MORGHEN
– Famiglia di incisori di Firenze. Non se ne conosce con esattezza l’origine. Secondo la testimonianza di Raffaello, il membro più illustre, suo nonno era originario di Montpellier e, dopo avere sposato una donna genovese, si trasferì a Firenze, dove aprì un negozio di trine.
Entrambi i loro figli, Giovanni Elia e Filippo, si specializzarono nell’arte calcografica; il primo fu prevalentemente disegnatore, Filippo al contrario si perfezionò nell’intaglio, arte in cui fu particolarmente dotato. Giovanni Elia nacque a Firenze intorno al 1721 e fu disegnatore, pittore e intagliatore. A Firenze fu allievo di Giovan Domenico Ferretti e molto probabilmente fece parte della bottega di Carlo Bartolomeo Gregori: eseguì infatti, con lui e altri artisti della sua scuola, 26 delle incisioni presenti nella seconda edizione fiorentina (1766) delle Pitture del salone Imperiale del palazzo di Firenze, in cui erano comprese anche le riproduzioni delle decorazioni pittoriche presenti nelle ville della Petraia e di Poggio a Caiano. Trasferitosi a Napoli con il fratello, sin dal 1756 partecipò alla realizzazione delle tavole delle Antichità di Ercolano, opera in più volumi edita a Napoli con varie interruzioni a partire dal 1752 fino a Ottocento inoltrato. Nel 1760 chiese al re di Napoli di tornare a Firenze per sposarsi. Nel 1767 pubblicò sei tavole con le rappresentazioni dei templi di Paestum, tratte da disegni di Antonio Joli. Prese parte inoltre all’impresa editoriale di Pietro Paolo Montagnani volta a riprodurre i dipinti degli ambienti vaticani in Roma, contribuendo al volume del 1789 insieme, tra gli altri, ad Alessandro Mochetti e a Luigi Cunego.
Filippo, nato a Firenze intorno al 1730, apprese l’arte del disegno dal fratello maggiore; in seguito si trasferì a Roma dove rimase sette anni. Già a Firenze eseguì i ritratti di alcuni componenti della famiglia Medici per l’edizione di Giuseppe Allegrini, pubblicata nel 1761. In collaborazione con suo figlio Raffaello riprodusse molti dei Profeti scolpiti da Baccio Bandinelli nel coro della Cattedrale di Firenze e la tomba di Michelangelo in Santa Croce. Nel 1752 arrivò a Napoli, chiamato insieme a Giovanni Elia dal re Carlo di Borbone per partecipare all’impresa editoriale delle Antichità di Ercolano. A Napoli, dove conobbe e sposò la figlia di Francesco Liani, pittore di corte, trascorse il resto della sua esistenza, eseguendo numerosi altri lavori di grande importanza per la vivace fucina della Stamperia Reale; in tale contesto instaurò un rapporto di particolare intesa con Luigi Vanvitelli, il quale nel 1756 gli affidò i due ritratti dei sovrani per il testo Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta (Napoli 1756). Lo stesso architetto lo incaricò insieme a Carlo Nolli dell’esecuzione dei rami del testo celebrativo per le nozze regali di Ferdinando di Borbone e Maria Carolina d’Austria, volume poi rimasto inedito.
