Morte ed estinzione della parte contribuente
Nel settore tributario, il principio civilistico generale di successione degli eredi del soggetto defunto, nelle obbligazioni a quest’ultimo facenti capo ed il cui presupposto si sia verificato anteriormente all’evento morte, incontra, nell’esigenza di garantire al Fisco soddisfazione al proprio credito, in attuazione del dovere costituzionale di contribuzione di tutti alle spese pubbliche, alcune deroghe normative (art. 65 d.P.R. 29.9.1973, n. 600, art. 36 d.P.R. 29.9.1973, n. 602, art. 28 d.lgs. 21.11.2014, n. 175), che hanno dato luogo a peculiari profili processuali applicativi, non ancora del tutto pienamente risolti.
Gli eredi subentrano, anche nelle obbligazioni di imposta, nelle posizioni, attive o passive che facevano capo al soggetto defunto (persona fisica). I soci, successori universali sui generis, secondo l’interpretazione fornita, nel 2013, dalle S.U., rispondono, limitatamente o illimitatamente, per i debiti tributari del soggetto estintosi (persona giuridica, ente collettivo). Rispetto ai principi civilistici generali, vi sono tuttavia alcune peculiarità (art. 65, d.P.R. 29.3.1973, n. 600), con riguardo alle imposte sui redditi, quali la responsabilità in solido in capo agli eredi del debitore, a fronte della disciplina civilistica della divisibilità dell’obbligazione in ragione delle quote ereditarie, dettata dagli artt. 752 e 754 c.c. e 1295 c.c., e la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di notificare l’atto impositivo (avviso di accertamento) o esattivo (cartella), intestato al de cuius, eccezionalmente (pur trattandosi di atti recettizi), al successore o ai successori (condebitore/i solidale/i), impersonalmente e collettivamente, all’ultimo domicilio del de cuius, laddove gli eredi non abbiano, almeno trenta giorni prima, effettuato la comunicazione, all’Ufficio delle imposte, direttamente o mediante raccomandata con avviso di ricevimento, delle proprie generalità e del proprio domicilio. La deroga, al principio di corrispondenza tra intestatario e notificatario dell’atto recettizio, giustificata dai mutamenti soggettivi sopravvenuti, implica tuttavia che il destinatario indicato sia sempre l’erede, il soggetto esistente, pur non identificato nella sua individualità. L’atto, impositivo o esattivo, che rechi, invece, l’indicazione del de cuius sia quale intestatario sia quale destinatario della notificazione, è radicalmente nullo, per giuridica inesistenza della notificazione, rivolta nei confronti di un soggetto inesistente. Relativamente all’evento morte che colpisca la persona fisica, detti principi sono stati chiaramente affermati dalla Cass., in giudizi, introdotti sin dal primo grado dagli eredi del contribuente de cuius, ritenuti pienamente legittimati ad agire ed a resistere, sia pure avverso atto non a loro ritualmente indirizzato. In relazione all’evento cancellazione-estinzione della persona giuridica, invece, sono sorte, di frequente, le questioni, preliminari, circa l’ammissibilità, sotto il profilo della legittimazione ad agire o a resistere, dei ricorsi presentati da/verso la società estinta (rappresentata dall’ex amministratore o liquidatore) ovvero circa l’avvenuto rispetto del litisconsorzio necessario tra i soci, preclusive della verifica sul merito della nullità dell’atto impositivo, ove intestato ed indirizzato, quanto alla notificazione, al soggetto estinto, anziché ai soci, successori, ai sensi dell’art. 2495 c.c. In sede di legittimità, vi sono state alcune recenti pronunce all’apparenza distoniche, come si approfondirà in seguito1.
Occorre dunque procedere ad un esame separato del sistema normativo della sorte degli atti tributari, impositivi o esattivi, riferibili a soggetto defunto o estinto, e della loro notifica, in particolare, e delle applicazioni giurisprudenziali, più significative, concernenti la responsabilità, per le obbligazioni tributarie facenti capo al debitore contribuente, persona fisica o persona giuridica, dei suoi successori, eredi o soci.
