MONTANISMO
. Nome, dal suo iniziatore, dato a un'eresia cristiana sorta nel sec. II, e che le fonti designano piuttosto dalla popolazione in mezzo alla quale ebbe origine come l'"eresia dei Frigi". Si tratta in sostanza d'un moto entusiastico: Montano, immaginando prossima la fine del mondo e l'avvento del regno millenario (v. millenarismo), si diede a profetizzare, annunciando tra l'altro che la nuova Gerusalemme sarebbe discesa dal cielo nella pianura di Pepuza, oscuro villaggio a oriente di Filadelfia, da lui ribattezzato appunto Gerusalemme. Tosto si unirono a lui nel profetizzare due donne, Massimilla e Prisca o Priscilla, e aderirono a essi numerosi seguaci.
Il carattere entusiastico del movimento trova un riscontro, e forse in parte una spiegazione, nell'analogo carattere delle manifestazioni del sentimento religioso in Frigia anche nell'epoca precristiana: esempio, i misteri di Attis (v.) e Cibele (v.). Ma ad intendere storicamente il montanismo giova altresì aver presente la diffusione delle idee millenaristiche nel cristianesimo primitivo e anche il fatto che Montano, Massimilla e Priscilla si presentarono come i successori legittimi dei profeti dell'epoca apostolica, Agabo, Giuda e Sila, e le figlie di Filippo (cfr. Atti, XI, 28 e XXI, 10; XV, 32; XXI, 9), e subapostolica, quali Ammiade di Filadelfia e Quadrato. Fu dunque, il montanismo, anche un movimento di reazione, in nome d'un certo individualismo religioso e della libera ispirazione profetica, contro la gerarchia regolare, imperniata sui vescovi e assertrice di uniformità e disciplina. Contro questa pretesa, i più antichi confutatori dell'eresia frigia, quali l'apologista Milziade e l'anonimo antimontanista excerpto da Eusebio di Cesarea, opposero una distinzione tra la vera e la falsa profezia, asserendo "non dovere il profeta parlare in estasi", e che Montano e le due donne sarebbero stati in realtà degl'indemoniati; circa due secoli più tardi, S. Girolamo rimprovera ancora ai montanisti di non dare nella gerarchia il primo posto ai vescovi, successori degli apostoli. E anche fu, il montanismo, reazione di certa ingenua fede popolare, incline appunto al millenarismo, contro le raffinatezze delle speculazioni gnostiche, dell'esegesi allegorica e del misticismo speculativo: non è un caso che l'anonimo dichiari di scrivere per invito di Abercio (v.), che nel suo celebre epitafio si compiace di usare un linguaggio misterioso e pieno di allusioni e metafore.
La data iniziale del movimento si può porre con sufficiente sicurezza al 172, seguendo Eusebio di Cesarea, da Epifanio contraddetto in un passo, ma - stando a una congettura di K. Holl - confermato in un altro. Nella Frigia il montanismo ebbe largo seguito. Poiché le iscrizioni cristiane della regione anatolica si dividono abbastanza nettamente in due gruppi, nel primo dei quali la professione di cristianesimo è generalmente appena accennata, in termini ambigui e velati, mentre nel secondo gruppo - della valle del Tembris - è fatta apertamente, quasi in tono di sfida (notevole soprattutto, anche nella sua irregolarità ortografica, la formula χρηστιανοὶ χρηστιανοῖς), sir William Ramsay riferì le prime iscrizioni a un tipo di cristianesimo che avrebbe avuto per centri di diffusione Efeso e Laodicea, le seconde a un tipo più rigido, originato in Bitinia; e affacciò per il primo l'ipotesi, ripresa e avvalorata da W. M. Calder, che si trattasse di iscrizioni montaniste. Di recente H. Grégoire (in Revue de l'Univ. de Bruxelles, XXXVI, 1930-31, p. 233) ha avanzato qualche dubbio, pensando che nel sec. III il cristianesimo godette anche lunghi periodi di tolleranza; tuttavia questa osservazione, giusta in sé, non vale a spiegare l'insieme dei fatti. Ma la diffusione fu rapida anche nel resto del mondo mediterraneo. In Asia si discuteva sulla natura della "nuova profezia" e qualche vescovo tentava di esorcizzare le profetesse; Apollinare di Ierapoli e un Apollonio, forse di Efeso, scrivevano anch'essi confutazioni; i vescovi, tra cui Serapione d'Antiochia, si consultavano in lettere e in concilî; ma già nel 177 i confessori lionesi inviavano dal carcere lettere esprimenti il loro parere e una ne facevano portare a Roma al papa Eleutero da Sant'Ireneo (v.). Questi, ritenuto da critici moderni favorevole al montanismo al pari dei martiri lionesi, certo condanna taluni i quali respingono il Quarto Vangelo (in cui, XVI, 7 e 13, è la promessa del Paraclito) e lo spirito profetico (Adv. haer., III, x1, 9). Appare anche da ciò a quali esagerazioni giungessero i dottori gnostici o gnosticizzanti e i fautori dell'esegesi allegorica; e non è un caso che Eusebio di Cesarea lodi tra i seguaci di Origene quel prete romano Caio - di cui gli avversarî combattuti da Ireneo ci appaiono quasi dei precursori - il quale, polemizzando contro Proclo, capo dei montanisti romani, respingeva precisamente l'Apocalisse e il Vangelo giovannei come opere dell'eretico Cerinto.
