MONTE
. Storia economica. - La parola Monte si riscontra di frequente, a partire dal Medioevo, e assume molteplici significati nei quali è sempre implicita, però, l'idea di accumulazione. Per esempio a Siena, dove pure avrà un altro valore, equivale a ordine, consorteria, o lega di cittadini: e in questo senso si ricordano i Monti dei gentiluomini, dei nove, dei dodici, dei riformatori, del popolo, che si collegano con le vicende costituzionali della città. In altri casi si denomina Monte ogni raccolta di denaro fatta tra più persone per l'esercizio di un traffico (e allora questa espressione si trova usata promiscuamente coll'altra di "corpo di compagnia") o per altri scopi, e principale quello della mutua assistenza (come il Monte dell'utilità a Venezia, e come quello dei gentiluomini cortigiani di Napoli, sec. XVII, che coi loro versamenti formavano una massa che serviva ai partecipanti in caso di bisogno). In questa seconda accezione vale anche, in genere, come istituto o luogo che raccoglie capitali offerti o depositati, e li eroga tanto a chi ha contribuito alla formazione del peculio quanto ad altri, ai termini dell'atto di costituzione: come, ad esempio, il Monte fiorentino delle doti del sec. XV, a cui si accostano quello napoletano dei maritaggi e il bolognese dei matrimonî, e il Monte dei morti di Benevento (sec. XVII) destinato al suffragio delle anime, a varia beneficenza, e anche alle doti delle ragazze oneste. Ma soprattutto la parola Monte è un'espressione del linguaggio finanziario, che si applica a un dato cumulo, o a un cumulo generale dei prestiti, volontarî o forzati, richiesti o imposti dagli stati: i quali erano costretti a provvedere ai bisogni straordinarî con espedienti di cassa, attesa l'insufficienza e le lunghe pratiche dell'esazione delle imposte dirette, personali o reali. L'intenzione dei governi era senza dubbio, specialmente all'inizio, quella di restituire le somme ai creditori. Ma il crescere fuor di misura del debito pubblico, fece sì che la sospensione temporanea, e a mano a mano sempre più lunga, del pagamento delle quote di ammortizzazione, facesse assumere di fatto al prestito il carattere di rendita perpetua; finché si giunse, talvolta, addirittura al concetto legale dell'irredimibilità.
Come si è accennato, Monte poté significare un dato accantonamento, con trattamento speciale, per fronteggiare spese determinate, e proprio questo fu il valore costante della parola nel linguaggio finanziario veneziano; e poté significare anche unificazione di molti o di tutti i prestiti, a cui si assicurò un trattamento uniforme. È questo il caso tipico del Banco di San Giorgio e del Monte comune di Firenze, definitivamente costituito con la riformagione del 22 febbraio 1345, che trasformò appunto tutte le vecchie prestanze in un titolo di rendita perpetua col tasso del 5 per cento, pienamente disponibile, franco di gabella, e permutabile all'infinito. La costituzione di un Monte comune del tipo di quello di Firenze non impedì, e ciò avvenne in quella stessa città, che i prestiti contratti posteriomente alla sua erezione, in luogo di essere assoggettati a identico trattamento, fossero iscritti nei libri di altri Monti, a condizioni diverse e più vantaggiose per i montisti, suggerite e imposte dalla necessità di denaro da parte dello stato. Si ricordano, ad esempio, i Monti fiorentini dell'un due e dell'un tre e quello dell'un quattro, rispettivamente del 1358 e del 1456, che, stabilito il tasso del 5%, permettevano di fatto, in virtù di una finzione, la percezione degl'interessi del 10, del 15, del 20 per cento. Si disse che il titolo di rendita non era sottoposto, a Firenze, ai termini della provvigione del 1345, ad alcun onere; e sovente anche altrove, soprattutto nei primi tempi, il "luogo di Monte" andò esente da aggravî. Tuttavia si derogò, ovunque, a poco a poco alla regola, e anche a Venezia che pure si segnalò sempre per la sua correttezza finanziaria. L'imposizione di un tot sempre più grave sul capitale nominale dei prestiti portò, in sostanza, a una riduzione degl'interessi, il cui servizio era gravosissimo, e fece precipitare il prezzo di mercato dei titoli.
