Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’Europa cristiana, la continuità dei secoli XI e XII con quelli precedenti vale anche per le manifestazioni del culto religioso, della liturgia e del canto, che in questo periodo si consolidano in alcune forme che sono state tramandate, negli aspetti essenziali, fino a oggi. Contemporaneamente attraverso i tropi vengono elaborate e ricevute negli spazi istituzionali altre tradizioni, tra cui soprattutto la nuova canzone ritmica, la drammatizzazione in ambito religioso e la polifonia, tutti fenomeni che entrano così, per restarvi, nella storia ufficiale europea.
Adamo di San Vittore
Richiesta d’Armonia
Sequenza
Possa la stessa armonia regnare nei nostri costumi e nei nostri canti. Voci dissonanti, costumi discordanti: grave collisione […]. Accolti da Dio al suo dolce magistero, che il suo dito armonizzi le corde diseguali.
L’avvio del secondo millennio della cristianità d’Occidente prosegue nel consolidamento del complesso dei servizi per l’Ufficio, contenuti negli appositi libri liturgici, mentre il calendario si arricchisce di nuove feste, soprattutto per i santi e per la Beata Vergine. A questi secoli risalgono molte delle antifone mariane più note (Regina caeli, Salve Regina) e il responsorio per la Natività della Vergine Stirps Jesse, di Fulberto di Chartres, sul quale vengono elaborate molte composizioni polifoniche. Con poche eccezioni, l’Occidente latino ha adesso una stessa liturgia. La messa, dopo il secolo IX, acquisisce caratteri che rimarranno stabili nei secoli seguenti – anche se nella stessa Roma solo dal 1014 si inserisce il Credo.
Liturgia e canto sono al centro della vita dei Cluniacensi, ordine che si diffonde nei secoli X e XI tutelando e promuovendo la liturgia romana entro un profondo rinnovamento della vita monastica. Molti prestigiosi centri si legano all’ordine, come l’abbazia di San Marziale di Limoges, importante per la conservazione di manoscritti musicali. A San Marziale è attivo il monaco Ademaro di Chabannes, della cui attività musicale sono eccezionalmente disponibili numerose testimonianze. In seguito all’inaugurazione della nuova basilica abbaziale il 18 novembre 1028, Ademaro intraprende una campagna per sostenere l’apostolicità di San Marziale grazie anche all’elaborata liturgia che mette a punto e che costituisce il cuore delle sue realizzazioni musicali, come acutamente illustra James Grier. Questi materiali sono depositati forse dallo stesso Ademaro presso la biblioteca dell’abbazia prima della sua partenza per Gerusalemme, tra il 1033 e il 1034 e, grazie alle vicissitudini del fondo abbaziale – conservato nella Biblioteca Reale di Luigi XV dal 1730 – arrivano fino a oggi, offrendo uno dei pochi repertori musicali ascrivibili, per quest’epoca, a un autore noto.
Questi secoli vedono anche la grande fioritura delle cattedrali, come a Santiago de Compostela o a Vézelay, che ospita dal secolo XI le reliquie che sono ritenute i resti della Maddalena. L’epoca è anche quella dei grandi pellegrinaggi, a Santiago come a Gerusalemme o a Roma; O Roma nobilis cantano i pellegrini che vanno nella città di Pietro, su una melodia del secolo XI o forse ancora più antica.
Le fonti manoscritte dei canti liturgici di questi secoli provengono dalle aree più stabili politicamente, dove fioriscono solide comunità religiose e si coltiva quello che molti studiosi non hanno esitato a chiamare umanesimo. Nei secoli IX e X si diffonde l’uso del messale e nel secolo XI compare il breviario con la Liturgia delle Ore. A parte vengono raccolti repertori specifici, nei libri tropari, versari, sequenziari. Dal secolo XII circolano anche libri processionali. Molti sono i codici con notazione musicale, che, con la diffusione del rigo musicale, permette una chiara lettura della linea melodica. Non si hanno però ancora esempi di notazione del ritmo. Per questo, mentre sembra esserci accordo tra gli studiosi sulla natura ritmica libera del repertorio “gregoriano”, si confrontano ipotesi diverse sul ritmo di repertori più specifici, come gli stessi inni.
