monismo
Dal gr. μόνος «solo». Dottrina tendente alla riduzione della pluralità degli esseri a un unico principio o un’unica sostanza. L’introduzione nel linguaggio filosofico del termine monista sembra sia dovuta a Wolff che così lo definiva: «si chiamano monisti (monistae) i filosofi che ammettono un solo genere di sostanza». Wolff quindi riferiva il termine alla dottrina metafisica che riconduce tutti gli esseri a un unico principio (spirituale o materiale), contrapposta a ogni forma di dualismo. Ma nell’uso il termine è entrato più tardi ed è stato applicato in modi diversi per indicare disparate prospettive filosofiche in cui si individuava la riduzione della pluralità degli esseri a un’unica sostanza, o essere, staticamente o dinamicamente intesi. Così è stato usato per indicare la filosofia hegeliana (già in Carl F. Göschel, Der Monismus des reinen Gedankens, zur Apologie der gegenwärtigen Philosophie, auf dem Grabe ihres Stifters, 1832) e poi varie forme di idealismo hegeliano (Bradley, Croce, Gentile), ma non senza sfuggire a equivoci come quando certa storiografia ha usato il termine m. per indicare disparate posizioni filosofiche antiche (per es., eleatismo) o moderne (per es., Spinoza). Il termine ha avuto larga fortuna nel positivismo e The monist si intitolò la rivista di orientamento positivista fondata (1888) da Edward C. Hegeler e Paul Carus. Haeckel ha usato il termine per indicare la propria concezione filosofico-scientifica (Der Monismus als Band zwischen Religion und Wissenschaft, 1893; trad. it. Il monismo, quale vincolo fra religione e scienza) e quindi Deutscher Monistenbund si chiamò l’associazione fondata dallo stesso Haeckel con Ostwald.