MORRA di Lavriano e della Monta, Roberto
MORRA di Lavriano e della Montà, Roberto. – Nacque a Torino il 24 dicembre 1830 da Bonaventura, conte di Lavriano e della Montà, del quale ereditò il titolo e i beni, e da Polissena Asinari di San Marzano.
Fu avviato molto giovane, come d’uso nelle famiglie dell’aristocrazia piemontese, alla carriera militare, professione tradizionale della sua casata. Entrò all’Accademia militare di Torino come cadetto nel luglio 1844. Sottotenente di artiglieria nel 1848, partecipò alle campagne dell’indipendenza. Prese parte alla battaglia di Custoza del 1866 con il grado di tenente colonnello di stato maggiore e con il ruolo di aiutante di campo del principe Amedeo di Savoia, comandante della brigata Granatieri di Lombardia, uno dei reparti (insieme alla brigata Granatieri di Sardegna con cui componeva la 3a divisione), più duramente impegnati nella battaglia.
Durante i sanguinosi assalti austriaci a Monte Torre e Monte Croce, alture dominanti l’abitato di Custoza, Amedeo di Savoia fu ferito da un proiettile all’addome e fu Morra a tirarlo a forza giù dal suo cavallo e a convincerlo a sottoporsi a cure urgenti, mentre i resti della brigata, malamente o per niente appoggiati dalle truppe della riserva piemontese, ripiegavano. Per questo episodio e per il suo contegno durante la ritirata Morra ebbe la medaglia d’argento al valor militare.
Colonnello nel 1868, nell’autunno del 1869 fu tra gli invitati all’inaugurazione del canale di Suez. Di quell’esperienza e del viaggio di un mese in Egitto lasciò una gustosa cronaca nel suo diario (Giornale di viaggio in Egitto. Inaugurazione del canale di Suez, a cura di A. Siliotti - A. Vidal-Naquet, Verona 1995). Maggior generale nel 1877, tenente generale nel 1883, fu successivamente al comando delle divisioni territoriali di Padova, Milano e Roma, e del corpo d’armata di Napoli (dicembre 1891). Fu eletto deputato per la prima volta nel 1874, rappresentando nel corso della XII legislatura il collegio di Carmagnola; fu poi rappresentante di Avigliana (Torino) per la XV e XVI legislatura. Nel 1890 fu nominato senatore.
La carriera militare e politica di Morra, tipica di un importante esponente dell’antica nobiltà di spada sabauda ben introdotto a corte (fu aiutante di campo effettivo del re dal 1879 dopo esserlo stato per lunghi anni in qualità di onorario, e primo aiutante di campo onorario dall’ottobre 1900), ebbe il suo punto di svolta alla fine del 1893, quando venne inviato a Palermo come comandante del corpo d’armata (12 dicembre) e regio commissario straordinario (incarico assunto ufficialmente nel gennaio 1894) con il compito di ripristinare l’ordine nell’isola, scossa dal violento conflitto sociale seguito alle proteste del movimento dei Fasci siciliani.
Particolarmente colpita da una pesante crisi del mercato agricolo e poi dalla politica protezionistica del governo italiano (che aveva scatenato una grave guerra commerciale con la Francia), la Sicilia di fine secolo aveva visto la propria condizione di miseria inasprirsi anche a causa del crollo del mercato dello zolfo, tradizionale bene d’esportazione dell’isola, e della riduzione dell’emigrazione in Tunisia dopo l’occupazione francese. I Fasci nacquero, a imitazione delle associazioni sindacali di mestiere che stavano sorgendo nell’Italia settentrionale, in un momento di profondo scontento da parte delle masse contadine; a differenza delle leghe bracciantili o operaie, tuttavia, si contraddistinsero per una composizione più variegata, raccogliendo sia piccoli proprietari sia mezzadri e braccianti, le figure che pagavano più di tutti il tracollo dell’economia siciliana. A partire dall’inizio del 1893 il movimento dei Fasci rurali portò avanti una serie di lotte per il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’avvio di una politica di riforme agrarie culminate nel grande sciopero agricolo dell’estate-autunno 1893, a cui aderirono 50.000 contadini. A questo movimento si aggiunse un’agitazione popolare violenta contro le amministrazioni locali, ritenute responsabili del peso delle imposte e delle malversazioni contro i più poveri. Dopo la caduta del gabinetto Giolitti e l’avvento al potere di Crispi (dicembre 1893) venne intrapresa una politica di ripristino dell’ordine attraverso misure eccezionali e un uso sistematico della forza in funzione repressiva: tra dicembre 1893 e primissimi giorni di gennaio del 1894 vi furono numerosi scontri tra lavoratori che protestavano, forze dell’ordine ed esercito, con decine di morti .
