MONTECUCCOLI, Raimondo, principe
Generale e scrittore italiano al servizio dell'impero, nato il 21 febbraio 1609 nel castello di Montecuccolo sull'Appennino modenese, morto a Linz il 16 ottobre 1680. Dal cardinale Alessandro d'Este, suo protettore, fu condotto a Roma in giovane età e avviato al sacerdozio. Dopo la morte del cardinale, lasciò gli studî ecclesiastici e partì, sedicenne, per la Germania, colà chiamato da un generale suo parente, che lo avviò alla carriera delle armi. Per lungo tempo, nei gradi di truppa, partecipò a operazioni guerresche in varî teatri di lotta, divampando allora la guerra dei Trent'anni. Nel 1631, raggiunto il grado di capitano, si trovò alla testa degli assalitori di Neubrandenburg e riuscì a penetrare primo nella città, di cui consegnò le chiavi al Tilly. Durante la battaglia di Lipsia, disastrosa per gl'imperiali (7 settembre 1631) fu fatto prigioniero dagli Svedesi, che lo liberarono, dopo sei mesi, per compenso pecuniario. Dopo la dura battaglia di Lützen (16 novembre 1632), dove alla testa di alcuni squadroni era rimasto ferito, compose una canzone in morte di Gustavo Adolfo, con la quale rivelò le sue qualità di studioso dei classici. A Wittstock (24 settembre 1636) al comando di quattro reggimenti compì eroiche azioni di retroguardia, permettendo la ritirata degl'imperiali. Nel 1639 cadde nuovamente prigioniero degli Svedesi e questa volta occorsero tre anni per la sua liberazione. Durante la prigionia, trascorsa a Stettino, dove esisteva una ricchissima biblioteca, si diede a severi studî, specialmente militari, il cui risultato fu la sua prima grande opera Trattato della guerra. Liberato dalla prigionia rientrò poco dopo a Modena col consenso dell'imperatore. Quivi il duca abbisognava del suo consiglio di generale e di negoziatore politico. Ritornato a Vienna e nominato maresciallo di campo, ebbe (1646) il comando d'un esercito imperiale operante nella Slesia, e con la sua azione costrinse gli Svedesi a ritirarsi in Pomerania, acquistando fama di sommo stratega. Nel 1648 ebbe il grado di comandante generale della cavalleria. Conclusa la guerra dei Trent'anni, il M. viaggiò per diporto in Europa, contemporaneamente dedicandosi ai prediletti studî. Raccolse la materia del suo poderoso Zibaldone e diede nuovo contenuto al Trattato della guerra, trasformandolo nell'opera: Dell'arte della guerra. Alla fine del 1653 fu incaricato di delicate trattative alla corte di Copenaghen, desiderandosi a Vienna un matrimonio fra Ferdinando IV e Cristina di Svezia. Nel 1657-58 fu comandante in capo degl'imperiali nella campagna di Polonia e di Danimarca contro gli Svedesi. Nel 1661 ebbe il grado di maresciallo di campo generale, col quale comandò in capo nel 1663-64 gli eserciti dell'impero e dei suoi alleati cristiani contro i Turchi, che avevano invaso il territorio ungherese. Al passaggio della Raab (1° agosto 1664) il M. inflisse agli Ottomani una tremenda disfatta, seguita da incalzanti manovre d'inseguimento. L'ascendente del M. sulla corte di Vienna salì al massimo grado, non soltanto per le questioni militari, ma anche per l'interna amministrazione e i problemi internazionali. Nel 1668 fu nominato presidente del consiglio aulico di guerra.
Tornato ai libri dopo la campagna contro i Turchi, scrisse l'opera da molti ritenuta la sua maggiore: Della guerra col Turco in Ungheria. Ma ben presto i successi di Luigi XIV nell'Europa settentrionale minacciando l'impero di accerchiamento, Vienna dovette intervenire con le armi e il M. ebbe il comando dell'esercito imperiale sul Reno, con raccomandazione di risparmiare il più possibile le truppe.
Malgrado queste limitative istruzioni, il M. riusci a fare ripiegare il Turenne oltre il Reno con una serie di abili manovre e ad operare il proprio congiungimento con le truppe olandesi sul basso Reno (1673). Il celebre Turenne era per la prima volta battuto dal generale italiano. Per ragioni di salute, e più ancora perché disgustato da ingiuste critiche, il M. declinò il comando per la campagna dell'anno seguente e il Turenne poté così prendersi una facile rivincita sui mediocri generali imperiali che succedettero al M. nella direzione della guerra. Per le insistenze dell'imperatore, il M. riprese allora il comando in capo e ciò mutò di nuovo la situazione a favore degl'imperiali. Rimasto ucciso il Turenne in battaglia (27 luglio 1675) e demoralizzatisi i suoi uomini, il M. inseguì i Francesi e li vinse quattro giorni dopo ad Altenheim. Fu questa l'ultima battaglia diretta dal grande capitano.
