morale
Aggettivo denotante ciò che attiene alla ‛ scienza morale ' o ‛ etica ', in quanto scienza del male e del bene, del giusto e dell'ingiusto o, più genericamente, che è conforme alle norme della moralità.
In Cv I VIII 6 li morali ragionamenti sono appunto le argomentazioni che contengono un ammaestramento m.; così li morali filosofi (IV XXII 1) sono quei filosofi che hanno trattato in modo particolare di etica (D. specifica ulteriormente de li benefici con riferimento al genere istituito con il De Beneficiis di Seneca) e come tali sono autorizzati ad ammaestrare ‛ comandamenti '. In questo senso l'aggettivo qualifica Seneca (If IV 141 Seneca morale), a designare il genere di trattazione filosofica in cui eccelse e per cui è motivata la sua presenza nel Limbo.
Con valore proprio del lessico filosofico il termine qualifica le virtù morali o etiche in quanto distinte dalle intellettuali o dianoetiche. La distinzione risale ad Aristotele, il quale in Eth. Nic. II 1, 1103a 14 ss., affermava: " Duplici autem existente virtute, hac quidem intellectuali, hac autem morali: ea quidem quae intellectualis, plurimum ex doctrina habet et generationem et augmentum. Ideo experimento indiget et tempore. Moralis vero ex more fit. Unde et nomen habuit parum declinans a more ", e Tommaso così glossa (Exp. super Eth. II lect. I): " moralis virtus fit ex more, idest ex consuetudine. Virtus enim moralis est in parte appetitiva. Unde importat quandam inclinationem in aliquid appetibile. Quae quidem inclinatio vel est a natura quae inclinat in id quod est sibi conveniens, vel ex consuetudine quae vertitur in naturam. Et inde est quod hoc nomen ‛ morale ' sumitur a consuetudine parum inde declinans... Sic igitur patet quod virtutes morales non sunt in nobis a natura neque sunt nobis contra naturam. Sed inest nobis naturalis aptitudo ad suscipiendum eas, inquantum scilicet appetitiva vis in nobis nata est oboedire rationi ".
Le virtù m. o ‛ etiche ' sono dunque le virtù corrispondenti alla parte appetitiva dell'anima e che sono moderate e guidate dalla ragione. Ogni virtù si acquisisce non immediatamente, ma con l'esercizio che conferisce un abito (habitus). Essa inoltre consiste in una scelta (electio) verso il bene. Da ciò l'affermazione di D.: ogni vertù morale viene da uno principio, cioè buona e abituale elezione (Cv IV XVIII 1, e anche § 6) e ancora: l'abito di vertude, sì morale come intellettuale... conviene per usanza s'acquisti. Con riferimento esplicito alla definizione aristotelica di virtù come habitus electivus (Eth. Nic. II 6, 1106b 36 ss. " Est igitur virtus habitus electivus in medietate existens quoad nos ") D. afferma di rifarsi all'Etica di Aristotele ponendo tutta la diffinizione de la morale virtù (Cv IV XVII 1); inoltre aggiunge come ‛ ogni virtù ' siano le vertù morali e che propriissimi nostri frutti sono le morali vertudi (§ 2) in quanto effetti propri dell'essenza dell'uomo. Lo stesso in XVI 10 li frutti: che sono morali vertù e intellettuali. La correlazione m.-intellettuali a proposito delle virtù è ricorrente: Cv IV XIX 5 Riluce in essa [nobiltà] le intellettuali e morali virtudi (per nobiltà e virtù m., v. anche XVIII 3); XVII 11-12 perché non anzi si procedette per la via de le virtù intellettuali che de le morali?... perciò che le virtù morali paiano essere e siano più comuni e più sapute e più richieste che l'altre; § 8 Bene si pone Prudenza ... essere morale virtude, ma Aristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essa sia conduttrice de le morali virtù (cfr. Eth. Nic. VI 3, 1139b 14 ss. " Sunt utique quibus verum dicit anima affirmando vel negando, quinque secundum numerum. Haec autem sunt ars, scientia, prudentia, sapientia, et intellectus ", e 5, 1140a 24 ss.).