Appena entrato in carica, garantito nei suoi pieni poteri dal governo e forte di circa 30.000 uomini stanziati nell’isola, Morra promulgò lo stato d’assedio in tutta la Sicilia (4 gennaio 1894) e procedette con brutalità alla repressione dei disordini e allo scioglimento del movimento dei Fasci. Dopo aver fatto arrestare i membri del comitato centrale, ordinò il fermo di centinaia di sospetti e simpatizzanti, tra contadini, intellettuali, professionisti e studenti; circa 1000 persone furono inviate al confino senza processo. L’11 gennaio promulgò un editto che disponeva l’immediato arresto e l’invio al domicilio coatto «degli ammoniti e della gente malfamata», provvedimento in base al quale vennero condannati, incarcerati o confinati circa 2000 siciliani, tra cui quasi 500 delle province di Messina e Catania dove non erano avvenuti disordini. Fu il primo di una serie di decreti emergenziali per il disarmo della popolazione e il ripristino della legalità, affidata all’opera di tre tribunali militari (Palermo, Messina e Caltanissetta), mediante i quali l’autorità, di fatto assoluta e arbitraria, di Morra colpì duramente le organizzazioni sindacali e operaie, le associazioni invise al governo Crispi e i partiti politici dell’opposizione.
La sua opera come commissario in Sicilia fu duramente contestata dagli esponenti dell’opposizione anticrispina che rivendicarono l’illegittimità di molti dei suoi provvedimenti. In particolare, Napoleone Colajanni, in un volume destinato a buona fortuna editoriale (Gli avvenimenti in Sicilia e le loro cause, Palermo 1894), denunciò come il ricorso sistematico ai tribunali militari, la retroattività della loro competenza e, in generale, l’intera opera di Morra in qualità di commissario straordinario fossero in aperto contrasto con i principi del diritto comune e dello Statuto, contro il quale cozzava anche l’attribuzione senza alcun controllo dei pieni poteri al generale. Anche se le veementi dichiarazioni di Colajanni non trovarono alcun riscontro politico, né incisero sul prosieguo della carriera di Morra, il loro successo fu un’efficace testimonianza del vasto dissenso alla politica emergenziale di Crispi culminata, tra l’estate e l’autunno 1894, con l’emanazione delle leggi eccezionali antianarchiche e con lo scioglimento del Partito socialista dei lavoratori italiani.
Il compito di Morra in Sicilia si poté considerare concluso con le dure condanne inflitte ai promotori e ai simpatizzanti dei Fasci (che vennero definitivamente proibiti) e con il ripristino dell’ordine, sancito dalla cessazione dello stato d’assedio (agosto 1894). La fine della militarizzazione della regione non coincise immediatamente con il ritorno alla legalità e alla libera vita politica. Solo nel marzo 1896, subito dopo la caduta di Crispi in seguito alla disfatta di Adua, il nuovo governo Rudinì concesse l’amnistia ai condannati dai tribunali di guerra per i fatti del 1893-94, anche se fu mantenuto il divieto di ricostituzione dei Fasci dei lavoratori. Nell’autunno dello stesso 1894, Morra ricevette il comando del VI corpo d’armata di Bologna e poi, nel 1895, dell’VIII (Firenze).
A partire dal 1897, pur restando in servizio attivo, non ricoprì più incarichi di comando nell’esercito, cominciando una breve carriera di inviato plenipotenziario presso governi esteri: fu per più di due anni inviato straordinario alla corte dell’Impero russo a San Pietroburgo. Nel 1904, raggiunti i limiti di età, venne collocato a riposo, ma rivestì ancora incarichi perlopiù onorifici all’interno del Senato, nel quale rappresentò per anni uno dei membri più attivi tra i senatori di provenienza militare, strenui sostenitori della politica di casa Savoia. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, pur non potendo rientrare in servizio per limiti d’età, fu comunque incaricato di presiedere il Comitato nazionale per il munizionamento, uno dei tipici istituti della mobilitazione economica per la guerra totale; fu inoltre membro del Comitato centrale di mobilitazione industriale e presidente della Commissione per la mano d’opera femminile.
Morì a Roma il 20 marzo 1917.
Sposatosi con la contessa Maria Teresa Bettini ebbe un unico figlio, Umberto che sarebbe diventato famoso come esponente dell’area intellettuale liberalsocialista.
Fonti e Bibl.: Necr., in Notiziario di informazioni del Comitato nazionale per il munizionamento, III (1917), numero speciale, pp. 1-8; S.F. Romano, Storia dei Fasci siciliani, Bari 1959, ad ind.; B. Frescucci, R. M. di L.: militare e politico, Sondrio 1965; F. Renda, I Fasci siciliani 1892-1894, Torino 1977, ad ind.; Enc. militare, s.v.