A norma dell’art. 65, co. 1, d.P.R. n. 600/1973, in materia di imposte sui redditi, gli eredi rispondono delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. Secondo la medesima disposizione, l’atto impositivo, intestato al dante causa, può essere notificato nell’ultimo domicilio dello stesso, indirizzando l’atto impersonalmente e collettivamente agli eredi, purché questi non abbiano, almeno trenta giorni prima, comunicato le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale, in quanto la norma, dettata specificamente in materia di notificazione di atti tributari, prevede come unico limite alla notifica collettiva e impersonale l’avvenuta comunicazione nei trenta giorni da parte dei singoli eredi, senza alcun accenno al diverso limite temporale di un anno dall’apertura della successione previsto dalla disciplina processual-civilistica (artt. 30, 286, 330 e 477 c.p.c.) per la validità della notificazione collettiva e impersonale. Si deve perciò ritenere che «il legislatore tributario, posto a carico degli eredi un onere di informazione, faccia poi ricadere sui medesimi le conseguenze del mancato assolvimento di tale onere, dispensando gli uffici finanziari dalla ricerca specifica e individuale di ciascun erede, quale che sia il tempo trascorso dall’apertura della successione»2. La notifica deve, tuttavia, essere indirizzata a costoro, divenuti i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria. Se la comunicazione viene eseguita, gli atti impositivi vanno, invece, notificati personalmente e nominativamente agli eredi nel domicilio fiscale da costoro comunicato. La disposizione, dettata in materia di accertamento delle imposte sui redditi, viene ritenuta applicabile anche agli atti della riscossione, e quindi alla notifica delle cartelle di pagamento, e, secondo la giurisprudenza di legittimità, non estensibile alle altre imposte o tributi in genere, quanto alla deroga, ivi contemplata (la solidarietà tra i coeredi), al principio generale civilistico della divisibilità pro quota tra gli eredi dei debiti del de cuius3.
Proprio in applicazione dell’art. 65 del d.P.R. n. 600/1973, la Cassazione4 ha affermato che l’avviso di accertamento intestato ad un contribuente deceduto, notificato allo stesso nell’ultimo domicilio, e la stessa notificazione dell’avviso sono affetti da nullità assoluta ed insanabile, atteso che, a norma dell’art. 65 del d.P.R. n. 600/1973, l’atto impositivo intestato al de cuius può essere notificato nell’ultimo domicilio di quest’ultimo soltanto indirizzando la notifica agli eredi collettivamente ed impersonalmente e purché questi, almeno trenta giorni prima, non abbiano comunicato all’ufficio delle imposte le proprie generalità ed il proprio domicilio fiscale. Tale irregolarità della notifica, ha specificato la Corte, incide infatti sulla struttura del rapporto tributario, il quale non è evidentemente configurabile nei confronti di un soggetto non più esistente.