Tale correlazione tra virtù m. o ‛ attive ' e intellettuali o ‛ speculative ' è notevolmente evidenziata in Cv IV XXII 18 nostra beatitudine... prima trovare potemo quasi imperfetta ne la vita attiva, cioè ne le operazioni de le morali virtudi, e poi perfetta quasi ne le operazioni de le intellettuali. In III XV 11 è infine detto che l'ordine de le virtudi morali costituisce l'ornamento della sapienza.
La filosofia morale. - Nelle locuzioni ‛ m. filosofia ', ‛ m. scienza ' o ‛ m. dottrina ' il termine passa a indicare la Morale in quanto scienza dei costumi e del bene, che è parte della filosofia ed equivale a Etica. Da notare che in D. - tranne l'incerto caso di Cv III XI 16 - il termine non è adoperato nella forma sostantivata, ma conserva sempre funzione qualificativa rispetto a filosofia, scienza e dottrina.
In Cv IV VI 15 D. ricorda come massimamente Aristotile avesse ‛ limato ' e ‛ condotto a perfezione ' la filosofia morale. Questo riconoscimento di Aristotele come praeceptor morum (Mn III I 3), nella cui dottrina si è compiuto il supremo magistero morale è più volte sostenuto da D. (v. ARISTOTELE) e conferma il primato che D. attribuisce a questa scienza.
La filosofia m., infatti, assieme alla Fisica e alla Metafisica costituisce il termine ultimo e più alto a cui tende la Filosofia: le scienze ne le quali... la Filosofia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome; sì come la Scienza Naturale, la Morale, e la Metafisica (Cv III XI 16).
Per sanzionare l'eccellenza della filosofia m. rispetto alle arti liberali e alla stessa Fisica e Metafisica D. pone al di sopra di esse la scienza morale nel paragone tra gerarchia delle scienze e gerarchia dei cieli. Immediatamente dopo la Teologia (o scienza divina) che corrisponde al cielo quieto o Empireo, viene infatti la scienza morale corrispondente a la nona spera (Cv II XIII 8), cioè al Cielo cristallino o Primo Mobile.
La priorità della M. sulle altre scienze è la priorità stessa, nel tempo e nel grado, del fine umano rispetto a ogni altra scienza operativa o speculativa. Tale primato gerarchico della M. è da D. fondato sull'autorità di Tommaso e Aristotele: Lo Cielo cristallino, che per Primo Mobile dinanzi è contato, ha comparazione assai manifesta a la Morale filosofia; ché Morale Filosofia, secondo che dice Tommaso sopra lo secondo de l'Etica, ordina noi a l'altre scienze. Ché, sì come dice lo Filosofo nel quinto de l'Etica, ‛ la giustizia legale ordina le scienze ad apprendere, e comanda, perché non siano abbandonate, quelle essere apprese e ammaestrate ' (XIV 14-15). Il luogo di Tommaso, oltre quello indicato da D. (Comm. Eth. II lect. I) sembra essere più propriamente l'esordio del commento all'Etica (Comm. Eth. I lect. I): " Et quia consideratio rationis per habitum perficitur, secundum hos diversos ordines quos proprie ratio considerat, sunt diversae scientiae. Nam ad philosophiam naturalem pertinet considerare ordinem rerum quem ratio humana considerat sed non facit; ita quod sub naturali philosophia comprehendamus et metaphisicam. Ordo autem quem ratio considerando facit in proprio actu, pertinet ad rationalem philosophiam, cuius est considerare ordinem partium orationis adinvicem, et ad conclusiones. Ordo autem actionum voluntarium pertinet ad considerationem moralis philophiae. Ordo autem quem ratio considerando facit in rebus exterioribus constitutis per rationem humanam, pertinet ad artes mechanicas. Sic ergo moralis philosophiae... proprium est considerare operationes humanas, secundum quod sunt ordinatae adinvicem et ad finem ". La chiosa tomistica stava peraltro a chiarimento di quanto affermato da Aristotele (Eth. Nic. I 1-2, 1094a 6 - b 11) sul primato dell'Etica rispetto alle altre scienze e le arti, tanto speculative che pratiche, in quanto tutte le coordina e orienta al fine generale che è la felicità dell'uomo secondo virtù. Aristotele stesso ricordava infatti (Eth. Nic. I 2, 1094a 26-27) come la filosofia morale fosse " principalissime et maxime architectonicae ", in quanto subordina a sé le altre scienze, delle quali riassume i fini dirigendole al bene. Per il luogo di Aristotele citato da D. sarà da vedere tutto il V libro dell'Etica.