L'imperatore gli conferì il titolo di principe dell'impero. Ritiratosi dal servizio, sopravvisse cinque anni, carico di onori, ma anche bersaglio alla maldicenza degl'invidiosi.
Durante la prigionia di guerra al castello di Stettino (1639-1642) il M. scrisse, come si è detto, il Trattato della guerra, che non fu mai pubblicato nel testo originale italiano ed è soltanto noto attraverso una versione in tedesco di Veltzé. L'opera è frutto della personale esperienza dell'autore e risente dell'ammirazione di lui per lo spirito novatore e la abilità manovriera di Gustavo Adolfo. Il M. ha indubbiamente consultato scrittori militari antichi e moderni, ma la parte soggettiva vi predomina in modo evidente. Opina C. Campori che il manoscritto fosse inviato al duca di Modena Francesco I, che lo passò a Vienna. Il M. vi considera la guerra nella sua integrità, cioè come fatto politico e militare al tempo stesso; e questo è gran pregio. La materia vi è divisa in tre libri; i due primi voluminosi, il terzo di piccola mole. Il primo libro tratta dei principî della guerra in generale, distinguendo le guerre interne (repressione di sedizioni) da quelle esterne e dettando norme per l'un caso e l'altro; vi sono svolti i principî dell'offensiva e della difensiva, le norme per la raccolta dei mezzi militari e degli uomini e per la condotta della diplomazia di guerra. Proclama necessario nei capi lo spirito inventivo: "Niuno senza invenzione fu mai grande uomo nel mestier suo". Nel secondo libro il M. esamina le particolarità della condotta offensiva e difensiva; tratta delle operazioni in campo aperto e dell'attacco e difesa delle fortezze; della condotta delle battaglie; dei rifornimenti; delle marce e alloggiamenti; della disciplina. Il M. afferma che l'offensiva, consentendo l'iniziativa delle operazioni, è preferibile: "la scienza della guerra consiste nel combattere quando si vuole". Cosa presto detta - egli avverte - ma difficile a farsi. Il terzo libro si occupa del modo di finire le guerre; e cioè dei patti della pace, del trattamento dei popoli assoggettati e del licenziamento degli armati (oggi si direbbe "smobilitazione"). Il manoscritto originario ebbe parecchie aggiunte, raccolte dal M. in nove fascicoli, detti "pecorine" dalla loro rilegatura in pergamena. La loro esistenza ci è nota per i rinvii che ad esse vengono fatti nel testo del Trattato, ma i primi otto fascicoli (costruzione, assedio e difesa delle fortezze, macchine e strumenti guerreschi, impiego delle varie armi) sono andati smarriti e rimane soltanto il nono, che tratta Delle battaglie.
La seconda delle opere principali del M. reca il titolo: Dell'arte della guerra. La si ritiene scritta la prima volta nel 1645 o 1646. L'opera si svolge in forma trattatistica e appare letterariamente arida, come comporta la sua struttura schematica. Scientificamente segna un progresso rispetto all'opera precedente.
La materia è ripartita in 20 capitoli (o "tavole"). Vi si tratta della matematica applicata alla guerra; degli uomini; delle artiglierie (costruzione e impiego); delle marce; della castrametazione; della tattica, ecc. Per i minuti particolari a cui discende può considerarsi come un manuale completo dell'ufficiale. È opera fondamentale per l'intima e completa conoscenza degli eserciti e della tecnica guerresca del tempo.
La terza delle maggiori opere militari del M. s'intitola: Della guerra col Turco in Ungheria, e fu compiuta nel 1670. Contrariamente all'Arte della guerra, ha forma letteraria assai curata e gli eventi vi sono descritti con vivacità artistica. Consta di tre libri, di cui il primo è un vero trattato dell'arte bellica, sicché più particolammnte a questa prima parte è da attribuire la denominazione di Aforismi con la quale si suole indicare l'intera opera. Il secondo libro è più precisamente la narrazione storica della guerra contro i Turchi, condotta dallo stesso M. e vale come convalida, alla stregua dei fatti, delle massime enunciate nel primo libro; né vi mancano spunti polemici e allusioni ai suoi denigratori, che aumentano di numero, a mano a mano che si accresce la sua gloria. Il terzo libro è di Conclusioni. Anche in quest'opera il concetto ispiratore è che la scienza militare non sussiste di per sé stessa, ma si avvale del concorso di tutte le altre scienze. Ed è pur notevole l'affermazione del M. - condottiero dallo spirito aggressivo - sull'importanza da attribuire all'organizzazione logistica, ché, egli dice, "più fiera del ferro è la fame, e più eserciti consuma la penuria che la zuffa".
Bibl.: C. Campori, R. M., Firenze 1876; T. Sandonnini, Il generale R. M., Modena 1914; S. Zanelli, Il M. capitano e scrittore, in Rivista mil. it., 1882; A. Gimorri, R. M.: I viaggi, Modena 1924.