MONOPOLIO (XXIII, p. 692)
La legislazione antimonopolistica. - Libertà di concorrenza e legislazione antimonopolistica. - Le leggi antimonopolistiche o antitrust costituiscono una logica applicazione dei principî ai quali si ispira un sistema economico basato sulla concorrenza. Una volta ammesso che l'optimum economico possa essere raggiunto solo in un mercato ove più imprenditori siano in concorrenza fra loro e ove vi sia libertà di iniziativa e quindi concorrenza potenziale fra tutti, s'impone la necessità d'impedire la formazione di posizioni di predominio tali da eliminare ogni concorrenza, anche potenziale. Tuttavia le leggi antimonopolistiche non ebbero uno sviluppo uniforme in tutti i paesi capitalistici. Là dove il liberismo economico si è affermato in contrapposizione al sistema di barriere e di privilegi proprio dell'economia corporativistica e mercantilistica, e in particolare nei paesi del continente europeo, si è manifestata la tendenza a un riconoscimento assoluto della libertà individuale: concezione che doveva far guardare con diffidenza, se non con ostilità, ai controlli statali, non esclusi quelli tendenti a garantire il pieno funzionamento di un sistema concorrenziale, mentre, d'altro lato, doveva far considerare anche i cartelli industriali come legittime manifestazioni della libertà contrattuale. Nei paesi anglo-sassoni, e in particolare negli S. U. A., che non conobbero mai un'economia corporativistica e mercantilistica, il liberismo economico poté evitare queste posizioni eccessive e l'idea della libera iniziativa si presentò, fin dalla sua origine, circoscritta in quei limiti e munita di quei baluardi che potevano meglio assicurare la loro conservazione. A questi sviluppi è in gran parte dovuto il fatto che precisamente negli Stati Uniti d'America le leggi antitrust hanno trovato la loro più avanzata affermazione.
La common law. - La legislazione antimonopolistica ha però, nel mondo anglosassone, origini più remote. Infatti, se non sono state promulgate fino a tempi recenti leggi antimonopolistiche, l'esigenza di una difesa della libera concorrenza fu sentita fin da epoca di molto anteriore al tempo classico del liberismo economico.
Fin dall'evo medio venivano perseguite in Inghilterra le pratiche di Forestalling, Regrating e Engrossing, e cioè le pratiche che tendevano ad accentrare l'offerta in uno o in pochi venditori, in modo che fosse possibile realizzare un aumento di prezzo a danno dei consumatori. La Common law inglese colpiva inoltre gli accordi restrittivi del commercio (in restraint of trade), accordi che, a loro volta, si distinguevano a seconda che si presentassero in posizione accessoria a un altro accordo o contratto, o fossero invece autonomi. I primi (ancillary restraints of trade) erano dichiarati, in origine, illegali perché contrarî alla public policy, ma coll'evolversi del sistema le Corti divennero meno rigide e in talune ipotesi finirono con l'ammetterli. I secondi (non ancillary restraints) furono e sono, invece, per lo più considerati sempre illegali, specialmente quando nella specie possa ravvisarsi una pericolosità sociale tale da far supporre una conspiracy in restraint of trade, nel qual caso sono previste anche sanzioni penali.
La legislazione americana. - Di molto maggior interesse, comunque, si presenta il complesso di leggi che, in epoca più recente, sono state emanate in America (e adesso anche in Inghilterra), allo scopo di colpire le restrizioni di concorrenza in generale. Per quanto concerne gli S. U. A., in primo luogo lo Sherman act (an act to protect trade and commerce against unlawful restraints and monopolies), emanato nel 1890. Esso prevede sia un'azione penale e una azione civile da parte del governo federale, sia un'azione privata per il risarcimento dei danni (risarcimento che consiste nel triplo del pregiudizio arrecato). L'interpretazione di tale atto è però cosa quanto mai controversa. I divieti in esso contenuti, infatti, non sono indicati con eccessiva precisione, e l'applicazione degli stessi, pertanto, può risultare più o meno ampia a seconda delle tendenze che possano di volta in volta prevalere. Comunque, quei divieti dovrebbero colpire ogni contratto, combinazione o cospirazione restrittiva del commercio, come pure ogni tentativo di cospirazione diretta a monopolizzare una qualsiasi parte del commercio interstatale.