Bibl.: G. Luzzatto, I prestiti della Repubblica di Venezia, I, Secoli XIII-XV, Padova 1929; H. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo e in particolare sulla Casa di San Giorgio, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXV, Genova 1906-1907; B. Barbadoro, Le finanze della repubblica fiorentina. Imposta diretta e debito pubblico fino alla istituzione del Monte, Firenze 1929; G. Canestrini, La scienza e l'arte di stato desunta dagli atti ufficiali della repubblica fiorentina e dei Medici, Firenze 1862; G. Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico e amministrativo, Firenze 1881 (ivi soprattuto particolari sui Monti di Firenze).
I Monti frumentarî.
I Monti frumentarî (detti anche granatici o di soccorso) sono un'istituzione benefica sorta negli ultimi tempi del Medioevo a favore dell'elemento più povero della classe degli agricoltori. Il contadino prelevava dal cumulo di grano comune le quantità necessarie per la semina, che poi restituiva aumentate di un tanto per l'interesse, al momento del raccolto. L'istituzione ebbe origine e prosperò nelle regioni agricole e di condizioni più misere, e non attecchì (o s'isterilì presto) nelle zone a tipo prevalentemente industriale, o comunque più ricche. È logico che l'istituzione sia generalmente decaduta a mano a mano che si sono verificati progressi tecnici nella coltura dei campi. La prima notizia di un Monte granatico si ha nell'Italia meridionale, ove fu costituito nel 1492 dal comune di Macerata. Il secolo nel quale i Monti furono più numerosi fu il Seicento.
Si ricordano, sempre nel Mezzogiorno, in particolar modo quello fondato nel 1624 dal contadino Michele Aiasso con un lascito testamentario di 2000 scudi, e quello creato alla fine del secolo a Benevento dall'arcivescovo Vincenzo Maria Orsini con 500 ducati e 146 tomoli di grano: l'arcivescovo, divenuto nel 1724 papa col nome di Benedetto XIII, favorì il diffondersi dell'opera benefica, che si dovette in prevalenza all'iniziativa di ecclesiastici. Nel 1741, passata quell'iniziativa in gran parte ai laici, la S. Sede fece un concordato con il regno di Napoli per la costituzione di tribunali che sorvegliassero l'amministrazione; e 40 anni dopo in quel regno si fece la prova di avocare allo stato la creazione dei Monti granatici: la qual prova avendo fallito, si tornò, quasi subito, all'iniziativa privata. L'ultima ripresa, in quel settore d'Italia, si dovette a Ferdinando II, che fece risorgere o dette vita ex novo a centinaia di Monti, soprattutto nell'Abruzzo e nella Capitanata. Un'altra regione ove fiorirono quegl'istituti fu la Sardegna. Là, però, ebbero caratteristiche diverse, che li avvicinano alle casse rurali di prestiti, non limitandosi al prestito delle sementi, ma provvedendo anche a quello di derrate, di denaro e di strumenti agricoli, e curando che gli agricoltori, con prestazioni di opere dette roadie, coltivassero terreni di proprietà comune o affittati collettivamente. Sorsero nell'isola nel'500, e anche qui ad opera di ecclesiastici. In progresso di tempo fu particolarmente efficace l'opera dei vescovi, che diedero un'organizzazione uniforme ai Monti, detti anche nummarî: finché intervenne il sovrano, Carlo Emanuele III, con le patenti del 1777 dovute al ministro G. B. Bogino. Decaddero poco dopo, quando le necessità dell'industria agraria li resero inefficaci o insufficienti. Attese le varie caratteristiche dei Monti frumentarî nelle varie regioni d'Italia, furono soaooposti a norme diverse, per quanto sostanzialmente uniformi, dalla legislazione italiana dopo la costituzione del regno: la quale li ritenne, inoltre, ora vere e proprie opere pie da sottoporsi alla vigilanza del Ministero dell'interno, ora enti speciali da essere soggetti alla sfera di competenza del Ministero di agricoltura e commercio. La legge del 1890 sulle opere pie attribuì loro definitivamente la figura d'istituzioni pubbliche di beneficenza; ma non si raggiunse l'unità di ordinamento, rimanendo dettate norme partieolari per la Sardegna, la Basilicata, la Calabria.