Se i Cluniacensi limitano le aggiunte, al repertorio liturgico, di testi di nuova invenzione, conosciuti come “tropi”, altrove tali arricchimenti sono assai comuni e, dal secolo XI, lo sono anche nelle cattedrali. I tropari hanno adesso un aspetto prezioso, tanto che, poco dopo il 1000, è ad esempio il vescovo di Autun a farne copiare un pregiato esemplare. Mentre intorno al secolo XI il repertorio si stabilizza nelle diverse regioni europee, è soprattutto in Aquitania che si continua a comporre nuovi tropi.
Una nuova forma di canto viene inoltre introdotta alla fine del secolo XI, il versus, basato su versi ritmici rimati; e così sono composti in questo periodo anche i tropi del Benedicamus Domino, che conclude molte delle Ore. Il versus si sviluppa però anche come componimento indipendente e un ampio campionario di questo particolare tipo di canti è conservato nei manoscritti di Limoges.
Anche le sequenze, caratterizzate fin dal secolo IX dalla ripetizione di diverse sezioni melodiche a coppie, presentano innovazioni analoghe. Già la sequenza Victimae Paschali laudes (secolo XI) fa uso di rime, ma ancora più decisa è la scelta di metri regolari nei componimenti dell’agostiniano Adamo di San Vittore, a Parigi, che ha cura anche dell’originalità delle melodie.
Tropo del Benedicamus Domino
Vallus montem,
lapis fontem,
spina rosam
speciosam
edidit.
Virga nucem,
Virgo ducem,
Mater facta
sed intacta
reddidit.
Stella solem,
Virgo prolem,
caro numen
parit lumen
cecitas,
Et latuit
quod patuit
sub servili
carne vili
Deitas.
Ergo nos
puro animo
Benedicamus
Domino.
ms Lat. 1139, Paris, Bibliothèque Nationale de France
Dall’abbazia di Cîteaux (1098) si irradia l’ordine cistercense, che riforma il canto liturgico semplificando le melodie, sopprimendo i melismi ed escludendo i tropi dal rituale, in netta controtendenza rispetto agli orientamenti dei Cluniacensi. Di queste riforme si fa portavoce lo stesso Bernardo di Chiaravalle e le stesse saranno accolte, nel 1256, dall’influente ordine dei Domenicani.
Tra i canti religiosi in volgare, al secolo IX risale la francese Sequenza di Santa Eulalia e in lingua d’oc si hanno nel secolo XI il Boezio e la Canzone di Santa Fede. Di questi testi non si ha la notazione musicale, che invece è disponibile per alcuni canti occitani nei manoscritti di Limoges, tra cui un Versus de Sancta Maria, forse della fine del secolo XI, che è la prima attestazione della melodia per l’inno Ave maris stella, e lo Sponsus, che è una sorta di “dramma” liturgico con parti cantate in volgare. Temi religiosi sono poi presenti nelle liriche cortesi d’oc e d’oil fin dal secolo XII. Il noto repertorio dei canti conosciuti come Carmina burana è la fonte più importante per la poesia latina non liturgica del secolo. Per una quarantina di componimenti si ha la melodia in una notazione non facilmente decifrabile ma ricostruibile talvolta grazie ad altre fonti. La raccolta, conservata un tempo nel monastero di Benediktbeuren (da cui il nome), proviene dal Tirolo o dalla Stiria e contiene canti morali, amorosi, giocosi e divini.
Sempre nel secolo XII, lo stesso Pietro Abelardo ha lasciato sei planctussu tema biblico, in una notazione musicale di difficile interpretazione – ma in un caso la stessa melodia è usata nel francese Lai des pucelles.