Al Sherman act si aggiunsero, nel 1912, il Panama Canal act; nel 1913 varî emendamenti al Wilson tariff act del 1894; e nel 1914 il Clayton act e il Federal trade commission act. Col Clayton act viene considerata illegale per sé stessa, e indipendentemente quindi da ogni valutazione interpretativa dello Sherman act, ogni pratica che possa portare a una sostanziale diminuzione della concorrenza o a una situazione di m., in qualsiasi settore economico. Col Federal trade commission act viene invece creato un organo amministrativo, la Federal trade commission, che ha il compito di provvedere (assieme alla Antitrust division del Ministero di giustizia) a che le varie leggi in tema di commercio siano correttamente applicate.
Fra l'altro, il Clayton act colpisce chi compie una discriminazione di prezzi fra i varî acquirenti, qualora a ciò consegua una restrizione di concorrenza o qualora si tenda a creare un m., salvo che sussistano particolari circostanze espressamente indicate; per meglio regolare tale questione venne tuttavia emanato, nel 1936, il Robinson Ratman act. Il Clayton act vieta inoltre, ove si determini una restrizione di concorrenza o una posizione di m., ovvero si tenda a una siffatta restrizione o posizione, i contratti vessatorî e i contratti con clausola di esclusiva, nonché le partecipazioni azionarie reciproche e l'interlocking directorate, la comunanza di amministratori fra società.
Nei varî stati vigono poi atti legislativi che modificano i principî stabiliti dalle leggi federali; e infine più statutes federali, come si usa dire nel linguaggio giuridico anglosassone - il Wilson tariff act, l'Anti-Dumping provision del Revenue act, il Tariff act, il Webb-Pomerene act - regolano il commercio internazionale.
Tutto questo complesso di leggi ha un'applicazione che varia in relazione ai varî criterî adottati nell'interpretazione delle varie formule. E, in proposito, devesi menzionare la recente dottrina della Workable competition, secondo la quale è oggi impossibile tracciare un netto confine tra la concorrenza e il m., specialmente quando il big business si manifesta utile per la collettività, e la teoria della per se condemnation, tendente anche essa ad appianare le eventuali divergenze fra una rigida applicazione delle leggi antitrust e il sistema economico vigente.
La più recente legislazione inglese. - In Inghilterra solo nel secondo dopoguerra si è provveduto ad emanare leggi antitrust. Precisamente, nel 1948, apparve il Monopolies and restrictive practices (Inquiring and Control) act, e successivamente, nel 1953, il Monopolies and restrictive practices commission act, e nel 1956 il Restrictive trade practices act. Il primo di tali atti istituiva una Commission - la Monopolies Commission - con lo scopo di condurre indagini sulle concentrazioni monopolistiche e sulle pratiche restrittive in uso. In seguito alle inchieste compiute, furono emanati i citati provvedimenti legislativi del 1953 e del 1956.
La legge del 1956, che integra e completa la precedente, stabilisce un regime di pubblicità degli accordi restrittivi, a loro volta enumerati dalla legge stessa.
Questi devono essere spontaneamente registrati in un apposito ufficio, diretto dal Registrar. Qualora gli accordi non vengano spontaneamente registrati, il Registrar può diffidare le parti a compiere la registrazione, anche quando si sospetti soltanto che esista uno degli accordi previsti nella legge. Qualora poi vi siano prove sicure dell'esistenza dell'accordo, il Registrar può chiedere alla High Court di dare inizio a un procedimento che comporti la comparizione degli interessati ed eventualmente l'esibizione di documenti (si noti tra l'altro che l'avere ignorato la diffida non è motivo di sanzione, ma giustifica solo il procedimento davanti alla High Court); qualora invece vi sia una documentazione sufficiente, il Registrar può richiedere alla Corte l'autorizzazione a registrare immediatamente l'accordo, od anche una intimazione alle parti, da parte della Corte stessa, a non osservare l'accordo.
