Montecassino
Rilievo nel Lazio meridionale, a sud-est di monte Cairo, nel Subappennino campano; secondo la tradizione s. Benedetto vi giunse nel 529.
La città di Cassino, antico e fiorente municipio romano, offriva agli occhi del santo un triste spettacolo, poiché, nella seconda metà del secolo precedente, aveva subito ben due volte l'urto dei barbari: l'avevano presa e danneggiata prima Genserico nel 453, poi Recimero nel 472. La povera e incolta popolazione rimasta sul posto era ritornata ad adorare le divinità pagane, i cui simulacri si ergevano ancora in cima al monte che sovrasta la città. D., che quasi sicuramente si rifà al racconto di s. Gregorio, dice che s. Benedetto per primo portò in quei luoghi la parola di Cristo: quel son io che sù vi portai prima / lo nome di colui che 'n terra addusse / la verità che tanto ci soblima (Pd XXII 40-42). Invece sembra che fin dai tempi apostolici il cristianesimo fosse giunto a Cassino. Non si sa quasi nulla dei vescovi che ivi ressero la primitiva comunità cristiana, ma si ha menzione di due di essi che vissero in un tempo abbastanza vicino alla venuta di s. Benedetto: Caprasio (o Caprario), che nel 465 partecipò al sinodo tenuto a Roma da papa sant'Ilario nella basilica Liberiana, e Severo, che nel 487 sottoscrisse il sinodo tenuto in Roma da Felice III in Laterano. Tuttavia, quando giunse il santo, le popolazioni erano ritornate all'antico culto. Egli allora, animato da profonda fede, distrusse il tempio e gli altari pagani e sul luogo del tempio edificò un oratorio dedicato a s. Martino e all'ara di Apollo sostituì un altare dedicato a s. Giovanni. Erano le prime opere del futuro monastero. Poi, con predicazione continua, si accinse a chiamare alla fede le genti dei paesi vicini.
Il racconto dantesco non si distacca dalla narrazione di s. Gregorio neppure nella descrizione topografica del luogo, e ciò rende più difficile formulare l'ipotesi di una visita del poeta a Montecassino. La descrizione dantesca ripete quasi letteralmente l'accenno topografico fatto da s. Gregorio (Quel monte a cui Cassino è ne la costa, Pd XXII 37: " Castrum, quod Casinum dicitur, in excelsi montis latera situm est ", Greg. Magno Dialog. II 2); essa inoltre manca di quella ricchezza descrittiva che, per altri luoghi, costituisce testimonianza di una personale esperienza del poeta. Vero è che il Filelfo ci parla di due ambascerie di D. fatte per conto della repubblica fiorentina al re di Napoli: una prima volta il poeta sarebbe stato mandato per contrarre alleanza con quel re, una seconda volta per chiedere la liberazione di Vanni Barducci; ma il biografo non menziona né il tempo né il luogo dell'incontro di D. con il re di Napoli. Nella fragile ipotesi di queste ambascerie, D. avrebbe percorso la vecchia via Latina, sarebbe passato vicino al monastero di M., e vi avrebbe soggiornato, attratto dalla fama dell'antica abbazia e dalla ricchezza della sua biblioteca. Ammettendo che la biblioteca del monastero si trovasse nello stato di pietoso abbandono in cui la vide il Boccaccio, il quale (come racconta Benvenuto nel commento a Pd XXII 75) trovò i preziosi volumi coperti di polvere e con interi quaderni stracciati dai monaci stessi, una diversa interpretazione potrebbe essere data alle parole di rimprovero che s. Benedetto rivolge ai monaci del suo ordine: la regola mia / rimasa è per danno de le carte (vv. 74-75). Infatti, mentre queste parole sono comunemente interpretate nel senso che la carta è sprecata per trascrivere la regola, da nessuno più osservata, qualora D. abbia visto la biblioteca in abbandono, i suoi versi possono intendersi come un rimprovero ai benedettini per la rovina di quei tesori scientifici, che lo stesso ordine in passato aveva gelosamente custodito.
Bibl. - L. Tosti, Della vita di s. Benedetto, Montecassino 1892, 114-153; Bassermann, Orme 281-288; A. Solerti, Le vite di D., Petrarca e Boccaccio, Milano s.d. [ma 1904] 184; G. Falco, La santa romana repubblica, ibid. 1954, 89-107.