MORICONI
– Ricca e nobile famiglia lucchese, i Moriconi si dicevano discendenti di un Ropaldo (inizio sec. XI), il cui figlio, Giovanni, detto Moricone per il colorito scuro della pelle, aveva imposto, nel 1099, quel nome al secondo dei suoi figli, Morico (o Moricone). Da allora Moricone, Giovanni e più tardi Bartolomeo divennero i nomi ricorrenti nella famiglia.
«Proprietari di torri, palazzi, portici e curie» (Gamurrini, 1668, p. 433), i Moriconi parteciparono attivamente alla vita della città e ricoprirono diverse cariche.
Dai nipoti di Moricone, Arrigo e Giovanni, derivarono due rami della famiglia: il primo, da Moricone figlio di Arrigo, dopo cinque generazioni (Giovanni, Tommaso, Bartolomeo, Bartolomeo, Marcantonio), alla metà del XVI secolo si divise a sua volta in due rami, con i figli di Marcantonio: Giovanni, nato nel 1540, e Libertà nel 1541. La discendenza di Giovanni si estinse invece precocemente con Datone nel XIV secolo.
Attivi nella vita pubblica – le cronache ricordano in particolare Bartolomeo (nato nel 1460), dottore in legge, e Libertà (1541), famoso giureconsulto e ambasciatore della Repubblica – i Moriconi furono una delle più importanti compagnie commerciali e finanziarie cittadine, presente sulle diverse piazze europee.
La Repubblica di Lucca era riuscita a sopravvivere nella propria indipendenza compiendo nel Cinquecento la scelta di aderire allo schieramento asburgico e abbandonando la propria tradizionale simpatia e propensione per la Francia. Tale scelta aveva anche comportato il consolidamento del regime aristocratico e la conseguente repressione di ogni tentativo del popolo di conquistare uno spazio politico; in compenso, la stabilità così garantita aveva messo la città al riparo da ogni possibile occasione di ritorsioni e interventi esterni.
La chiusura verso le aspirazioni al cambiamento e al rinnovamento nella gestione della città aveva avuto pesanti conseguenze sulla vita economica, incentrata sulla produzione e il commercio dei tessuti di seta. Le famiglie che si alternavano nelle magistrature erano le stesse che detenevano il controllo della produzione dei tessuti e che, anche in questo ambito, rifiutavano ogni cambiamento nella lavorazione e nel prodotto, mettendo in sempre maggiore difficoltà gli artigiani più piccoli e indipendenti, disposti invece a rinnovarsi per rispondere alla domanda del mercato. La tradizione imponeva infatti un sistema di lavorazione lungo e complesso, che implicava costi alti per produrre tessuti molto preziosi e dai prezzi proibitivi, destinati esclusivamente a un mercato aristocratico.
L’attaccamento alla tradizione non favorì, in questo caso, i signori lucchesi. I gusti del pubblico seguivano una moda sempre più dettata dalla Francia; i sontuosi tessuti delle manifatture italiane – fiorentine e lucchesi in particolare – perdevano terreno di fronte a tessuti più leggeri anche nelle fantasie e nei decori. Nei primi decenni del XVII secolo gli scambi si ridussero progressivamente: il mercato francese si chiuse, non riuscendo Lucca a reggere la concorrenza di Lione e le misure sempre più restrittive di J.-B. Colbert; quello tedesco, anche in conseguenza dei decenni di guerra, si ridimensionò drasticamente e nel 1648 quasi tutte le botteghe della seta furono costrette a chiudere.
Le compagnie maggiori avevano già cercato sbocchi alternativi verso la Moscovia (che però implicava la mediazione di Amsterdam e funzionava soprattutto sulla base del baratto) e verso la Polonia, dove erano già operanti diversi lucchesi e dove gli italiani erano presenti nella vita economica e politica sin dal secolo precedente.
Il matrimonio del re di Polonia Sigismondo I Jagellone con Bona Sforza d’Aragona (1518) aveva aperto la corte e il paese alla cultura e all’intrapresa italiana. Mercanti, architetti, pittori, scultori, intellettuali, artigiani e imprenditori italiani erano presenti ovunque: dalla zecca alle saline regie, dall’università di Cracovia alla gestione del sistema postale, nella produzione delle maioliche e nella lavorazione dei metalli, nella pubblica amministrazione. A pochi anni dal loro arrivo richiesero lo jus civile (il Liber iuramentorum della città di Cracovia conteneva un’apposita formula di giuramento per gli italiani: Iuramentum civium super ius civile italico idiomate) e sovente, grazie ai loro legami con la corte, ottenevano l’indigenat, ovvero l’accesso ai diritti e ai privilegi dell’aristocrazia.
I Moriconi, che nella loro bottega a Lucca, condotta da Francesco di Bartolomeo e da Bartolomeo di Marcantonio, già lavoravano soprattutto per la Polonia, vi si trasferirono nei primi anni del Seicento: Bartolomeo di Giovanni (nato a Lucca nel 1574) giurò come cittadino di Cracovia il 28 maggio 1616 e suo figlio Giovanni (morto a Cracovia nel 1631) il 2 agosto 1623. I Moriconi furono, con i Bottini, i primi lucchesi a impegnarsi anche sul mercato finanziario; di lí a poco i Bottini fallirono, non riuscendo a riscuotere i propri crediti, soprattutto quelli sostanziosi dei Montelupi, invano inseguiti dalle ingiunzioni dei tribunali. «L’aria pollacca … ordinariamente fa le persone poco adatte a pagare i loro debiti», scriveva nell’ottobre del 1669 Ottavio Mansi ai Mansi di Cracovia (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Mansi, 296, cc. n.n.; in Mazzei, 1977, p. 107) riferendosi ai prestiti concessi in occasione dell’incoronazione di Michele Wiśniowiécki.