Bibl.: S. Bruno, I Monti Frumentari, Torino 1922, che si occupa prevalentemente dell'ordinamento tecnico e contabile dei Monti; v. inoltre la bibliografia Per la storia delle banche in Italia fino al 1815, compilata da A. Sapori, in History of the principal public Banks, L'Aia 1934, pp. 378-79.
Monti di pietà.
La storia di questi istituti, che hanno avuto all'inizio l'unico scopo di far prestiti alle classi povere contro pegno di cose mobili, si allaccia alla storia dell'usura nei tempi di mezzo. I Monti ebbero origine e si affermarono in Italia; fuori d'Italia non attecchirono che tardi, e non dovunque. È infatti generalmente ammesso che non si possono riconoscere come Monti né lo stabilimento di prestito di Freisingen in Baviera della fine del sec. XII, né l'associazione del 1350 dei borghesi di Salins nella Franca Contea, né la fondazione del vescovo di Londra Michele di Northburg, del 1361. Si tratta, in questi casi d'oltr'Alpe, di comuni banchi di prestito, o d'iniziative private: e a ogni modo di tentativi sporadici che non ebbero seguito. L'erezione dei Monti di pietà in Italia, cominciata con quello di Perugia del 1462, fu la conclusione di una campagna condotta dai francescani contro gli ebrei, che difendevano il loro monopolio del prestito privato ad alto interesse, e contro i domenicani e gli agostiniani che opponevano alla costituzione dell'istituto, che avrebbe permesso di ricevere un interesse sul denaro da prestare, il precetto del divieto dell'usura, interpretato nel modo più intransigente.
Infinite dispute furono agitate, a partire dalla seconda metà del sec. XV, in scritti e in pubblici comizî. Queste dispute, sebbene attenuate, si protrassero anche dopo che Leone X sottopose la questione al quarto Concilio lateranense, ed emanò la bolla di riconoscimento dei Monti del 1515. Nel concilio fu ammessa la liceità dell'interesse, eventualmente, ma non necessariamente, da percepirsi dai Monti di pietà, purché quell'interesse fosse destinato a coprire le spese d'esercizio degl'istituti e ad accrescere i fondi perché dall'incremento degl'istituti stessi venisse vantaggio a un maggior numero di bisognosi.
I primi apostoli del movimento furono i padri Bernardino da Feltre e Barnaba da Terni. La regione delle prime affermazioni fu l'Umbria (Perugia e Orvieto); di là i Monti passarono in Romagna, in Toscana, nell'Italia settentrionale, e poi si diffusero in tutta la penisola. Al di là delle Alpi si trovano nella seconda metà del sec. XVI. A Bruges il Mons detto perfectae charitatis, si ebbe nel 1572; a Lilla nel 1607; a Parigi nel 1643, nel primo anno di regno di Luigi XIV: e quel Monte fu ampliato nel 1777, col titolo di Istituto generale di prestito su pegno, da Luigi XVI per suggerimento del Necker, ed ebbe vita rigogliosa fino alla rivoluzione. Napoleone nel 1804 estese l'istituzione da Parigi a tutta la Francia. In Germania, ove si ricorda come più antico il Monte di Norimberga del 1498, i Monti assunsero piuttosto il carattere d'istituti di credito per i piccoli industriali e i piccoli commercianti. In Inghilterra i Monti trovarono ostilità, e fu detto che essa venne dal carattere religioso, anzi papista, che era loro impresso dall'origine: la loro funzione fu ed è esercitata dai pawnbrokers, prestatori privati. Recenti tentativi di creare veri enti pubblici, a ogni modo non sul tipo italiano ma sul tipo tedesco, tentativi fatti specialmente nel 1894 e 1895 dopo la campagna contro i pawnbrokers, non si sono concretati in risultati apprezzabili. In Spagna si ebbe, ai primi del sec. XVIII, il Monte di pietà di Madrid, sotto gli auspici del cappellano del re, ma degenerò presto in banco d'usura. Altra degenerazione dal Monte italiano presenta l'ente creato nel 1894 a New York da un gruppo di capitalisti, che diedero vita a una sorta di società per azioni che ripartisce gli utili fra gli azionisti. Anche in Italia i Monti - che da principio furono costituiti con volontarie oblazioni, e furono alimentati dalla pubblica beneficenza, oltreché col cumulo degl'interessi quando le loro tavole non fecero obbligo del prestito gratuito - finirono per scostarsi, almeno in qualche tempo e in qualche luogo, dal preciso intendimento dei fondatori, o per aggiungere altri scopi a quello iniziale. Ad es., furono creati e gestiti da privati che ottennero l'autorizzazione dietro il pagamento di un canone annuo all'erario, che fece elevare la misura dell'interesse dei prestiti, e dietro il versamento di buona parte dei redditi a opere di beneficenza pubblica, che impedi l'allargamento dei capitali e delle operazioni. A mano a mano, poi, pur conservando l'impronta originale d' istituti benefici (e perciò Napoleone e le prime leggi del regno d'Italia li considerarono alla stregua e nell'ordine delle opere pie) andarono assumendo, soprattutto nelle grandi città, anche il carattere d'istituti di credito.