Quanto gli studiosi moderni hanno chiamato “dramma liturgico” sembra avere ben poco a che fare con il teatro. L’inserimento accanto o dentro alla liturgia, fin dal secolo IX, di nuovi testi che presenterebbero caratteri drammatici sembra piuttosto un ampliamento o un’aggiunta nello spirito della stessa liturgia, che si realizza sul piano simbolico e non su quello imitativo. Quello che si è chiamato “dramma liturgico” è definito nei testi antichi prevalentemente come ordo o officium, gli stessi termini che indicano il cerimoniale liturgico. Si tratta sempre di testi latini interamente cantati; il teatro vernacolo coevo è invece soprattutto parlato.
Si considera come primo esempio di aggiunta “drammatica” alla liturgia il tropo pasquale Ad visitandum sepulchrum. Il verso iniziale Quem queritis in sepulchro, o Christicole? è la domanda dell’angelo alle donne che visitano il sepolcro e lo trovano vuoto poiché il Cristo è risorto. Il breve dialogo ha una diffusione ampia ma non si tratta di una tradizione unitaria e stabile, fin nella sua collocazione liturgica, che varia di luogo in luogo. Anche l’azione rituale non presenta caratteri fissi e non acquisisce caratteri più “drammatici” con il passare dei secoli.
Altro nucleo rilevante è quello della Passione e vi sono esempi piuttosto elaborati di quello che è chiamato anche Ordo paschalis. Sul modello del tropo pasquale Ad visitandum si svilupperebbe un Officium pastorum natalizio (Quem queritis in presepe, pastores?) che ha vicende analoghe al modello pasquale. Sempre nel ciclo natalizio vi sono la celebrazione dell’Ordo prophetarum, oltre la visita dei Magi, definita Officium stelle in un manoscritto di Laon, e la strage dei Santi Innocenti, l’Ordo Rachelis di un codice di Frisinga. Il repertorio melodico degli esempi più elaborati comprende canti del repertorio liturgico tradizionale e tropi, inni, sequenze, planctus e versus.
Officium ad visitandum sepulchrum quem quaeritis
Quem Queritis in Sepulchro
Quem quaeritis in sepulchro o Christicole?
Respondent: Ihesum nazarenum crucifixum o celicole.
Respondent: Non est hic, surrexit, sicut ipse dixit. Ite nunciate quia surrexit.
Alleluia resurrexit dominus.
Hodie resurrexit leo fortis Christus, filius dei.
Deo gratias dicite eia.
ms Lat. 1240, f. 30v, Parigi, Bibliothèque Nationale de France
Tra i centri principali per le fonti dei testi denominati modernamente “drammi” liturgici vi sono San Marziale di Limoges, San Gallo e Winchester, che accoglie l’influenza di Ghent e di Saint-Benoît-sur-Loire, a Fleury. La produzione di “drammi” liturgici ha il suo apice nel secolo XII e fino al secolo XIII sembra, come sopra accennato, che questi riti siano sentiti come parte della liturgia, mentre in seguito assumerebbero più autonomia, fino a secolarizzarsi ed essere spostati fuori dalla celebrazione e fuori dalla chiesa.
Le celebrazioni relative alla visita dei Magi a Erode presentano un uso della varietà melodica di particolare interesse, come ben illustra Susan Rankin, nel suo saggio “Liturgia drammatica e dramma liturgico” inEnciclopedia della musica, 2004, IV pp. 94-117). La differenziazione tonale delle melodie sottolinea infatti la contrapposizione tra i Magi ed Erode, enfatizzata anche dalla prossimità tra il tono dei Magi e quello delle levatrici che presentano il Bambino. Si ha così uno dei primi esempi noti di “drammaturgia” musicale. Le fonti più antiche dell’Ordo stellae sono del tardo X secolo, ma ben 20 si collocano tra i secoli X e XI. Spesso non è specificato l’ambito liturgico del rito e testi e melodie sono relativamente stabili, per cui si pensa possa trattarsi di un vero e proprio dramma religioso.
Risalgono al secolo IX i primi esempi di organa, in cui due diverse linee melodiche sono cantate armonicamente “nota contro nota”. La prima raccolta con un cospicuo numero di polifonie, a due voci (diafonie), è il Tropario di Winchester, forse della fine del secolo X; si tratta di tropi per varie parti della messa e per i responsori dell’ufficio delle Ore.
