MORMILE
. Famiglia napoletana, le cui prime memorie risalgono al sec. XII, e che si distinse principalmente dal secolo XIV in poi. Devota agli Angioini e ai Durazzeschi, dai quali ottenne feudi e onori, annoverò nel suo seno un Giovanni Luigi, che fu presidente del Supremo consiglio e della Real camera e giudice civile e criminale ai tempi di re Roberto; un Andrillo, familiare di Margherita di Durazzo, caro al di lei figlio Ladislao, che lo creò castellano del Castelnuovo di Napoli, e gli concesse la gabella del passo d'Abruzzo, facendolo viceré di quella provincia; un Annecchino, figlio di Andrillo, che ebbe uffici in Abruzzo dallo stesso re Ladislao e poi da Giovanna II; influente com'era sul popolo napoletano, contribuì a liberare la regina dalle mani di Giacomo della Marca, spianando così la via del potere a Sergianni Caracciolo, il quale, in seguito, temendone la potenza, lo fece arrestare; un secondo Annecchino, nipote del precedente, che si distinse al servizio di Ferrante I d'Aragona, e fece costruire un lebbrosario ad Aversa e il cosiddetto ponte Annecchino sulla strada che da quella città conduceva a Capua; un Berardino, fratello del precedente, che militò con Alfonso duca di Calabria in Toscana e ad Otranto, durante la congiura dei baroni, fu fedele al re Ferrante, in nome del quale raccolse l'omaggio delle terre dei ribelli in Puglia; morì a Torre di Mare e nel 1492 gli fu messo l'epitaffio in S. Maria di Portanova in Napoli dall'altro fratello Nardo arcivescovo di Sorrento. Appartennero alla famiglia, oltre ai precedenti, Francesco, fratello del primo Annecchino, partigiano come lui di Ladislao e di Giovanna II, oppositore di Giacomo della Marca e poi di Sergianni Caracciolo, contro il quale sostenne Muzio Attendolo Sforza; imprigionato da Sergianni, riuscì a fuggire e nel 1423 tornò a Napoli per soccorrerla contro l'infante Pietro d'Aragona; Cesare, che partecipò al tumulto napoletano del 1547 contro l'Inquisizione, ed essendo poi emigrato in Francia, si fece delatore del principe di Salerno per tornare in patria; Troiano, celebre guerriero, morto centenario il 20 ottobre 1549, che si distinse nella guerra d'Otranto, andò contro Carlo VIII, dal quale fu fatto prigioniero in Abruzzo, favorì il ritorno a Napoli di Ferrante II, aprendogli la porta del Carmine, partecipò alla battaglia del Garigliano, nella quale fu ferito, e a quella di Ravenna, combattendo contro i Francesi; fu da Ferdinando il Cattolico deputato a governare le provincie di Principato Citra e di Basilicata e vi represse il banditismo; contribuì alla ricostruzione della chiesa di S. Severino in Napoli, dove fu sepolto. L'identificazione di Troiano M. con Miale da Troia, uno dei tredici di Barletta, è insostenibile. Nel '600, Francesco acquistò il feudo di Campochiaro, che rimase ai M. come ducato. Ottavio, duca di Campochiaro, fu al servizio di Ferdinando I di Borbone e poi di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, il quale lo inviò come suo rappresentante a Parigi e al congresso di Vienna. Nel 1820 fu ministro costituzionale degli Esteri.
Nel Seicento Carlo M. divenne duca di Carinari, titolo che oggi è posseduto dai discendenti.
Bibl.: S. Ammirato, Famiglie nobili napoletane, Firenze 1651, II, p. 319 segg.; P. E. Imbriani, Intorno a Troiano M., in Il progresso delle scienze, lettere e arti, XXXIII (1843), p. 58 segg.; M. H. Weil, Joachim Murat, Parigi 1909, V, passim.