L'attività caratteristica dei Monti di pietà è tutt'oggi costituita da quella concessione di mutui contro pegno - e il pegno verte spesso su oggetti preziosi - che ne ha provocato la formazione; prevalentemente si tratta di prestiti destinati a permettere di superare momentaneamente deficienze di denaro del richiedente e non volti a finanziare attività commerciali o industriali, e che pertanto non rientrano nell'ambito delle operazioni degl'istituti ordinari di credito. La disciplina del contratto di mutuo pignoratizio del Monte di Pietà è la disciplina generale del mutuo pignoratizio; í Monti di pietà possono tuttavia realizzare i pegni con una procedura più semplice dĭ quella all'uopo prevista nel codice civile e il loro diritto di pegno è fatto esplicitamente salvo anche quando l'oggetto non sia stato impegnato direttamente dal suo proprietario.
Il Monte di pietà investe in detti mutui, a non elevato interesse, il proprio patrimonio e i depositi eventualmente raccolti, impedendo così che i bisognosi cadano vittime dell'usura.
I Monti di pietà sogliono emettere, in relazione alle loro operazioni, delle polize e cioè dei titoli (spesso al portatore), il cui possesso legittima il portatore come l'originario impegnante o come cessionario del diritto di quest'ultimo, autorizzato quindi a vantare i diritti di questi, ove il Monte non dimostri l'inesistenza della cessione, ma insieme esposto a tutte le eccezioni opponibili all'impegnante. A ciò si ricollega la pratica giustamente combattuta e da molti statuti di Monti di pietà esplicitamente vietata, del suppegno in forza del quale chi ha impegnato un oggetto presso il Monte, si fa anticipare una somma ulteriore da un privato al quale trasmette in garanzia i suoi diritti verso il Monte; la pratica trae origine dalla circostanza che il denaro mutuato dal Monte rimane spesso sensibilmente inferiore al valore dell'oggetto pignorato, sì che rimane margine per la garanzia di un ulteriore mutuo.
Per quanto il mutuo pignoratizio costituisca l'operazione caratteristica dei Monti di pietà, esso tuttavia non ne costituisce l'operazione unica, dedicandosi assai spesso i Monti di pietà a quelle operazioni passive e attive che sono proprie degli ordinarî istituti di credito e più particolarmente delle Casse di risparmio.
L'ordinamento dei Monti di pietà è ora disciplinato dal r. decr. legge 14 giugno 1923 n. 1396 e dalla legge 29 dicembre 1927.
Col r. decr. legge del 1923, innovando sul sistema precedente, i Monti di pietà sono stati distinti in due categorie a seconda che essi, per l'ammontare dei depositi raccolti, esercitino prevalentemente le funzioni proprie di istituti di credito, come è avvenuto in linea di fatto per molti Monti di pietà (Monti di pietà di prima categoria) o invece quella del prestito su pegno (Monti di pietà di seconda categoria).