La notazione non è chiaramente decifrabile ma recenti studi hanno proposto ipotesi convincenti di lettura. Non ci sono segni relativi al ritmo e così anche per questo repertorio si pongono gli stessi problemi interpretativi che si hanno per la monodia coeva. Le armonie generate dalla conduzione parallela delle voci sono semplici strutture intervallari di “quarta” e “quinta”, che si aggiungono alla numerosa presenza di “unisoni” e “ottave”, mentre le melodie presentano vari passaggi in moto contrario, che scaturirebbero da una ricerca di varietà armonica, come bene illustra il musicologo Theodore Karp nel suo eminente studio sulle prime forme di polifonia. Nei pochi frammenti di trascrizioni di un altro repertorio polifonico, purtroppo giuntoci frammentato, quello dell’abbazia di Chartres, si nota una diversa sensibilità armonica, che utilizza molti passaggi con intervalli di “terza”, “sesta” e anche “seconda”, e quindi presenta una conduzione melodica più omogenea tra le due voci.
Circa 70 polifonie a due voci è quanto tramandano quattro manoscritti aquitani della prima metà del secolo XII, tra cui una cinquantina di versus – venti di Benedicamus Domino – e una dozzina di sequenze. La notazione delle altezze è ben leggibile ma non ci sono segni ritmici specifici. A differenza degli esempi precedenti, questi organa alternano spesso due tipi diversi di polifonia, che il trattato Discantus positio vulgaris (forse dell’inizio del XIII sec.) definisce discantus e organum. Un organum si avrebbe quando la voce inferiore si muove lentamente di nota in nota e quella superiore esegue rapidi passaggi vocalizzati, mentre discantus sarebbe quando le due voci procedono nota contro nota. Karp ha proposto un’interpretazione ritmica di questo repertorio, coerente con i principi dei trattati posteriori, secondo cui queste melodie anticiperebbero le strategie ritmiche poi teorizzate e trascritte nella successiva polifonia parigina.
Posto sotto la protezione di papa Callisto II, da cui il nome, il Codex Calixtinus arriva a Santiago intorno al 1140, con un ricco repertorio polifonico dai tratti aquitani. Alcuni dei componimenti polifonici sono riportati nel codice con il nome dell’autore, tra cui compare un Albertus Parisiensis (probabilmente lo stesso Cantordi Notre Dame di Parigi attestato dal 1146 ca. e morto forse entro il 1177) – che conferma la provenienza gallica del repertorio. Ad Alberto è attribuita quella che sarebbe la prima polifonia a tre voci, Congaudeant catholici, tropo del Benedicamus Domino – ma taluni ritengono le due voci superiori alternative.
I canti polifonici fanno parte soprattutto del repertorio solistico ma la possibilità che alcuni fossero eseguiti in coro merita ancora studi adeguati. Quando il teorico musicale Giovanni di Afflighem descrive la polifonia si riferisce comunque ad almeno due cantanti solisti. Anche la letteratura volgare riferisce di prassi polifoniche, come in Les Quatre Fils Aymon (tardo secolo XII), in cui due uomini cantano con parole guasconi e musica di Limoges mentre un terzo esegue un bordon (prima attestazione del termine). Organer è usato nel Roman de Horn (1170 ca.) per indicare il cantare in polifonia, un modo speciale quindi di eseguire un canto che ha già una sua struttura e una sua funzione. La povertà di attestazioni scritte soprattutto per i primi secoli va di pari passo con la convincente ipotesi che la polifonia nasca come prassi esecutiva – forse anche ex tempore, come ritiene Hendrik van der Werf (1992) – prima di formalizzarsi nelle strutture della composizione scritta.
Giovanni di Afflighem
Sulla diafonia
De musica
La diafonia è una “congruente dissonanza” di voci, che si può praticare con almeno due cantanti, in modo tale che, mentre uno tiene la retta modulazione, l’altro giri adeguatamente per suoni diversi, e ad ogni respiro entrambi giungano insieme sullo stesso suono o sull’ottava. Questo modo di cantare è volgarmente detto organum, in quanto le voci umane adeguatamente dissonanti assomigliano allo strumento che è chiamato organo.