Tra le numerose incisioni eseguite per le Antichità di Ercolano è di particolare rilievo il ritratto di Carlo di Borbone su disegno di Camillo Paderni, posto ad apertura di diversi volumi. Nonostante la discreta fama raggiunta e il generale apprezzamento riscosso dal suo lavoro, la non felice condizione economica condusse Filippo a redigere due suppliche nel 1763 e nel 1766, con la richiesta di un assegno mensile che lo sottraesse alla estrema precarietà lavorativa, dato che il compenso percepito era legato unicamente al lavoro effettivamente svolto per la Stamperia Reale e, dunque, risultava spesso discontinuo. Tuttavia egli non lavorò esclusivamente per la stamperia borbonica. Nel 1769, per esempio, pubblicò le 40 tavole delle Antichità di Pozzuoli, Baja e Cuma, testo indirizzato soprattutto a viaggiatori e connoisseurs e dedicato alla Society of Encouragement of Arts, Manifactures and Commerce, a cui appartennero molti nobili britannici tra cui William Hamilton, ministro plenipotenziario alla corte borbonica e famoso collezionista e amateur d’arte, il quale intrattenne rapporti molto cordiali con l’artista. La raccolta di tavole conobbe un grande successo e condusse alla pubblicazione di altre due edizioni (1803, 1816), nell’ultima delle quali si registrano l’aggiunta di alcune altre tavole e la partecipazione dei figli Raffaello e Antonio.Da Filippo e Giovanni Elia scaturì una vasta progenie di calcografi di cui non è sempre facile stabilire la paternità a causa del reiterarsi attraverso le varie generazioni degli stessi nomi di battesimo; circostanza quest’ultima che ha generato altresì molta confusione sull’identità stessa di ciascuno di essi, le cui personalità risultano spesso erroneamente confuse nei vari dizionari biografici di settore. Tali artisti operarono tra Napoli, Roma e Firenze, prevalentemente per la Stamperia Reale borbonica, a partire dalla metà del Settecento fino a tutto l’Ottocento.
Particolarmente significativa fu l’attività artistica dei figli di Filippo: in special modo Raffaello, ma anche il secondogenito Guglielmo, che rimase accanto al padre a Napoli, città in cui morì. Con l’aiuto del fratello più noto raffinò le sue capacità incisorie, per le quali fu particolarmente apprezzato, tanto da ricoprire l’incarico di professore d’intaglio all’Accademia di belle arti di Napoli. La sua carriera non fu priva di momenti difficili: in una lettera del padre a Raffaello del febbraio 1796 Guglielmo è infatti descritto come sposato con quattro figli a carico e bisognoso di assistenza economica (cfr. Giovannelli, 1996, p. 203). Raffaello raccolse l’appello paterno inviando talvolta a Napoli alcune copie delle sue stampe, tra cui la cosiddetta Madonna del sacco di Andrea del Sarto, lavoro acquistato, tra gli altri, da Hamilton. Guglielmo collaborò spesso con il più noto fratello, dando un contributo decisivo alle sue incisioni, soprattutto a quelle tratte dai dipinti di scuola emiliana, come Lot e le sue figlie di Guercino. A lui sono attribuiti anche i disegni preparatori per i ritratti di Filippo e Raffaello, incisi poi da Raffaello stesso nel 1790.
Accanto ai lavori condotti in compagnia del fratello, Guglielmo eseguì in autonomia numerose incisioni, la maggioranza per la Stamperia Reale, per la quale lavorò fino alla morte. Il 22 dicembre 1790 venne pagato per l’esecuzione di un ritratto della regina Maria Carolina; nel 1794 partecipò all’illustrazione de L’uomo galleggiante, ossia l’arte ragionata del nuoto, di Oronzio De Bernardi (Napoli 1794); due anni più tardi firmò alcune delle tavole della Raccolta di sessanta più belle vestiture che si costumano nelle province del Regno di Napoli, su disegno di Alessandro D’Anna. Durante la breve stagione repubblicana, nel 1799, fu coautore, insieme con altri famosi incisori della Stamperia Reale, delle rappresentazioni dei dodici più celebri generali, edizione pubblicizzata dal Monitore Napoletano (13 aprile). Nel 1814, ancora tra gli artisti della stamperia borbonica, con Antonio Ricciani e Filippo Rega fu membro della commissione nominata da Gaetano Carcani per individuare i sei più bravi giovani incisori del Regno.
Il figlio minore di Filippo, Antonio, fu anche pittore e, assiduo collaboratore di Raffaello, visse per un periodo con lui a Firenze, dove conobbe molti suoi amici, tra cui il pittore Stefano Toffanelli, il quale, in una lettera, lo rimproverò poiché raramente concludeva i dipinti cominciati. Anche il padre, in vecchiaia afflitto da problemi economici, fu critico nei confronti di Antonio per lo stesso motivo, poiché avrebbe sperato di trarre guadagno dalla vendita dei suoi lavori. In compenso Antonio partecipò, più o meno direttamente, alla maggior parte delle opere del fratello, tra le quali la famosa Trasfigurazione da Raffaello Sanzio.