La legge prevede poi una Corte speciale competente a giudicare delle pratiche restrittive, con il compito di esaminare gli accordi registrati e sottopostigli dal Registrar per dichiararne la nullità, se siano in contrasto col pubblico interesse. Taluni accordi sono tuttavia considerati illegali a priori.
Le norme dei trattati della CECA e del MEC. - Nel continente europeo la prima legislazione antitrust, in ordine di tempo, è quella contenuta nel trattato della CECA. In virtù di tale trattato, esiste oggi, per le imprese dei paesi membri della Comunità, che operano nel settore carbosiderurgico, un diritto soprannazionale che regola - negli artt. 65 e 66 - le intese e le concentrazioni. Secondo queste disposizioni, si hanno intese quando i soggetti, pur obbligandosi a limitare o a eliminare la concorrenza (fra di loro), non perdono tuttavia la loro autonomia giuridica, come per es. allorché si tratti di gentlemen's agreements, di cartelli, di consorzi, ecc. Si hanno invece concentrazioni quando i vincoli sono più stretti, come, per es., quando si procede all'unificazione delle amministrazioni, o addirittura alla fusione delle imprese concorrenti.
Le intese, o accordi, che fissano prezzi, o limitano o controllano la produzione, lo sviluppo tecnico, gli investimenti, o ripartiscono i mercati, i prodotti, i clienti, le fonti di approvvigionamento, sono, in via generale, vietati; sono ammessi però quando l'Alta Autorità riconosce all'accordo un'utilità sociale, nel senso che esso si dimostri idoneo a permettere un notevole miglioramento della produzione o della distribuzione, e purché l'accordo, da un lato, sia essenziale per ottenere quei miglioramenti, d'altro lato, non sia tale da sottrarre le imprese partecipanti a un'effettiva concorrenza di altre imprese operanti nel mercato della Comunità e non assicuri a esse così una posizione di controllo dei prezzi o della produzione o della distribuzione.
Secondo l'art. 66, invece, è sottoposta ad autorizzazione preventiva qualsiasi operazione che abbia per se stessa come effetto diretto o indiretto una concentrazione di imprese, e l'Alta Autorità concederà l'autorizzazione ogni qualvolta attraverso la concentrazione non si verifichi una posizione di potere tale da costituire praticamente una situazione di monopolio: perché, quando questo avvenga, il sacrificio imposto dalla concentrazione al mercato comunitario, con la soppressione o limitazione della concorrenza, è tale da annullare il vantaggio che il mercato può trarre dalla concorrenza e dai conseguenti miglioramenti tecnici. I criteri poi per giudicare i singoli casi sono espressi nello stesso art. 66.
La formula adottata, non dissimile da quella avanzata dai teorici americani della workable competition, trova una sua giustificazione nella presenza stessa dell'Alta Autorità che, accortamente operando, può trovare un giusto contemperamento tra esigenze concorrenziali ed esigenze della grande impresa. In particolare, poi, qualora imprese pubbliche o private detengano o acquistino, di diritto o di fatto, una posizione dominante in una parte importante del mercato della Comunità e utilizzino tale posizione per il perseguimento di fini contrari agli obbiettivi del trattato, l'Alta Autorità deve raccomandare a quelle imprese di desistere dal perseguimento di tali fini; e, se la raccomandazione resta senza effetto, l'Alta Autorità, con decisioni prese in consultazione con il governo interessato, provvederà, nei confronti dell'impresa o delle imprese in questione, a fissare i prezzi o a stabilire i programmi di produzione e di distribuzione.
