morti per forza
Formano la terza schiera di anime che D. incontra nell'Antipurgatorio; procedono lungo il secondo balzo della montagna sacra cantando il Miserere (Pg V 24); accorgendosi dell'ombra che fa D. mutano il canto in un " oh! " lungo e roco (v. 27) e inviano due di loro a domandare ai poeti chi mai essi siano; avutane risposta, accorrono affollandosi attorno a D. e lo pregano di rallentare il passo e di guardarli per vedere se riconosca alcuno di cui possa, tornando al mondo, recar notizia ai vivi; concludono la preghiera palesando il modo come son morti: Noi fummo tutti già per forza morti, / e peccatori infimo a l'ultima ora; / quivi lume del ciel ne fece accorti, / sì che, pentendo e perdonando, fora / di vita uscimmo a Dio pacificati, / che del disio di sé veder n'accora (vv. 52-57). D. è costretto a confessare che non riesce a riconoscere alcuno; si dichiara però pronto ad ascoltarli e a soddisfarne i desideri. Così, mentre continua a camminare, ligio al consiglio del suo duca (pur va, e in andando ascolta, v. 45), presta orecchio ai casi della tragica fine di lacopo del Cassero, di Bonconte da Montefeltro, di Pia senese e di altri, tra cui Benincasa da Laterina, Guccio de' Tarlati, Federigo Novello, Farinata (o, secondo altri, Gano) degli Scornigiani, Orso degli Alberti, Pier da la Broccia. Tutti indistintamente gli si raccomandano nel momento del commiato.
Prescindendo da altre interpretazioni secondarie, ricorderemo che il Filomusi Guelfi suggerì un ordinamento dell'Antipurgatorio basato sulla teologia tomistica affermando che, se nell'Antipurgatorio " si finisce di sanare la piaga del peccato quanto alla volontà ", i m. per forza rappresenterebbero la terza schiera di " anime che, già ree di peccato mortale, si sciolsero dal corpo con la sola ‛ contritio ' [similmente si sciolsero gli scomunicati e i pigri, ma non gli abitatori della valletta che, a suo parere, ebbero in più la ‛ confessio '] e con l'attenuante della morte violenta ", immatura cioè. In base a tale classificazione egli respingeva anche l'ipotesi avanzata dal Bartoli, che i m. debbano stare nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto vissero, essendo essi, pur se in vita non attinti da pigrizia, rimasti fuorviati dal vero bene per la contingenza di altre occupazioni. A questa interpretazione sembra essersi invece accostato il D'Ovidio, il quale, pur ammettendo come il Filomusi Guelfi una netta separazione nel mondo antipurgatoriale, ha posto i m. direttamente fra i ‛ ritardatari ' e cioè assieme ai pigri e agli abitatori della valletta. Via diversa ha seguito il Busnelli che, ordinando l'Antipurgatorio sulla base della classificazione adottata da D. per il settimo cerchio infernale, ha finito per considerare i m. assieme ai pigri quali rappresentanti della negligenza usata verso sé stessi (i contumaci l'avrebbero usata contro Dio e i principi della valletta contro il prossimo). Al suo criterio si è accostato il Santi, che, pur suddividendo fra contumaci e negligenti, ha notato però che, fra questi ultimi, i m. sono meno colpevoli dei pigri. A un'interpretazione dichiaratamente simbolica si è rifatto invece il Pietrobono, il quale, dopo aver sottolineato che " l'accidia si incontra sempre nelle piagge ", ha visto negli accidiosi (pigri, m., abitatori della valletta) un preciso richiamo alle tre fiere: i m. sono stati, a suo avviso, " vittime del leone, il cui regno è nell'Inferno dell'ira mala ". In una sfera precipuamente tomistica (e il richiamo al Filomusi Guelfi, pur se non esplicito, appare sottinteso e probante) si muovono poi i dantisti più recenti che guardano complessivamente all'Antipurgatorio come al luogo dove viene espiandosi il ‛ reatus culpae ', che è cosa ben distinta dal ‛ reatus poenae ' che si estingue con le pene nei giorni del Purgatorio.
Accanto alle ipotesi del Pasquazi e del Petrocchi (v., in questa Enciclopedia, la voce ANTIPURGATORIO), se ne potrebbe, a nostro avviso, avanzare un'altra: se l'Antipurgatorio non si ordini sulla base della stessa dialettica dell'Amore che regola il Purgatorio. Risponderebbero in tal caso i m. alla categoria di quelle anime che, nell'ambito del ‛ reatus culpae ' corsero confusamente (Pg XVII 127) al bene con troppo... di vigore (v. 96).
La sollecitazione con cui le anime dei m. si muovono è indice, come bene osserva il Sapegno, di una " situazione psicologica " che le distingue dalle altre schiere dell'Antipurgatorio. Tutto il canto che le riguarda vive poeticamente nella dimensione di una tensione drammatica resa ancora più forte, al di là delle stesse storie che della propria fine narrano Iacopo del Cassero, Bonconte e la Pia, dall'urgenza con cui tutte si raccomandano al pellegrino vivo perché le ricordi ai vivi. Coglie nel vero il Momigliano notando che " alla fantasia del poeta è presente più il primo (II gioco de la zara, VI I) che il secondo termine del paragone, più la folla del giuoco dei dadi... che il quadro che gli sta davanti ", e nota " la degradazione sentimentale che si avverte dalla litaniante processione del Miserere a questa turba fastidiosa di postulanti ". Invero la precisa rappresentazione, diremmo realistica, di una scenetta di vita quotidiana rompe l'equilibrio drammatico dell'incontro, s'insinua come una nota di fastidio che può essere spiegata soltanto alla luce di una condizione psicologica del poeta. Come individua il Bosco, " Dante non ha simpatia per chi chiede con petulanza: ciò è assai lontano dal suo ideale di uomo dignitoso ".
Bibl. - A. Bartoli, Tavole dantesche, Firenze 1893; P.Y. Prompt, L'Antipurgatorio, in " Giorn. d. " II (1894) 285-294; L. Filomusi Guelfi, La struttura morale del " Purgatorio " dantesco, Firenze 1897; A. Santi, L'ordinamento morale e l'allegoria nella Commedia, Palermo 1902; F. D'Ovidio, Il Purgatorio dantesco e il suo preludio, Milano 1906, 221-253; G. Busnelli, L'ordinamento morale del Purgatorio dantesco, in " La Civiltà Cattolica " LVIII (1908) fasc. I 402-416, 688-702; II 398-413; III 21-34, 413-427; V 142-154, 575-587; L. Pietrobono, D. e la D.C. - " Dietro le poste delle care piante ", Firenze 1953, 74 ss.; U. Bosco, Il Purgatorio, Torino 1958, 54-56; S. Pasquazi, All'eterno dal tempo. Studi danteschi, Firenze 1966, 115-117.