In tal senso D. afferma ancora (Cv II XIV 18), sull'esempio del Primo Mobile che regola e assogetta a sé tutti i moti dei restanti cieli, che cessando la Morale filosofia, l'altre scienze sarebbero celate alcun tempo, e non sarebbe generazione né vita di felicitade, e indarno sarebbero scritte e per antico trovate. Per che assai è manifesto, questo cielo [per] sé avere a la Morale Filosofia comparazione. Per D., dunque, se la speculazione della verità è primaria rispetto all'amore della Sapienza e alla contemplazione, è pur vero che le scienze speculative sono soggette al primato della scienza m. (e, in subordine, alla politica) proprio in quanto, aristotelicamente, tutte convergono nella realizzazione del fine dell'uomo in quanto animale politico (per un'ampia discussione nel rapporto Morale-Metafisica in D., v. É. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 1953², 100-143, e B. Nardi, Nel mondo di D., Roma 1944, 209-245; v. anche METAFISICA [scienza]).
Della morale dottrina in quanto dal suo piacere si genera appetito diritto, cioè volontà tesa al bene, è detto in Cv III XV 12. Al § 14 la morale filosofia è indicata come parte della Filosofia-Sapienza in cui dà essemplo d'umiltà. Infine in IV XV 14 è ricordato il luogo di Aristotele (Eth. Nic. I 3, 1095a 14 ss.) dove si parla degli insufficienti uditori de la morale filosofia. Per quanto precede, v. anche MORALITÀ.
Senso m. delle scritture. - I termini ‛ moralitade ' e ‛ senso morale ' (cfr. Cv II I 5) ricorrono in contesti in cui D. abbandona la historia o la sposizione litterale (ad es. Cv II XV 6) per offrire l'interpretazione mistica di un passo biblico o per trarre dai propri versi delle conclusioni pratiche per la condotta della vita (v. SCRITTURA). Il senso m. della Scrittura (Pg XXXIII 72) e la moralità di un verso di canzone presuppongono sempre una corretta interpretazione e una comprensione chiara del senso letterale: sempre lo litterale dee andare innanzi, sì come quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale intendere a li altri (Cv II I 8). Tuttavia per il lettore ordinario la verità nascosta (esposta con l'interpretazione allegorica) o le realtà celesti (scoperte con il senso anagogico) sono ben più difficili a cogliersi che non le lezioni m. date dalla ‛ tropologia ' (altro nome medievale del senso morale). Perciò D. precisa (Cv II I 15) che svilupperà ampiamente l'allegoria di ciascun verso delle sue canzoni, mentre toccherà rapidamente o addirittura ometterà di esplicitare il loro senso morale. L'Ep XIII 21 pone a confronto il senso allegorico della Commedia - la redenzione operata dal Cristo - col suo senso m. - la conversione dell'anima de luctu et miseria peccati ad statum gratiae.
Va inoltre ricordato che l'allegoria in materia scritturale aveva avuto come grande maestro, nell'alto Medioevo, s. Agostino e, nei tempi più recenti, s. Anselmo; mentre la tropologia - interpretazione e glossa m. - aveva trovato il proprio modello in s. Gregorio Magno (Moralia in lob, ecc.) e, più vicino a D., in s. Bernardo. S. Bonaventura, il cui giudizio D. non dovette ignorare, riteneva questi due ultimi dottori come le guide migliori alla predicazione, esattamente come Dionigi l'Aeropagita e Riccardo di San Vittore lo erano nella contemplazione della realtà dell'anagogia, mentre Ugo di San Vittore eccelleva in tutti e tre i domini del senso mistico.