MONTE SAN GIULIANO (A. T., 27-28-29)
GIULIANO Paese e comune della Sicilia, in provincia di Trapani. Il paese (2063 ab. nel 1931) è alla sommità dell'omonimo monte piramidale (m. 751), l'Erice degli antichi. Il nome attuale rimonta, secondo una pia tradizione, al tempo della conquista normanna, per la parte che si attribuisce a quel santo nella fuga dei musulmani dal luogo. Il suggestivo abitato, che offre dal giardino pubblico e dal pittoresco castello una vista incantevole sulle Egadi e su buona parte della Sicilia occidentale, è di forma quasi triangolare, come la spianata su cui si erge. Il vasto territorio del comune (kmq. 309,41), in gran parte sul monte, dove tra boschi e pascoli prosperano la vite e l'ulivo, è disseminato di abitati minori, complessivamente 9 frazioni. In esso in un secolo la popolazione si è quasi triplicata (1831, abitanti 10.249; 1931, abitanti 30.761). Un servizio automobilistico unisce Monte San Giuliano a Trapani, da cui dista 12 chilometri.
Storia e monumenti. L'antica Erice apparteneva al territorio degli Elimi, che avevano la sede principale in Segesta, e vivevano in buon accordo coi Cartaginesi. Dopo la battaglia d'Imera (480 a. C.) subì il predominio d'Agrigento, e coniò moneta con i tipi di questa città. Ma tornò ben presto sotto i Cartaginesi, a cui la contesero invano i Greci, che ne furono effimeri padroni sotto Dionisio I e sotto Pirro. All'inizio della prima guerra punica, dopo la battaglia di Mile, i Cartaginesi trasportarono gli abitanti di Erice in basso, sul porto (Drepano), sotto la sorveglianza della flotta. Nel 247 il console Giunio Pullo s'impadronì di Erice; più tardi, nel 244, la guarnigione romana fu stretta d'assedio nel recinto del tempio da Amilcare Barca. Ma anche i soldati cartaginesi si trovarono alla loro volta chiusi dai Romani accampati verso il piede del monte. Dopo la battaglia delle Egadi, Lutazio Catulo assalì Erice, e liberò la guarnigione romana, con la strage di duemila nemici.
Celebre fu in Erice il culto di Venere, detta appunto Ericina. Manifesta in questo culto è la parte che vi ebbero le popolazioni marinare della costa africana. Si celebrava ogni anno con grandi feste il viaggio che si credeva la dea facesse in Africa, insieme con le sue colombe, ritornando ad Erice dopo nove giorni. Il tempio era situato sulla punta più alta del monte ed era riputato uno dei più ricchi del mondo antico. Addette ad esso erano le ierodule che esercitavano la prostituzione sacra. Il culto di Venere Ericina ebbe grande diffusione, nell'isola, in Africa, in Italia. In Roma ebbe due tempî.
Oggi non sopravanza che una parte delle mura ciclopiche, costruite con grandi massi in cui sono incise lettere fenicie. Ma ciò nonostante torri e chiese archiacute del Trecento sono la nota architettonica dominante. È di Francesco Laurana l'Assunta nella chiesa madre e di Antonello Gagini l'Annunciazione (1525).
Bibl.: G. Castronuovo, Erice, oggi Monte S. Giuliano, Palermo 1872-1875; A. Salinas, in Notizie scavi, 1881, p. 70, 1883, p. 152 segg.; id., Le mura fenicie di Erice, in Studi storici ed arch. sulla Sicilia, I, 1884, p. 119 segg.; C. Errera, Una gita ad Erice, in Natura ed arte, 1896, pp. 1008-1013; J. Kromayer, Erix. Die Kämpfe des Hamilkar Barkas und die Auffindung der Stadt, in Klio, IX (1909), p. 461 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, p. 176 segg.; A. Militello, Monte San Giuliano, in Le Vie d'Italia, 1929; A. Sorrentino, Da Erice a Lilibeo, Bergamo 1928.