I Monti di pietà di prima categoria sono stati sottratti alle norme peculiari degl'istituti di assistenza e beneficenza e sono stati invece sottoposti, salvo differenze di dettaglio, oltre che alle norme generali dei Monti di pietà (legge 4 maggio 1928 e r. decr. legge 14 giugno 1923, n. 1396), a quelle delle Casse di risparmio (legge 15 luglio 1888; legge 29 dicembre 1927) alle quali possono venire avvicinati in relazione alla funzione economica espletata; i Monti di pietà di seconda categoria invece sono soggetti alle norme degl'istituti di assistenza e beneficenza oltre che a quelle proprie di tutti i Monti di pietà (r. decr. legge 14 giugno 1923, n. 1396).
Nei riguardi dei Monti di pietà di nuova costituzione la legge si riferisce solo a questa seconda categoria.
Nel marzo 1934 i depositi nei Monti di pietà ammontavano complessivamente a lire 671.466.000; l'ammontare dei mutui pignoratizî emessi a 249.509.000 lire per 2225 operazioni delle quali 1495 su preziosi (per L. 208.588.000); 2 su titoli (per 12.670.000), 720 su oggetti d'uso (per 24.756.000); 8 su merci (per 3.495.000).
Bibl.: I. Ascarelli, in Temi emiliana, 1929, p. 144 e in Rivista di diritto commerciale, 1929, II, p. 680; De Gregorio, Rivista di diritto commerciale, 1929, I, p. 301.
Laboratorî di ricerche fisiche annessi ai Monti di pietà. - La perfezione raggiunta dalla tecnica moderna, nella riproduzione delle pietre preziose e nella coltivazione delle perle, è tale che la differenziazione tra materiali naturali e artificiali è talvolta impossibile col semplice esame a vista fatto dall'esperto e richiede una delicata indagine fisica. L'iniziativa di dotare i Monti di pietà di laboratorî fisici particolarmente attrezzati per questo scopo è italiana e il primo che se ne valse fu il Monte di pietà di Roma, che possiede forse il più importante laboratorio del genere. Questi laboratorî non limitano la loro attività ai servizî interni del Monte, ma si prestano anche per quei privati che richiedano esami su oggetti preziosi, esami che vengono seguiti dal rilascio di un certificato destinato ad accompagnare il prezioso per attestarne la qualità e che rende possibile il riconoscimento di eventuali sostituzioni, anche di sole parti, perché in archivio vengono custoditi i dati segnaletici di ogni pietra o perla esaminata, mediante rilievi radiografici e microfotografici di piccole irregolarità o inclusioni nell'interno degli oggetti, così da costituire elementi indelebili di riconoscimento delle singole parti degli oggetti esaminati. Le ricerche praticate per gli accertamenti sono dei seguenti tipi: radiografie, diagrammi di Laue, esami in luce di Wood e alla catodoluminescenza, determinazioni d'indici di rifrazione, coefficienti di assorbimento per i raggi X, indici di rifrazione, peso specifico, dicroismo, ecc. Sono escluse tutte le prove, quali p. es., quella della durezza, che potrebbero deteriorare la bellezza delle pietre esaminate. Il laboratorio svolge poi notevole attività circa investigazioni scientifiche tendenti al raffinamento delle tecniche da usare e allo scoprimento e alla difesa di nuove imitazioni e sofisticazioni.
Laboratorî dello stesso tipo di quello del Monte di Pietà di Roma esistono a Milano e all'estero, ma questi ultimi sono generalmente gestiti da privati o da associazioni di gioiellieri.
Bibl.: L. Degani, I Monti di Pietà, Torino 1922. Vedi anche la bibliografia Per la storia delle banche in Italia fino al 1815, compilata da A. Sapori, in History of the principal public Banks, l'Aia 1934, pp. 373-78.
Monte dei Paschi.
Il Monte dei Paschi di Siena è, dopo il Banco di Napoli, il più antico fra gl'istituti italiani di credito oggi viventi: esso si segnala per la funzione particolare del credito fondiario, più accentuata nei primi tempi dalla fondazione, ma notevole anche nel corso dei secoli nonostante che lo sviluppo dell'economia e il rigoglio dell'organismo abbiano determinato un progressivo accrescimento delle funzioni dirette a sovvenire anche le altre branche dell'economia, l'industria e il commercio.
