mordere
Verbo esclusivo della Commedia, con l'eccezione di Rime CXVI 75.
Come nell'uso odierno, nel suo significato più proprio esprime l'azione dell'afferrare fortemente tra i denti, ed è quindi riconducibile all'idea dell'aggressione o della voracità, per cui cfr. If VI 29 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, / e si racqueta poi che 'l pasto morde, libera rielaborazione di Aen. VI 421-422 " Ille fame rabida tria guttura pandens / corripit [offam] obiectam ".
Indica invece la volontà di offendere in due esempi, in cui il verbo si presta a varie interpretazioni. Quasi tutti i commentatori intendono If XXX 26 vidi... due ombre... / che mordendo correvan nel senso che Gianni Schicchi e Mirra si avventino, mordendoli, sui compagni di pena; il Mattalia, però, ritiene che i due falsari mordano a vuoto, in aria, a sfogare un istinto ferino scatenato. Particolarmente denso e pregnante è il significato di m. in If XXXIV 58: per Giuda la pena del mordere era nulla / verso 'l graffiar: " Lucifero frantuma i peccatori con un movimento che ricorda quello della maciulla " (Porena). L'infinito sostantivato compendia pertanto i valori espressivi impliciti nei precedenti dirompea (v. 55) e maciulla (v. 56), tanto da assumere un significato vicino a quello di " masticare robustamente ", proprio dell'uso figurato del " maciullare " odierno.
Come medio transitivo e come riflessivo indica l'atto d'infierire contro sé stessi a sfogo di un violento moto interiore; è questo il caso del conte Ugolino (ambo le man per lo dolor mi morsi, If XXXIII 58), del Minotauro (XII 14) e di Minosse (XXVII 126); e si ricordi anche Filippo Argenti che in sé medesmo si volvea co' denti (VIII 63).
Con il valore più attenuato di " addentare ", in Pg XXIV 116 legno è più sù che fu morso da Eva, e XXXIII 61; allude alla puntura degl'insetti in If XVII 50 di state i cani / ... son morsi / o da pulci o da mosche o da tafani.
Negli usi figurati acquista spesso un significato vicino a quello di " recar danno o molestia "; la metafora, in più casi collegata con quella analoga derivata dai denti, ha svariate applicazioni anche per una più o meno stretta aderenza a modelli del linguaggio biblico o della patristica.
Il verbo è così applicato all'arsura delle fiamme, in Pg XXVII 10 Più non si va, se pria non morde, / anime sante, il foco, per il quale è abitualmente indicato come fonte non immediata un passo di Gregorio Magno (Moralia XXI 9): " Beatus Iob crimen luxuriae diffiniens ait ‛ Ignis est usque ad perditionem devorans ' [lob 31, 12] ... Ignis quippe terram atque eius nascentia comedit, cum libido carnem atque per hanc omnia bene acta consumit ". Per una più esatta ricostruzione della storia interna del linguaggio dantesco, e per una migliore intelligenza del passo, è anche opportuno osservare come l'esegesi patristica (Isidoro Orig. XIV III 3), traendo spunto dal racconto di Gen. 3,23-24 (" Deus ... collocavit ante paradisum voluptatis cherubim et flammeum gladium atque versatilem ad custodiendam viam ligni vitae "), circondasse l'Eden di un muro di fiamma viva, la stessa qui ideata da D., per contrapasso, quale castigo per i lussuriosi.
Una metafora scritturale è anche all'origine di Pg VII 32 pargoli innocenti / dai denti morsi de la morte, per cui di solito si cita quale fonte Os. 13, 14 (" morsus tuus ero, inferne "); cfr. ancora Pd VI 94 il dente longobardo morse / la Santa Chiesa.
Analogo traslato in Pd VII 42 La pena... che la croce porse / s'a la natura assunta si misura, / nulla già mai sì giustamente morse: la pena della crocefissione, se commisurata alla natura umana assunta da Cristo, fu del tutto giusta, data la gravità del peccato originale. Il dissenso verte sulla costruzione, giacché quasi tutti i commentatori considerano nulla (pena) come soggetto e interpretano " nessuna pena morse "; il Porena, invece, vi vede un complemento oggetto e spiega: " il supplizio della croce... non tormentò mai nulla (nessuna colpa) così giustamente ".
Come attestano le espressioni usuali ‛ lingua mordace ' e ‛ parole mordaci ', risale al linguaggio familiare la metafora di If XXXI 1 Una medesma lingua pria mi morse / ... e poi la medicina mi riporse. Che fosse anche allora immagine convenzionale lo attesta quella analoga di Iacopone (O papa Bonifacio 3): " Colla lengua forcuta m'hai fatto esta feruta, / che colla lengua ligne e la piaga me stigne ".
In ogni altro caso, in usi e con significati già presenti nel latino mordere o remordere (cfr. Aen. VII 402 " si iuris materni cura remordet "), m. esprime lo stimolo tormentoso della coscienza angosciata da una preoccupazione intensa (If IX 102 fé sembiante / d'omo cui altra cura stringa e morda), dall'ira propria (XIX 119) o altrui (Pg XX 111), dall'amore (Rime CXVI 75), dalla riconoscenza (Pg XXXI 88) e persino incitata al bene dalla carità (Pd XXVI 51); così nella variante mi morda in luogo di rimorda in Pg XXXIII 93; cfr. Petrocchi, ad locum.
Non chiaro è il passo di If XI 52 La frode, ond'ogne coscïenza è morsa. Scarso o nessun credito ottengono ormai le spiegazioni di un tempo: tutti commettono peccati di frode; la coscienza prova rimorso solo per quelle frodi che sono peccato, " imperocché sono alcune fraudi che non rimordono la conscienza, perché non sono peccato " (Landino); " intendi, o che la frode è tal vizio che le coscienze più dure n'hanno rimorso... o che Virgilio voglia rimproverare i contemporanei di Dante come i più macchiati di frode " (Tommaseo). Largo seguito (Steiner, Vandelli, Sapegno, Porena) ha avuto l'interpretazione del Barbi (" Bull. " XXV [1918] 49; ora in Problemi I 268), secondo il quale la coscienza morsa è quella del fraudolento, perché " nella frode c'è sempre il concorso della ragione, e perciò la coscienza [ne] rimane sempre intaccata ". Diverso è il parere del Pagliaro (Ulisse 236), per cui " la frase esprime una connotazione generica della frode, nel senso che l'uso della ragione per compiere subdolamente il male... è tale abuso che, di fronte ad esso, l'umanità ne ha rimorso come di una colpa comune ". Per il Chimenz, infine, è " preferibile intendere che la coscienza morale di ognuno (non fraudolento) è gravemente offesa di fronte alla frode, più che di fronte a tutte le altre colpe ".