Il trattato del MEC, secondo in ordine di tempo al trattato della CECA e anch'esso fonte di diritto soprannazionale, afferma recisamente che sono incompatibili col Mercato Comune tutti gli accordi fra imprese, tutte le decisioni fra associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate, che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere il gioco della concorrenza all'interno del Mercato comune. Tuttavia, sono compatibili e pertanto ammesse le intese che contribuiscono a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico ed economico, purché però non impongano alle imprese interessate restrizioni non necessarie per il perseguimento di siffatti obbiettivi, né diano loro la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.
È incompatibile inoltre col trattato del MEC lo sfruttamento abusivo, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante nell'intero Mercato Comune o su una parte sostanziale di esso.
La legislazione francese. - In Francia, disposizioni antimonopolistiche si possono trovare già nella Loi Chapelier del 1791 e nell'art. 419 del Codice penale del 1810. Tuttavia una legislazione sistematica è apparsa solo nel secondo dopoguerra, e precisamente con l'emanazione del decreto 53704 del 9 agosto 1953, poi modificato col decreto 58545 del 24 giugno 1958, dopo che vari progetti presentati all'Assemblea nazionale non erano giunti in porto. Il decreto citato, tuttavia, non costituisce una legge autonoma, ma s'inserisce come sezione IV nell'ordonnance 451483 del 30 giugno 1945, relativa all'illecita manipolazione dei prezzi.
In generale, vengono proibite tutte le pratiche concordate, le convenzioni, le intese espresse o tacite e le coalizioni, che abbiano per oggetto o possano avere come effetto la limitazione della concorrenza. Tali accordi o convenzioni sono giuridicamente nulli. Sono però ammesse le intese indicate se siano autorizzate da leggi o regolamenti, o se siano dirette a uniformare lo sbocco delle produzióni o a razionalizzare o a specializzare i criterî produttivi in maniera da arrecare vantaggio allo sviluppo economico delle imprese. La legge cioè distingue, conservando il tradizionale principio già formatosi anteriormente ai decreti indicati, tra bonnes e mauvaises ententes, ammettendo le prime e vietando le seconde.
La legislazione tedesca. - In Germania, invece, fino al 1923, venne integralmente riconosciuta, in omaggio alla libertà delle pattuizioni negoziali, la validità di ogni accordo restrittivo di commercio, come risulta da un'importante decisione emessa nel 1897 dal Tribunale imperiale. E, con il favore di questa dottrina, la Germania divenne ben presto il regno delle formazioni cartellistiche, che influirono moltissimo sulla struttura industriale del paese, tutta tesa alla conquista dei mercati esteri e poco attenta allo sviluppo del mercato interno.
Il 2 novembre 1923 venne emanata una Kartellverordnung, che sottoponeva le formazioni cartellistiche al controllo statale. Tale controllo, verso il 1930, divenne però per riconoscimento pressoché unanime degli studiosi tedeschi, strumento di una determinata ideologia politica, che sfruttò la potente struttura economica del paese per suoi fini particolari. Il controllo fu inasprito, ma, anziché al fine di salvaguardare la concorrenza, con il proposito di indirizzare la produzione nel senso richiesto dalla politica di potenza del regime imperante.
Nel dopoguerra, dopo il tentativo di decartellizzazione fatto senza successo dalle autorità alleate, si provvide, dopo una faticosa gestazione, ad emanare, nel 1957, una nuova legge, sotto il titolo di Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen. Con tale legge vengono in via generale vietati tutti gli accordi o pratiche o deliberazioni, quando tendano a determinare una restrizione di concorrenza tale da influire sulla produzione o sullo scambio di merci e di servizî. Possono però essere autorizzati, in misura maggiore o minore, i cartelli colpiti da tale divieto, quando, per particolari contingenze, la limitazione di concorrenza appaia necessaria per soddisfare esigenze collettive; i cartelli concernenti la razionalizzazione della produzione o la standardizzazione delle condizioni generali di vendita; i cartelli relativi all'esportazione, i quali ultimi sono sempre e indiscriminatamente ammessi.