Lo strumento di costituzione del Monte è del 2 novembre 1624, alla quale data il consiglio di reggenza a nome del granduca di Toscana Ferdinando II accolse i voti più volte espressi dal magistrato del Monte di pietà, il quale domandava di provvedere anche alle classi medie, che, esse pure colpite dalla crisi, dovevano ricorrere all'usura a più del 12%, soprattutto per la coltivazione dei campi. Il nuovo Monte non vacabile, ossia non redimibile, ebbe a base un fondo di garanzia "fino alla somma di 200.000 scudi di capitali per frutti a ragione di scudi 5%, sopra l'ufficio dei Paschi di Siena", i pascoli della Maremma, cioè il cespite più ricco e sicuro delle finanze del principe: il quale, mentre non sborsò il danaro ma costituì piuttosto una garanzia morale, pretese a sua volta che fossero a lui obbligati per tal somma tutti i beni dei cittadini senesi. Per tal modo si giustifica l'appellativo che lo storico Luciano Banchi diede al Monte dei Paschi di "grande tavola di Siena moderna", richiamando il privato consorzio bancario, che appunto sotto il nome di "Magna tavola" aveva nel Duecento portato Siena alla testa delle città italiane nel campo finanziario. I 200.000 scudi garantiti formalmente dal granduca, ma in sostanza da tutti i beni immobili dei cittadini, furono divisi in duemila "luoghi di Monte", di 100 scudi l'uno, e il Monte mise in vendita altrettante cartelle, che possiamo dire di credito fondiario, portanti il frutto del 5%: il ricavato da tale vendita doveva, con apposite cautele, essere prestato dal Monte ai bisognosi di credito, soprattutto agli agricoltori, al tasso del 51/2%, servendo quel mezzo per cento di più per il funzionamento dell'istituto. La scarsità dei raccolti che si verificò per anni e anni suggerì il progressivo aumento del fondo di garanzia granducale, fino a che Pietro Leopoldo, ispirandosi alle dottrine economiche di Sallustio Bandini e tenendo conto del pensiero dei fisiocratici, preferì di agevolare direttamente l'agricoltura emancipandola da vincoli e gravami oppressivi: cosicché l'aumentata circolazione aumentò automaticamente il valore del fondo. Nel 1783 i due Monti, della Pietà e dei Paschi, furono concentrati amministrativamente in uno solo che si appellò Monti riuniti. Una sosta alle operazioni si verificò dopo la promulgazione del codice napoleonico: dovendo i mutui, prima cautelati da garanzie personali e fiduciarie, essere tutelati, per l'applicazione del regime ipotecario francese, da garanzie fondiarie, non si ebbe la possibilità di apprezzare quelle garanzie, mancando in Toscana un catasto estimativo delle terre, ed essendo inoltre fonte estremamente incerta per la valutazione dei beni quella fatta sull'"estimo o lira". La "triangolazione" toscana, iniziata nel 1817, fu condotta a termine nel 1831, e nel 1834 fu attivato il catasto: dopodiché la concessione dei mutui riprese in pieno. Intanto dal 1833 si era fondata (aggregandola al Monte Pio), "nell'interesse della privata economia e della moralità del popolo" la Cassa di Risparmio, detta il "salvadanaio dei poveri", che doveva raccogliere i depositi degli umili che non disponevano di almeno 25 scudi necessarî per l'acquisto della più piccola divisione (un quarto) dei "luoghi di Monte". Questo risparmio minimo fu agevolato con la concessione di un più alto interesse, e con un apposito orario per il versamento del danaro, stabilito nelle ore di riposo dei lavoratori: ai depositanti si rilasciavano "libretti" con carattere di titoli di credito al portatore, che incontrarono la più grande simpatia. Da questo momento, a chi consulti la monumentale opera Il Monte dei Paschi di Siena, le aride cifre dànno la sensazione del palpito della vita cittadina e regionale: doloroso il biennio '48-'49, e penoso soprattutto il secondo anno, quando sotto la dittatura del Guerrazzi si pretese dal Monte un versamento di somme notevoli, nel mentre s'imponeva "ai ricchi, ai commercianti e alle società commerciali e industriali", un prestito coatto che paralizzò soprattutto l'agricoltura; incerto il decennio 1849-59; migliori gli anni successivi