palestrina, Roma 1955; e per il loro restauro: S. Aurigemma, in Rend. Pont. Acc., XXX-XXXI, 1957-58, p. 41 ss.; T. L. Shear, Corinth, V, The Roman Villa, Cambridge Mass. 1930; S. Aurigemma, I m. di Zliten, Roma 1926; F. Fremersdorf, Das röm. Haus mit dem Dionysos - M. vor dem Südportal des Kölner Doms, Berlino 1956; J. Moreau, Das Trierer Kornmarktmosaik, Roma 1960; Esplorazioni sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1951, spec. p. 38 ss.; B. Pace, I mosaici di Piazza Armerina, Roma 1955; G. V. Gentili, La villa Erculia di Piazza Armerina. I m. figurati, Milano 1959; C. Cecchelli, in La Basilica di Aquileia, Bologna 1937, p. 107 ss. (per questi m. e per gli altri paleocristiani di Aquileia, v. anche G. Brusin - P. L. Zovatto, Monumenti paleocristiani di Aquileia e Grado, Udine 1957); C. Cecchelli, I m. di S. Maria Maggiore, Roma 1956: G. Brett, in The Great Palace of the Byzantine Emperors, I, Oxford 1947, p. 64 ss. (datazione probabilmente troppo alta al principio del V sec.); D. Talbot Rice, ibid., II, Edimburgo 1958, p. 121 ss.; G. M. Fitzgerald, A Sixth Century Monastery at Beth Shan (Scythopolis), Filadelfia 1939; M. Avi-Yonah, The Madaba M. Map, Gerusalemme 1954. Per una rapida rassegna dei m. cristiani: M. van Berchem - E. Clouzot, M. chrétiennes du IVe au Xe siècle, Ginevra 1924. Soggetti di vita e di culto nei m. di Antiochia e in altri: D. Levi, Aion, in Hesperia, XIII, 1944, p. 269 ss. (aggiungi il magnifico m. con Aion, Gea e i Karpoi, numerose altre personificazioni da Shabba-Philippopolis: E. Will, in Annales archéol. de Syrie, III, 1953, p. 27 ss.; A. J. Festugière, in Rev. des Arts, VII, 1957, p. 195 ss.); id., The Allegories of the Months in Classical Art, in Art Bull., XXIII, 1941, p. 251 ss. (cfr. anche H. Stern, Le Calendrier de 354, Parigi 1953, e R. Ginouvès, La m. des mois à Argos, in Bull. Corr. Hell., LXXXI, 1957, p. 216 ss.); id., The Evil Eye and the Lucky Hunchback, in Antioch-on-the-Orontes, III, Princeton 1941, p. 220 ss.; id., Mors Voluntaria. Mystery Cults in M. from Antioch, in Berytus, VII, 1942, p. 19 ss.; id., The Novel of Ninus and Semiramis, in Proc. Amer. Phil. Soc., LXXXVII, 1944; p. 420 ss.; T. Ivanov, Une m. romaine de Ulpia Oescus, Sofia 1954; L. Foucher, Navires et barques figurés sur des m. découvertes à Sousse ecc., Tunisi 1957; A. Blanco Freijeiro, M. antiquos de asunto báquico, in Boletín de la Real Acad. de la historia, CXXXI, 1952, p. 273 ss. Sull'effetto apotropaico della testa di Oceano: P. Friedländer, Documents of Dying Paganism, Berkeley 1945, p. 23 ss., tav. 8; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, cit., p. 169, nota 5. Per un elenco esauriente dei m. con le Stagioni cfr. G. M. A. Hanfman, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge Mass. 1951, spec. i cataloghi, II, p. 185 ss. Sulla terminologia e diverse interpretazioni della voce lithòstroton: M. E. Blake, op. cit., VIII, p. 50 ss.; F. v. Lorentz, art. cit., c. 330 ss.; D. Gioseffi, La terminologia dei sistemi di pavimentazione marmorea e una pagina della "Naturalis Historia", in Rend. Lincei, 1955, p. 272 ss. Sulla supposta origine orientale del m. cfr. V. Müller, The Origin of M., in Journ. Amer. Orient. Soc., LIX, 1939, p. 247 ss. Sui pavimenti in stucco colorato: D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 4, nota 17; p. 307, fig. 26. Per i resti di m. parietali e di vòlte dell'antichità: C. Cecchelli, Le origini del m. parietale cristiano, in Architettura e Arti decorative, II, 1922-23, p. 3 ss.; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 4, nota 18; per le firme di mosaicisti: id., ibid., p. 8, nota 38; per la tecnica e i metodi di composizione dei mosaicisti: G. Guidi, art. cit., V, 1933, p. 33 ss.; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 8 ss. e passim; J. Lassus, Réflexions sur la Technique de la m. (Conférences du Ms. Gsell), Algeri 1957. Per l'imitazione di soffitti sui m. pavimentali: Ronczewski, in Izvestiia Russiskoj Akademii istorii materialnoi kul'tury, I, 1921 ss.; G. Guidi, art. cit., p. 150; D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, passim, specialmente p. 228 ss. per quanto riguarda le vòlte a crociera. Sui falsi: K. Parlasca, Mosaikfälschungen, in Röm. Mitt., LXV, 1958, p. 154 ss. Per i rapporti fra arte musiva e arte tessile: D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 449 ss., nota 167, e p. 437 ss.