È stata, invece, confermata la decisione di appello, che aveva ritenuto legittima la notificazione di avviso di accertamento agli eredi, impersonalmente e collettivamente, presso l’ultimo domicilio del de cuius malgrado l’Ufficio fosse a conoscenza della identità e dei domicili degli eredi per essere stato registrato, in data antecedente, il testamento olografo. La Cassazione ha ribadito che «in caso di morte del contribuente, la notificazione della cartella esattoriale a lui intestata è legittimamente effettuata presso l’ultimo domicilio del defunto ed è efficace nei confronti degli eredi», in difetto di tempestiva comunicazione prescritta dall’art. 65, citato, non assumendo alcun rilievo le indicazioni contenute nella dichiarazione dei redditi5. La Corte ha, peraltro, ritenuto parificabile alla comunicazione, contemplata dall’art. 65 citato, la conoscenza comunque acquisita da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’intervenuto decesso del contribuente e delle generalità degli eredi, manifestata attraverso l’intervenuta notifica agli eredi stessi, personalmente, nei loro domicili, degli avvisi di accertamento, prodromici rispetto alla successiva cartella di pagamento6. In altre pronunce7, relative a controversie nelle quali il giudice d’appello aveva accertato, in fatto, che la notificazione dell’avviso era stata effettuata «impersonalmente e collettivamente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto», nonostante che essi avessero comunicato all’Ufficio i propri nomi ed indirizzi, la Corte ha ribadito che ciò aveva determinato un vizio di nullità della notificazione, come tale sanabile per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., a seguito della proposizione del ricorso da parte degli eredi medesimi. Infatti, in tema di atti d’imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto, ma una condizione integrativa d’efficacia, sicché la sua invalidità, o anche inesistenza, non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria8. L’insanabile inesistenza della notificazione deve ritenersi «limitata alla sola ipotesi di notifica dell’atto indirizzata al soggetto deceduto, perché essa, in tal caso, va ad incidere in realtà sul momento strutturale del rapporto tributario (e quindi sull’atto), che non è evidentemente configurabile nei confronti di un soggetto non più esistente»9. Ne deriva che le condizioni legali di validità della cartella devono essere tenute distinte dalle condizioni di validità della sua notificazione; la non ritualità della notificazione può essere fatta valere dal contribuente unicamente per eccepire la decadenza dell’amministrazione dalla possibilità di esercitare la pretesa tributaria, o la prescrizione dell’azione, ovvero al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione, altrimenti il contribuente non ha interesse a dedurre un vizio della notificazione che non ridonda, di per sé stesso, in vizio dell’atto10. Di conseguenza, è stato ritenuta11 carente di interesse ad agire l’impugnazione avverso cartella di pagamento del contribuente, il quale, contestando un vizio di notifica della cartella, aveva dimostrato di averne avuto comunque conoscenza, non avendo lo stesso interesse a dedurre la pura e semplice nullità della notifica, laddove la validità di una cartella dipende dall’esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge d’imposta e non dalla ritualità della notificazione. Ove invece, in ipotesi sempre di riscossione del tributo, originariamente dovuto dal de cuius, a carico dell’/degli erede/i, si controverta proprio sulla legittimità dell’intestazione della cartella medesima, indirizzata al contribuente deceduto anziché all’erede o agli eredi, è consolidato il principio secondo il quale, mentre la formazione del ruolo è disciplinata dall’art. 12, d.P.R. 29.9.1973, n. 602 e va operata a nome del contribuente pur dopo il suo decesso, per la notificazione della cartella si applica la disciplina dettata dall’art. 65, d.P.R. n. 600/1973, e quindi la stessa va notificata agli eredi, personalmente e nel loro domicilio, solo ove essi abbiano dato tempestiva comunicazione del decesso del contribuente utilizzando le forme previste dall’art. 65, potendosi diversamente operare la notificazione, nel domicilio del defunto, ma agli eredi, collettivamente ed impersonalmente, senza limiti di tempo12. La notifica di una cartella di pagamento indirizzata al contribuente deceduto è dunque inesistente, incidendo sul momento strutturale del rapporto di imposta, non configurabile nei confronti di un soggetto non più esistente, e l’impugnazione, proposta dall’erede o dagli eredi, è stata ritenuta comunque ammissibile, sotto il profilo della legitimatio ad causam e dell’interesse ad agire.
Vanno, al riguardo, richiamate le disposizioni di cui agli artt. 2495 (nel testo introdotto a seguito del d.lgs. 17.1.2003, n. 6, entrato in vigore l’1.1.2004), 2304, 2312, 2313, 2324 del c.c. e art. 36 d.lgs. n. 602/1973; art. 19 d.lgs. 26.2.1999, n. 46 (applicabilità alle sole imposte sui redditi); artt. 25 e 30 d.lgs. 15.12.1997, n. 446 (rinvio alle norme in tema di imposte sui redditi). Occorre quindi, in breve, ricostruire il quadro dei principali interventi delle S.U.