Un ufficio appositamente preposto al controllo dei cartelli può poi intervenire per colpire il comportamento abusivo di imprese che godano di posizione di monopolio o di oligopolio.
Il diritto italiano vigente. - In Italia, non si è mai sviluppata una legislazione antitrust. Il codice civile del 1865, ispirato alle concezioni individualistiche della proprietà e della libera iniziativapropria alla Tradizione napoleonica, ignorava affatto il problema. E il vigente codice civile, emanato al tempo del fascismo, non soltanto non si propone di regolare, con modernità di concetti, il fenomeno delle intese e delle concentrazioni monopolistiche, ma le favorisce, come strumenti della politica economica propria a un'organizzazione corporativa della produzione.
Non può infatti considerarsi neppure un embrione di legislaz-one antimonopolistica l'art. 2596 cod. civ., il quale sottopone i patti limitativi della concorrenza a condizioni di forma e a termini di tempo troppo facilmente superabili perché quella disposizione possa esercitare una seria efficacia sugli sviluppi della nostra economia. Le disposizioni sui consorzî" per il coordinamento della produzione e degli scambi", contenute nel capo II del titolo X, poi, sono animate da un aperto spirito di favore verso le intese consortili, che non possono trovare un valido freno nella generica vigilanza attribuita all'autorità governativa, anche se oggi, caduto il sistema corporativo, essa non è più tenuta a sentire le "corporazioni interessate", attraverso le quali quei medesimi interessi di cui i consorzî sono espressione, condizionavano l'attività di quegli stessi organi pubblici che avrebbero dovuto invece esercitare proprio sui consorzî il loro controllo.
Le esigenze dalle quali trae origine una legislazione antimonopolistica non trovano dunque nessun soddisfacimento nel vigente diritto italiano, il quale presenta anzi tracce di quella concezione corporativa che riconosceva ai grandi interessi organizzati una funzione quasi pubblica, giustificata da una loro presunta capacità di rendersi interpreti del cosiddetto "interesse nazionale", il quale di fatto altro non costituiva se non una proiezione di quei medesimi interessi.
In questo stato della nostra legislazione, l'esigenza di regolare in qualche modo le intese e le concentrazioni monopolistiche non poteva non farsi sentire anche nel nostro paese. Ciò spiega come varî progetti siano stati presentati al Parlamento sia durante le passate legislature, sia durante la presente legislatura (1958-63).
Si deve ricordare il progetto presentato da G. Togni, nella sua qualità di ministro per l'industria e commercio; quello degli onorevoli G. Malagodi e A. Bozzi; quello degli onorevoli B. Villabruna, R. Lombardi, U. La Malfa e altri; tutti risalenti alle passate legislature. Di questi, alcuni, quali il disegno di legge Villabruna-Lombardi-La Malfa e quello Malagodi-Bozzi, sono stati ripresentati nel corso della presente legislatura, durante la quale sono stati inoltre presentati un progetto governativo che porta il nome dell'on. E. Colombo, ministro per l'industria e commercio; un disegno di legge dovuto agli on. A. Carcaterra e R. Lucifredi; uno degli on. N. Foschini e S. Cavaliere; un altro degli on. G. Amendola e V. Failla. Infine va menzionata la proposta d'inchiesta parlamentare sui m. formulata dall'onorevole R. Temellari. In seguito alla presentazione dei predetti progetti di legge, è stata nominata una commissione parlamentare presieduta dall'on. G.. Pastore con l'incarico di sottoporre ad esame i varî schemi proposti.