D’altro canto, era proprio il gusto della nobiltà polacca per il lusso che attirava in Polonia i mercanti italiani: lí le stoffe sontuose che i lucchesi producevano erano ancora richiestissime, per l’abbigliamento e per l’arredamento; e così pure i vini, i vetri, l’oreficeria. Agli italiani, poi, gli aristocratici polacchi chiedevano anche il denaro necessario a mantenere quell’alto tenore di vita, innescando un circolo non sempre virtuoso; e se talora il mancato rientro dei capitali causava il fallimento dell’imprenditore, in altri rappresentava una fonte di arricchimento e di promozione sociale.
I Moriconi si divisero dunque in proficua collaborazione tra Lucca e Cracovia: Lorenzo di Giovanni curò gli affari in patria; i nipoti Scipione ed Enrico, con il figlio Frediano, si trasferirono e presero la cittadinanza polacca (rispettivamente nel 1642, 1630 e 1637).
Nato a Lucca il 6 luglio 1622 da Lorenzo e Vittoria di Lelio Barsotti, Frediano aprì nuove prospettive alla famiglia: impiantò una propria attività e accumulò in pochi anni un ingente patrimonio. Nel 1665, non potendogli restituire il prestito di 60.000 talleri, il re Giovanni II Casimiro Vasa gli concesse l’indigenat e gli donò un feudo in Lituania. Frediano vi si trasferì, ed essendo senza eredi chiamò presso di sé i nipoti Scipione (nato a Lucca il 10 gennaio 1642) e Giovanni Carlo (nato a Lucca il 22 gennaio 1647), figli di Bartolomeo (nato a Lucca nel 1620 da Marcantonio e dalla cugina Virginia Moriconi) che fecero della Lituania la loro nuova patria, pur avendo conservato sino ad allora stretti legami con Lucca, tanto che battezzarono i figli a S. Giovanni o S. Frediano e seppellirono i propri cari nella tomba di famiglia in S. Pier Cigoli.
In Lituania la famiglia si inserì nel ceto dirigente e molti Morykoni si segnalarono nella vita politica e culturale del paese. Della prima generazione si ricordano Jan, allievo di Stanisław Brezanowski, autore di versi pubblicati sulla Olimpias Akademica nel 1655, e Aleksander (1682-1752), entrato nell’Ordine dei gesuiti nel 1703, poi rettore del Collegio di Niéswicz e professore a Varsavia. Successivamente i figli di Marcian, governatore di Wilkomierz e di Alessandra Tyzenhauz: Benedikt Beniamin (morto nel 1794), scrittore in lituano, e Ignacy (morto nel 1823), prefetto di Wilkomierz, insignito nel 1782 dell’Ordine di S. Stanislao. Attivissimo nella vita e nella discussione politica, Ignacy partecipò come membro della Dieta al dibattito sulla liberazione dei contadini (1817). Fu sepolto a Traszkuny, nella tomba di famiglia nella chiesa dei Bernardini da poco ricostruita in pietra. Raggiunsero posizioni di rilievo anche i cugini Michał Tadeusz (1720- 1788), di Krzysztof, vicemaresciallo del Tribunale di Lituania (1759-60), legatissimo alla potente famiglia dei Radziwiłł, e Kajetan (1774-1830), di Jakob, laureato in legge a Cracovia, rettore della Scuola del Voivodato di Plock e organizzatore della prima biblioteca pubblica di Lublino (1811-12). Infine Ferdynand, emigrato in America e divorato da un coccodrillo nell’Illinois alla metà del 1864.
Fonti e Bibl.: Lucca, Archivio di Stato, Inventario 32, vol. II, n. 210, pp. 1035-1036; ibid., Biblioteca governativa, Mss., 1221: Famiglie lucchesi, XXI, pp. 172 ss.: G.V. Baroni, Moriconi; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane, et umbre, I, Firenze 1668, pp. 433- 439; z. zielińska, Morykoni, Michał Tadeusz, ibid., pp. 23-25; F.F. De Daugnon, Gli Italiani in Polonia dal IX al XVIII secolo, I, Crema 1905, pp. 207-210; G. Ptasnik, Gli Italiani a Cracovia dal XVI secolo al XVIII, Roma 1909, ad ind.; Morykoni. Fredjan, Scypjon, Jan, Aleksander, in Wielke Enciklopedyja Powsczechna Ilustrowana, XLVII, Warszawa 1911, p. 141; L. Żitkowicz, Morykoni, Benedikt Beniamin, in Połski Słownik Biograficzny, XXII, Wroclaw-Warszawa-Gdansk- Kraków 1977, pp. 20-21; Id., Morykoni, Ignacy, ibid., pp. 21-22; E. Kozlowski, Morykoni, Kaietan, ibid., pp. 22-23; R. Mazzei, La società lucchese del Seicento, Lucca 1977, ad ind.; Id., Traffici e uomini d’affari italiani in Polonia nel ‘600, Milano 1983, ad indicem.