monosillabo
Le parole monosillabe sono tollerate a stento nella compagine di vocaboli scelti che secondo D. (VE II VII, particolarmente 5-6) devono essere usati nello stile ‛ tragico ' e appartengono di diritto al volgare illustre. Implicitamente, esse sono escluse dalla categoria dei vocaboli pexa, che tra le altre caratteristiche hanno quella di essere trisillaba vel vicinissima trisillabitati (cioè anche bi- o quadrisillabi). Quanto all'altra specie di parole " nobilissime ", membra vulgaris illustris, le " irsute ", D. distingue due tipi: quelle puramente necessarie e quelle ornativa del volgare illustre (vel... vel: non convince la traduzione del Pézard: " ceux qui... apparaissent nécessaires au vulgaire illustre, ne fût-ce que pour l'aorner "). Et necessaria quidem appellamus quae campsare non possumus, ut quaedam monosillaba, ut sì, no, me, te, sé, à, è, i', ò, u', interiectiones, et alia multa.
Si veda, per una limitazione simile, Matteo di Vendôme (Ars versificatoria, ediz. Faral, Parigi 1924, II 46 " Sunt autem quaedam dictiones panniculosae quae quasi anathematizatae et indignae ceterarum consortio a metrica modulatione debent penitus absentari; ut istae: ‛ porro, autem, quoque ', et huiusmodi sincategoreumata, id est consignificantia, quae quia totius metri derogant venustati, a metro penitus debent eliminari. Paucae etenim sunt coniunciones et adverbia quae in metro debent collocari, nisi necessitatis incubuerit articulus "); corrente era poi la formula " ornatus necessitatisque causa ", o simili, nei testi grammaticali (cfr. anzitutto Donato Ars fram. [maior] III 6, ediz. Keil, p. 399), mentre per l'avversione della tradizione retorica ai troppi monosillabi, v. ad es. Gervasio di Melkley, Ars poetica, ediz. Gräbener, Münster in W. 1965, 205.
Gli esempi sono ordinati in serie " disposte con ordine, e non alla rinfusa " (Rajna): precedono l'avverbio affermativo, ed eventualmente modale (nel De vulg. Eloq. è spesso data importanza centrale all'affermazione), e quello negativo; seguono i tre pronomi personali, e quindi cinque monosillabi che coprono accortamente tutta la scala vocalica, con un gusto che torna nel passo sul verbo auieo di Cv IV VI 3-4. Il Marigo ritiene che i dieci esempi (si noti anche il numero ‛ perfetto '), " scelti tra quelli che hanno particolare importanza di significato ", non possano riferirsi anche a monosillabi atoni, proclitici o enclitici, ma solo a quelli tonici, " da porsi fra gli yrsuta, sia per l'accento, sia perché lontani dalla trisillabitas ". Non è detto, ed è anzi forse preferibile pensare a una concettosa polivalenza della serie da me a o, e pertanto non impegnarsi in segni diacritici (v. Rajna e Bertalot); monovalente sarà invece, oltre ai due primi, anche l'ultimo esempio, poiché il possibile concorrente u(h), in sé improbabile, andrebbe comunque tra le interiezioni: esso sarà stato certo collocato in chiusa per un bisogno di completezza della lista vocalica, ma si tenga presente che u', " dove ", già documentato nella prosa dantesca e poi frequente nella Commedia, è pure attestato in una canzone ‛ tragica ' citata nel De vulg. Eloq. (II XII 8), Poscia ch'Amor 16.
Quanto alle interiezioni, è verosimile che D. ne sentisse, oltre al difetto di misura sillabica, anche quello dovuto alla presenza dell'aspirazione, pure aliena dai vocaboli pexa (v. Eberardo di Béthune Graecismus, ediz. Wrobel, XXIV 10-11 " Hocque notes: omnis interiectiva recusat / non aspirari, quia subiacetasperitati ").
Voci monosillabiche diverse da queste " necessarie " compaiono spesso nelle esemplificazioni di dialetti condannati o derisi da D. nel trattato (milanese-bergamasco, friulano, trevigiano).
Bibl. - D.A., Il trattato De vulg. Eloq., a c. di P. Rajna, Firenze 1896 (rist. anast. Milano 1965), 160-161; Marigo, De vulg. Eloq. 232.