Criterio comune ai varî progetti è di affermare, in via di principio, l'illiceità delle concentrazioni economiche che impediscano, limitino o falsino il gioco della concorrenza: ma essi si contraddistinguono per il diverso rigore con il quale applicano tale principio e per la varia larghezza delle formule con le quali ammettono deroghe al principio stesso. Ma assai più di queste differenze, almeno apparentemente d'ordine quantitativo, meritano di essere posti in rilievo i varî e contrastanti motivi di principio che ispirano tali differenze. Non mancano infatti in alcuni dei progetti sopra ricordati residui di una concezione assoluta della libertà di iniziativa che induce talvolta a respingere quelle stesse misure che si rendono necessarie per assicurarne il funzionamento; né mancano residui di una mentalità corporativa, che scambia gli interessi di categoria e gruppi con l'interesse della collettività. Posizioni entrambe che non appaiono in armonia con i principî fondamentali del nostro attuale ordinamento; alla stregua dei quali le disposizioni tendenti a salvaguardare il gioco della libera concorrenza e le sue eventuali limitazioni devono inquadrarsi in un sistema di politica economica che trovi il suo criterio di valutazione in fini di utilità generale e che si valga, per il raggiungimento di questi fini di organi capaci, per la loro formazione democratica, di sottrarsi alla pressione di interessi particolari o di settore.
Bibl.: Per la legislazione antitrust negli S.U.A., si veda: R. Callmann, Law of unfair competition and trade-marks, 5 voll., Chicago 1951; A. T. Dietz, An introduction to the antitrust laws, New York 1951; H. A. Toulmin, A treatise on the antitrust laws of the United States, 7 voll., Cincinnati 1952; H. B. Thorelli, Federal antitrust policy: origination of an American tradition, Stoccolma 1954.
Per la legislazione antitrust inglese: M. Albery e R. Fletcher-Cooke, Monopolies and restrictive trade practices, Londra 1956; V. Hallsham e R. McEwen, The law relating to monopolies, restrictive trade practices and resale price maintenance, Londra 1956; N. O. Wilbeforce, A. Campbell e N. P. R. Elles, The law of restrictive trade practices and monopolies, Londra 1957.
Per la legislazione CECA si veda: V. Di Cagno, La disciplina delle imprese e delle concentrazioni nel Trattato istitutivo della CECA, in Riv. dir. civ., I, (1957), p. 759. Per la disciplina contenuta nel trattato istitutivo della Comunità economica europea: Frumento, Le regole di concorrenza fra le imprese industriali nella Comunità Economica Europea, in Riv. int. scienze ec. comm., 1958; G. Guglielmetti, Introduzione allo studio delle restrizioni di concorrenza nel Trattato del mercato comune europeo e Le regole di concorrenza nel Trattato del Mercato Comune, in Rivista di diritto industriale, 1958, parte I; M. Plaisant, Ententes et Marché Commun, Parigi 1959.
Per la legislazione francese: P. Gide, Le projet français de loi anti-trust et les expériences étrangères, Parigi 1953; A. Toulemon, Le décret-loi du 9 août 1953, in Rev. trim. droit comm., 1954.
Per la legislazione tedesca si veda: H. Rasch, Wettbewerbsbeschränkungen, Kommentar zum Gesetz gegen Wettbewerbsbechränkungen, Herne-Berlino 1957; E. Langen, Kommentar zum Kartellgesetz, Berlino 1958; H. Kaufmann e H. G. Rautmann, Kommentar zum Gesetz gegen Wettbewerbsbeschr., Colonia 1958.
Per la legislazione vigente nei Paesi Bassi, cfr.: R. Sannes, Legislation in the Netherlands concerning international cartels, in Sociaal-Economisch Wetgewind, gennaio 1955.
Per i progetti presenatti in Italia: A. Asquini, La legislazione anticonsortile, in Rass. parl., 1959; E. Rossi, La pentolaccia dei monopoli, in Il Mondo dell'8 dicembre 1959: A. Salvatori e U. Niutta, La disciplina delle libertà di concorrenza e di mercato, Milano 1960; G. Bernini, La tutela della libera concorrenza e i monopoli, voll. 2, Milano 1960; E. Minoli, Considerazioni sullo schema del disegno di legge per la tutela della libertà della concorrenza, in Diritto dell'economia, 1960; L. Mengoni, Note sul progetto governativo di legge per la tutela della libertà di concorrenza, in Riv. delle società, 1960.