alla cacciata dei Lorena, fino a che la costituzione del regno diede più vasto respiro all'attività del Monte. In virtù di una convenzione, fatta sotto gli auspici del governo il 4 ottobre 1865 e approvata definitivamente con la legge 14 giugno 1866, il Monte assunse il credito fondiario in tutta l'Italia del centro, mentre la Cassa centrale di risparmio di Milano si attribuiva l'Italia settentrionale, e il Banco di Napoli il mezzogiorno della penisola: divisione che venne a cessare con la legge del 21 dicembre 1884, che aprì tutte le provincie del regno a ogni istituto. Però la concessione, onerosa per le lunghe pratiche, di mutui ipotecarî a cartelle fondiarie al 5%, non incontrò in un primo tempo il favore del pubblico, e tanto meno di quello toscano: che, meno pratico di altri, e soprattutto del lombardo, di operazioni commerciali e meno ancora di quelle di borsa, e quindi impacciato nel negoziare i titoli per trarne il liquido occorrente, preferì il credito ordinario a contanti: e così il Monte, per qualche tempo, praticò quest'ultimo a preferenza, e precisamente finché la legge 22 dicembre 1905 diede al credito fondiario una più ampia efficacia economica e una maggiore duttilità giuridica. Viceversa la legge 26 giugno 1869 sul credito agricolo trovò, fino dalla sua promulgazione, larga risonanza nell'istituto senese, le cui tradizioni si riannodavano appunto al largo favore per l'agricoltura, in una zona particolarmente agricola e bisognosa di sussidî per la valorizzazione di terreni argillosi o non sani. Intanto il 1872 segnava una data notevole per il Monte: il quale, nell'atto di passare, come "istituzione della città di Siena a cui deve la sua origine", sotto la direzione e la tutela del comune che ne intraprese l'amministrazione a mezzo di un consiglio direttivo, assunse la denominazione di "Monte dei Paschi di Siena" in sostituzione di quella di Monti riuniti, e si organizzò a unità di bilancio, conservando l'amministrazione separata per le quattro sezioni del Monte Pio, della sezione centrale, del Credito fondiario, della Cassa di risparmio. Come fino al 1870 il Monte rispecchia la vita toscana, dal 1870 si inserisce sempre più appieno nella vita italiana, che dopo quattro lustri di ascesa conobbe il tormento del decennio 1890-1900 funestato dalla crisi economica generale, dalle campagne d'Africa, dalle lotte sociali, dal disavanzo del bilancio. La grande espansione dell'istituto data dalla ripresa nazionale al principio del sec. XX: da allora, moltiplicando la sua attività e il suo campo di azione, e spingendo le succursali a Roma e accrescendo di continuo il numero delle agenzie, il Monte si elevò al grado delle più forti banche del paese, alle quali si è unito nella prova dell'ultima guerra e nel glorioso travaglio della ricostruzione. Dai 200.000 scudi del 1624, il suo fondo di garanzia è salito enormemente; dai cinque milioni di depositi presso il Monte nel 1834 e dalle lire 85.603 affluite in quell'anno alla Cassa di risparmio, si era passati, nel 1870, rispettivamente a 28 milioni e a due milioni e mezzo, e si salì a 65 e a circa 9 nel 1900, e a 429 e a 631 nel 1924 dopo lo sviluppo della Cassa, trasformata da salvadanaio dei poveri in salvadanaio di tutti i cittadini: al quale si attinse per ogni sorta d'investimenti nell'interesse non più della sola agricoltura, ma di tutte le branche dell'economia nazionale. A questa funzione creditizia si è aggiunta l'erogazione di una parte sempre più cospicua degli utili ad opere di beneficenza e di pubblica utilità; tanto che dai primi duecento scudi dati nel 1761 all'università di Siena, si arrivò ai milioni che negli ultimi anni sono stati elargiti per tutti gli ordini di studî, per le opere pie, per la bonifica edilizia della campagna e della città.
Bibl.: Il Monte dei Paschi e le aziende in esso riunite: Note storiche raccolte e pubblicate per ordine della Deputazione ed a cura del presidente conte Niccolò Piccolomini, voll. 9, Siena 1891-1925 (i volumi furono compilati da N. Mengozzi); Per il terzo centenario del Monte dei Paschi di Siena, 1625-1925, Siena 1925.