Le S.U., nelle pronunce del 2010, nn. 4060, 4061 e 4062 del 22.2.201013, evidenziando che la novella di cui al d.lgs. 17.1.2003, n. 6 ha abrogato il diritto vivente rappresentato dall’interpretazione offerta dall’art. 2456 c.c. previgente, in quanto il nuovo art. 2495 c.c. ha introdotto, per le società di capitali, una clausola di salvezza dell’effetto estintivo della cancellazione («ferma restando l’estinzione della società»), estensibile alle società di persone, in un’ottica di uniforme trattamento delle società di capitali e delle società commerciali di persone, sebbene la cancellazione mantenga per queste ultime la tradizionale natura dichiarativa (e non valore costitutivo-estintivo) e sorga quindi solo una presunzione di estinzione, salva prova contraria. Al nuovo art. 2495 c.c. (ed all’opzione per la natura costitutivo-estintiva) non è attribuibile natura interpretativa della disciplina previgente, ma natura innovativa ed ultrattiva, valendo solo dalla data di entrata in vigore della novella.
Successivamente, le S.U., nelle decisioni nn. 6070, 6071 e 6072 del 12.3.201314, hanno precisato che la cancellazione – volontaria – della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 l. fall.). Viene quindi a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, ex art.110 c.p.c., a titolo universale, sia pure sui generis, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali, quanto ai debiti sociali – «il medesimo debito che faceva capo alla società» – ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate. È stata anche superata la tesi15, secondo la quale il meccanismo successorio deve limitarsi all’ipotesi in cui i soci della società di capitali o il socio accomandante della società in accomandita semplice abbiano goduto di un qualche riparto dal bilancio finale di liquidazione, trattandosi di una condizione per proseguire l’azione, originariamente intrapresa verso la società, nei confronti dei detti soci, avendo le S.U. ritenuto preferibile l’impostazione che individua sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società ma non definiti all’esito della liquidazione (legittimazione passiva), salvo il diritto degli stessi di opporre al creditore agente il limite di responsabilità (osservando che «il creditore potrebbe comunque avere interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie»). In ultimo, quanto agli effetti processuali, ove l’estinzione della società si verifichi nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società (fenomeno successorio sui generis, stante il regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali, nelle differenti tipologie di società), ai sensi dell’art. 110 c.p.c., pur se estranei ai precedenti gradi di giudizio. Qualora l’evento non sia fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando non sarebbe stato più possibile farlo constare in tali modi, e quindi quando, essendosi il precedente grado di giudizio svolto senza interruzione, il problema della sopravvenuta cancellazione si ponga nel passaggio al grado successivo, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso.
Nel 2014, le S.U.16, riesaminati i diversi orientamenti giurisprudenziali succedutisi nel tempo (oscillanti tra gli antipodi dell’ultrattività del mandato e dell’inammissibilità dell’impugnazione) e mediando tra le contrapposte esigenze di tutela (della giusta parte o di chi abbia incolpevolmente ignorato l’evento), hanno affermato che, essendo l’incidenza sul processo degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., (morte o perdita di capacità della parte) disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, con conseguente stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata, nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta procura speciale. In estrema sintesi, le S.U. ancorano, ai fini dell’incidenza sul processo degli eventi interruttivi di cui all’art. 299 c.p.c., al principio di ultrattività del mandato alla lite l’effetto di stabilizzazione della posizione giuridica di una società estinta, che solo grazie ad una fictio iuris viene considerata come ancora esistente rispetto alle altre parti ed al giudice.