Va distinto da lui il più giovane Antonio, figlio e allievo dello stesso Raffaello, nato a Roma nel 1788 e morto a Firenze il 25 gennaio 1853. Questo fu fecondo pittore paesaggista, oltre che incisore e disegnatore, ma abbandonò il lavoro presso la bottega paterna per arruolarsi e seguire Napoleone in Spagna. Divenne ufficiale e militò in uno dei corpi di cavalleria del Regno d’Etruria, ma nel 1818 tornò a coltivare interessi artistici, per affinare i quali si recò in Germania, Svizzera e Francia. Fu socio onorario dell’Accademia di Bologna e alla mostra dell’Accademia di Firenze del 1831 espose varie incisioni tra cui una Madonna in trono tratta da Raffaello Sanzio.
Accanto a tali nomi, più noti, si devono menzionare alcuni altri membri della famiglia la cui attività calcografica fu pure di una certa rilevanza. Tra questi, Giovanni fu incaricato nel 1790 dalla corte borbonica di stimare il lavoro di incisione condotto da Francesco Giomignani sui disegni di iniziali eseguiti da Luigi Vanvitelli negli anni Cinquanta. Nicola, nominato regio incisore, il 29 marzo 1790 beneficiò di un compenso di 450 ducati per avere eseguito una medaglia con il ritratto di Ferdinando IV con la quale vennero premiati coloro che si erano dimostrati eccellenti nelle belle arti e, nel 1811, fu tra gli autori della Flora napoletana di Michele Tenore.
Nicola inoltre, dal giugno del 1789, ebbe l’incarico di fonditore di caratteri per conto della Stamperia Reale borbonica; nel giugno del 1800 chiese l’assegnamento di un locale per la getteria di caratteri, ma sembra che lo stabilimento non sia entrato mai in funzione. Ciononostante, Nicola continuò a percepire 35 ducati mensili per imparare l’arte di fondere i caratteri fino al 1807, data in cui l’emolumento gli fu sospeso per decisione di Francesco Daniele, nuovo direttore della Stamperia, che giudicò inutile la spesa.
Luigi firmò come disegnatore alcune delle tavole del Saggio di osservazioni sopra un bassorilievo della Villa del Cardinale Alessandro Albani di Stefano Raffei, edito a Napoli nel 1823 per i tipi della Stamperia Reale, nonché alcune incisioni che ritraggono le scene della mascherata organizzata dall’architetto Antonio Niccolini nel Real Teatro di S. Carlo il 25 febbraio 1827, stampate a firma congiunta da Domenico Cucciniello e Lorenzo Bianchi. Lo stesso Luigi partecipò all’impresa del Real Museo Borbonico, edito tra il 1824 e il 1867. Giuseppe collaborò invece all’Ape Italiana delle Belle Arti, periodico romano edito tra il 1835 e il 1840 sul quale vennero pubblicate in tutto 146 acqueforti, divise in cinque volumi dedicati alle principali accademie d’arte italiane, tra cui Roma, Firenze, Venezia. Un altro Filippo, nato a Napoli, realizzò, come disegnatore e incisore, alcune delle tavole del Real Museo Borbonico. Tra la altre sue incisioni note si segnalano una tavola con la rappresentazione dello studio di Mariano d’Ayala e alcune illustrazioni per note raccolte di stampe quali: Le migliori pitture della Certosa di Napoli, disegnate da Luigi Angelini e commentate da Luigi Liberatore (Napoli 1840); Intorno alle sculture della Chiesa di San Domenico Maggiore, tavole edite all’interno di uno dei volumi degli Annali civili del Regno delle due Sicilie (1846); Rimembranze storiche e artistiche della città di Napoli (Napoli 1846). Da questo va distinto ancora un altro Filippo, pressoché contemporaneo del primo ma nato a Firenze, con ogni probabilità figlio di Raffaello. Egli fu ingegnere per la Soprintendenza alla conservazione del catasto in Toscana, e appartenne al Corpo degli ingegneri d’acque e strade con incarichi diversi dal 1828 al 1847.
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