Quanto all'Africa, la critica tende oggi sempre più a riconoscere il carattere montanista del prologo e delle visioni degli Acta Perpetuae et Felicitatis, e ad attribuire questa parte dello scritto a Tertulliano. E il focoso apologista cartaginese passa anzi generalmente come il rappresentante tipico del montanismo. Se non è esatto considerarlo come tale, e ricostruire i caratteri del montanismo originario in base agli scritti di Tertulliano, è pur tuttavia esagerata la tesi assolutamente opposta. Tertulliano incontrò il montanismo, gli diede la propria adesione, contribuì anche, probabilmente, a modificarne il carattere, specie per quanto riguarda le pratiche ascetiche e il rigorismo morale. Ma la concezione della Chiesa come spiritus, anziché come numerus episcoporum, le menzioni degli oracoli, tanti altri fatti non lasciano dubbî: e basterebbe il rimprovero ch'egli rivolge a Prassea di avere indotto un vescovo romano (secondo alcuni, Vittore; secondo altri, Zefirino) a ricredersi, togliendo ai montanisti (più probabilmente romani che asiatici) il riconoscimento dapprima accordato. La menzione di Prassea ci pone dinnanzi a un altro problema. Nel sec. IV, Didimo cieco attribuisce ai montanisti credenze trinitarie di schietto sapore sabelliano; ora, Tertulliano, che aderisce al montanismo anche in nome della sua concezione "economica" della Trinità, accusa Prassea appunto di monarchianismo (v.). Si è pensato che anche tra i montanisti esistessero due correnti contrarie; due oracoli attribuiti a Montano e a Massimilla e un'iscrizione africana (in nomine Patris et Filii et domini Montani) lasciano pensare che i seguaci, almeno, ravvisassero in Montano addirittura un'incarnazione del Paraclito e possono in parte confermare il carattere vago delle concezioni trinitarie (e cristologiche) tra la maggior parte dei seguaci della "nuova profezia".
La quale d'altra parte venne via via modificando il proprio carattere. Montano e le profetesse si erano presentati come gli araldi degli ultimi tempi; e agl'inizî del movimento le manifestazioni di carattere carismatico dovettero essere numerose e frequenti. Poi, con la morte degl'iniziatori, e fors'anche prima di essa, registrati i loro oracoli in scritto, si manifestò la necessità dell'esegesi e, cresciuto il numero degli aderenti, quella dell'organizzazione. Sappiamo che la setta ebbe i suoi amministratori, i suoi propagandisti, la sua gerarchia diversa dalla cattolica: divenne, in breve, una setta come le altre, primo esempio della sorte toccata, nella storia del cristianesimo, ad altri revivals. E probabilmente fu in questa seconda fase che, venute meno le ragioni originarie del dissenso, se ne crearono altre, nel credo, nella disciplina e nella liturgia. Poi anche l'impulso originario si affievolì e il montanismo venne perdendo importanza. Tra la fine del sec. IV e il V, le leggi imperiali lo perseguitarono; ne troviamo qualche traccia, in Oriente, fino all'VIII.
Bibl.: G. N. Bonwetsch, Geschichte des Montanismus, Erlangen 1881; W. M. Ramsay, Cities and bishoprics of Phrygia, Londra 1897, voll. 2; H. J. Lawlor, Eusebiana, Oxford 1912, pp. 108-135 ("The heresy of the Phrygians"); P. de Labriolle, La crise montaniste, Parigi 1913; id., Les sources de l'histoire du montanisme, Parigi e Friburgo in Sv. 1913; W. M. Calder, Philadelphia and Montanism, in Bulletin of the John Rylands Library, VII (1922-23), p. 309-354; A. Faggiotto, L'eresia dei Frigi, Roma 1924; id., La diasporà catafrigia: Tertulliano e la nuova profezia, ivi 1924; H. Grégoire, in Comptes rendus Acad. Inscript., 1° maggio 1925; E. Buonaiuti, Il cristianesimo nell'Africa romana, Bari 1928, pp. 8-14 e 153 segg.; W. Schepelern, Der Montanismus und die phrygischen Kulte, trad. ted., Tubinga 1929.