È stato dunque temperato il rigore del principio di diritto espresso, quanto agli effetti processuali dalla sentenza n. 6070/2013 delle S.U. La pronuncia17 è ritenuta di portata generale. Alla luce dei suddetti principi di diritto, a fronte della originaria (prima, dunque, della instaurazione del ricorso introduttivo del giudizio, considerato anche che gli effetti della novella del 2003 ed il nuovo art. 2945 c.c. operano soltanto dall’1.1.2004) o sopravvenuta (nel corso del giudizio, di primo grado, di appello, di legittimità) carenza di soggettività giuridica e di capacità processuale della società cancellata (e del potere di rappresentanza dell’ex liquidatore o dell’ex amministratore, al di fuori di ipotesi di loro diretta e personale responsabilità), molteplici decisioni della Cassazione si concludono con la declaratoria, anche d’ufficio, della inammissibilità del ricorso introduttivo, dell’appello o del ricorso per cassazione (proposto da o nei confronti della società estinta), in sede di legittimità, con conseguente cassazione della decisione impugnata senza rinvio, ex art. 382 c.p.c.18. La circostanza che l’avviso di accertamento, benché emesso nei confronti dell’Ente, fosse stato notificato ai soci, non è stata ritenuta rilevante19, in quanto il ricorso introduttivo era stato comunque proposto (con conseguente decisione di annullamento senza rinvio «perché il giudizio non poteva essere proposto») non dalla giusta parte processuale, ossia dai soci che, in base al fenomeno successorio, erano subentrati nella legittimazione sostanziale e processuale dell’ente, bensì da quest’ultimo.
Il ricorso per cassazione notificato alla società in accomandita semplice poi cancellata dal Registro delle Imprese, nel corso del giudizio di primo grado, senza che l’evento interruttivo venisse dichiarato, ricorso notificato anche presso il domiciliatario in appello della stessa società, è stato ritenuto ammissibile in applicazione del principio di diritto affermato dalle S.U., con la pronuncia n. 15295/2014, in ordine all’ultrattività del mandato20.
Peraltro, in presenza di un ricorso ritualmente instaurato in primo grado anche dal socio di una società di persone cancellata, la Cassazione21 ha dichiarato la nullità dell’intero giudizio, in considerazione «del regime di contitolarità o comunione indivisa dei diritti di credito e delle obbligazioni ovvero dei diritti sui beni (residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione) che si trasferiscono ai soci», che determina «il litisconsorzio necessario processuale tra tutti i successori e, nella specie, tra tutti i soci della società di persone estinta», per difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soci litisconsorti necessari22. Nella specie, l’atto impugnato riguardava contestualmente la debenza di maggiori imposte indirette e dirette23. Laddove l’evento estintivo si verifichi nel corso del giudizio di merito, i soci, successori della società, subentrano nella legittimazione processuale facente capo all’ente (Cass., S.U., n. 6070/2013) – la cui estinzione è equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. – in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, in quanto la morte di una parte, nel corso del giudizio di primo grado, determina la trasmissione della sua legittimazione processuale, attiva e passiva, agli eredi, litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicché in fase di appello deve essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi; in mancanza, il procedimento di appello e la sentenza che lo definisce sono affetti da nullità assoluta, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado e quindi anche in sede di legittimità, ove la non integrità del contraddittorio emerga dagli atti, senza necessità di nuovi accertamenti24. In controversia, nella quale la società di capitali era stata cancellata, dal marzo 2005, dal Registro delle Imprese, prima dell’instaurazione del giudizio di secondo grado, è stato, di conseguenza, respinto il motivo di ricorso, fondato sulla mancata declaratoria dell’inammissibilità dell’appello, rilevandosi che i soci della società cancellata erano in ogni caso legittimati a proporre il gravame, alla luce delle S.U. n. 6070/201325.
In relazione all’estinzione della persona giuridica, avuto riguardo alle peculiarità in ambito tributario, conseguenti sia al limite di responsabilità degli ex soci, dettato dall’art. 36, d.P.R. n. 602/1973, sia alla struttura impugnatoria del processo, sorge, di frequente, la questione se la responsabilità limitata dei soci costituisca un presupposto della stessa legittimazione processuale o una questione di merito.
In una pronuncia26, la Cassazione ha affermato che, fermo il fenomeno di tipo successorio sui generis, determinatosi a fronte della cancellazione della società dal registro delle imprese, in cui la responsabilità dei soci è limitata alla parte di ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di liquidazione, «l’effettiva percezione delle somme da parte dei soci, in base al bilancio finale di liquidazione, e la loro entità vanno provate dall’Amministrazione finanziaria». Nella specie, a seguito di cancellazione della società per azioni, sin dal 2002, l’avviso di accertamento, concernente l’IRPEG dovuta pro-quota per l’anno 1999, era stato notificato alle due socie, nel 2005.
In altra controversia (ricorso per cassazione promosso, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, dall’ex liquidatore e dai soci di una società a responsabilità limitata) nella quale una s.r.l. era stata cancellata dal Registro delle Imprese, nelle more del giudizio di secondo grado, è stato ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione, sia in quanto proposto dall’ex liquidatore, per essere la società ormai estinta, sia in quanto proposto dal medesimo e da altri due in qualità di ex soci, potendo i soci di società di capitali subentrare dal lato passivo del rapporto d’imposta solo e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Secondo la Corte, «l’accertamento di tali circostanze costituisce presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.», ma, nel caso di specie, i ricorrenti, ex soci, neppure avevano dedotto che una tal condizione si fosse in concreto realizzata27.
In successiva controversia, nella quale una s.r.l. era stata cancellata dal Registro delle Imprese, nel corso del giudizio di merito, successivamente alla pubblicazione della pronuncia di appello, la Cassazione ha ritenuto il ricorso, nei confronti della società ormai estinta, inammissibile, per carenza di legittimazione passiva, e, nei confronti dell’ex liquidatore, infondato, non essendo stata neppure invocata la responsabilità del medesimo, ex art. 2945 c.c. e art. 36, d.P.R. n. 602/1973. Il ricorso, nei confronti dei soci, è stato, invece, ritenuto ammissibile, per sussistenza della loro legittimazione, quali successori, alla luce di quanto affermato dalle S.U. nelle pronunce nn. 6070/2013 e 6072/2013, pur avendo gli stessi allegato e documentato, ex art. 372 c.p.c., di non aver riscosso alcunché in sede di bilancio finale di liquidazione, per mancanza dell’attivo. Secondo la Corte «la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti»28. La Corte ha poi respinto i motivi del ricorso dell’Agenzia, senza affrontare il profilo, ritenuto, implicitamente, di merito, attinente al limite di responsabilità invocato dai soci.
In relazione poi alla questione processuale, di merito, dell’allargamento del thema decidendum, in sede di gravame, la Corte29, nel respingere il ricorso per cassazione, proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti dell’ex liquidatore e dei soci di una società a r.l., già estinta (prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado), per cancellazione dal Registro delle Imprese, a seguito di deposito del bilancio finale di liquidazione, ha confermato la sentenza della C.T.R., con la quale era stato dichiarato inammissibile il gravame dell’Agenzia delle entrate, in quanto involgente domande ed eccezioni nuove, in violazione dell’art. 57, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, in ordine alla motivazione che sorreggeva l’atto impositivo a carico della società, ma notificato ai soci ed all’ex liquidatore, ai sensi dell’art. 2945 c.c. La Corte ha osservato che, solo con l’atto di appello, l’Agenzia delle Entrate aveva specificato di ascrivere ai soci una presunta «distribuzione occulta di utili (extrabilancio) relativamente al periodo d’imposta 2007, pari a…» contestazione questa che non aveva formato oggetto dell’accertamento.
In ultimo, un breve accenno alle questioni che potranno insorgere per effetto della fictio iuris di esistenza delle società cancellate, introdotta dall’art. 28, co. 4, d.lgs. 21.11.2014, n. 175, entrato in vigore il 13.12.2014 ed emesso in attuazione della l.11.3.2014, n. 23, artt. 1 e 7 («Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c., ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese»). Allo stato, il giudice di legittimità ha affermato30 che la disposizione non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva31.
1 Cass., 31.1.2017, n. 2444; Cass., 7.4.2017, n. 9094.
2 Cass., 31.3.2006, n. 7645.
3 Cass., 22.10.2014, n. 22426; Cass., 21.9.2016, n. 18451; Glendi, C., Notifica degli atti (impositivi ed esattivi) dopo il decesso del contribuente, in Corr. trib., 2014, 1613.
4 Cass., 12.7.2017, n. 17203; Cass., 27.1.2016, n. 1507.
5 Cass., 17.7.2013, n.17430, Bruzzone, M., È valida la cartella «intestata» e «notificata» al defunto?, in Corr. trib., 2013, 3347; Cass., 22.12.2014, n. 27284; Cass., 16.11.2015, n. 23416.
6 Cass., 14.1.2011, n.803.
7 Cass., 4.11.2015, n. 22476; Cass., 6.12.2016, n. 24916.
8 Cass., 13.3.2015, n. 5057 e 24.4.2015, n.8374.
9 Cass., 5.9.2014, n. 18729.
10 Cass., 6.5. 2016, n.9197.
11 Cass., 4.11.2015, n. 22476; Cancedda, M., Inesistenza insanabile della notifica dell’atto tributario indirizzata solo al contribuente deceduto, Il Fisco, 2015, 4388.
12 Cass., 9.1.2014, n. 228; Cass., 10.3.2015, n. 4801; Cass., 8.4.2016, n. 6856.
13 Pepe, F., Società estinte e fisco, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 435.
14 Dalfino, D., «Venire meno» delle società e processi pendenti, in Società, 2014, 1232; Glendi, C., Corte Costituzionale, Sezioni unite della Cassazione ed estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese, in Corr. giur., 2013, 1271.
15 Cass., 16.5.2012, n. 7676.
16 Cass., S.U., 4.7.2014, n.15295.
17 Cass., 31.10.2014, n.23141; Cass., 29.7.2016, n. 15762.
18 Cass., 25.3.2015, n. 5951; Cass., 14.10.2015, n. 20625; Cass., 12.2.2016, n. 2878; Cass., 23.3.2016, n. 5736; Cass., 15.7.2016, n. 14611; Cass., 24.11.2016, n. 23951.
19 Cass., 11.5.2016, n. 9541.
20 Cass., 22.7.2016, n. 15177; Cass., 10.6.2015, n. 12010.
21 Cass., 12.3.2014, n. 5678.
22 Cass., 23.6.2017, n. 15806; Cass., 11.11.2016, n. 23012; cfr. quanto affermato dalle S.U. nelle sentenze del 4.6.2008, n. 14815, e del 20.6.2012, n. 10145.
23 Cfr. Cass., 21.11 .2014, n. 24795, ove si precisa che, invece, l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del “simultaneus processus” nei confronti dei soci.
24 Cass., 23.3.2016, n. 5736.
25 Cass., 17.7.2015, n. 15007.
26 Cass., 26.6.2015, n. 13259; Ragucci, G., Onere della prova sull’Agenzia in caso di cancellazione della società dal Registro delle Imprese, in Corr.trib, 2015, 2493.
27 Cass., 31.1.2017, n. 2444.
28 Cass., 7.4.2017, n. 9094; Cass., 8.3.2017, n. 5988.
29 Cass., 23.11.2016, n. 23916.
30 Cass., 2.4.2015, n. 6743.
31 Cass., 13.6.2016, n. 12049; Cass., 15.7.2016, n. 14611.