Vedi MONETA dell'anno: 1963 - 1995
MONETA (v. vol. V, p. 152)
Mondo greco. a) L'età arcaica. - L'edizione del ripostiglio di Asyūt (1975) può ben opportunamente iniziare la rassegna delle principali e più recenti ricerche intorno ai «fattori» di cui è necessario far conto nello «studio artistico» della m. greca. La presentazione del nuovo materiale è stata, infatti, occasione per riconsiderare cronologia, attribuzione, tipologia e tecnica delle monetazioni più antiche. Talvolta è stata messa in discussione la stessa organizzazione in serie delle emissioni.
L'introduzione della m., tradizionalmente datata agli anni 630-620 a.C., nonostante i tentativi di riportarla ai primi decenni del VII sec., tende a essere fissata intorno al 600. In questo senso si può dire davvero che le prime m. sono state coniate e messe in circolazione nella tensione fra Ionia e regno di Lidia nella prima ventina di anni del regno di Aliatte. I risultati delle nuove esplorazioni dell’Artemìsion di Efeso (1987) sembrano confermare queste conclusioni.
Si delineano due esiti contrapposti. Da un lato, le serie lidie contrassegnate dalla tipologia definita «della testa di leone», emblema della casa dei Mermnadi; dall'altro, serie diverse contraddistinte da tipi non ancora stabilmente fissati né immediatamente riconoscibili come simboli delle diverse comunità politiche greche.
A chiarire la pluralità della tipologia delle serie greche è stato chiamato in causa il ruolo dei privati. Non tanto, però, nel senso tradizionale di mercanti che appongono il proprio sigillo su una «goccia» di metallo prezioso di peso e di forma definiti per corrispondere alle esigenze della circolazione, quanto di individui che impiegano i pezzi coniati per far donativi, distribuire premi e dare compensi. Sono stati chiamati in causa anche i bisogni di esaltazione e di propaganda dei ceti aristocratici soprattutto in periodi di crisi. Nondimeno lo studio delle sequenze dei coni, così come i risultati delle analisi metallografiche, hanno permesso di ricondurre a un unico centro emissioni monetarie distinte da tipologie differenti adoperate per tempi più o meno lunghi prima che le comunità adottassero per proprio emblema un simbolo ben definito. Queste condizioni, ammesse per Mileto e per Samo, sono state finalmente accertate per Focea e Mitilene. Non mancano casi in cui l'emissione di pezzi con rappresentazioni figurate è venuta lungamente intrecciandosi con la produzione di globetti con superficie liscia o striata. A Cizico, invece, il tipo del tonno ha contraddistinto la m. sin dagli inizi. Su questa base si può concludere che gli interessi della comunità sono stati, e da subito, prevalenti. Né poteva essere altrimenti, se è vero che l'impronta serviva a garantire soprattutto il titolo delle prime m. in quanto misura del valore e mezzo di acquisto.
Non convincono del tutto i tentativi di ridimensionare il carattere eccezionale dei gruppi di m. che recano leggende personali, intorno ai quali la discussione si è rinnovata dopo il ritrovamento di esemplari assolutamente nuovi negli strati dell’Artemìsion di Efeso anteriori all'età di Creso e di un altro statere con il nome di Phanes passato a Francoforte nella raccolta della Deutsche Bundesbank (1974).
La serie di Phanes (alle unità conosciute dello statere e del terzo si sono aggiunte frazioni minori contrassegnate da una testa di cervo) è stata riferita ad Alicarnasso e, con minore probabilità, a Phanai; ma più di recente si è ritornati ad attribuirla a Efeso. E Phanes, più che condottiero o banchiere o addetto del santuario, è stato considerato uno dei tiranni di Efeso (altrimenti sconosciuto) che tennero la città alla fine del VII secolo. Ma il ruolo di queste m., per essere meglio definito, dev'essere misurato con quello avuto dalle m. lidie con iscrizione in rapporto agli esemplari contraddistinti dalla sola tipologia della testa di leone. Non è escluso che le leggende lidie testimonino dell'attività di funzionari regi, di cui Phanes può aver seguito l'esempio; ma non convince il tentativo di vedere nei nomi attestati dalle m. nomi di sovrani o di principi che avrebbero firmato pezzi emessi occasionalmente accanto a quelli anepigrafi della serie principale.
Il riesame della tipologia nei suoi aspetti e formali e contenutistici e la revisione dei dati di rinvenimento hanno comportato nuovi tentativi di datazione per le c.d. creseidi d'oro e d'argento con il tipo delle protomi di leone e di toro affrontate: dagli inizî del regno di Creso a dopo la conquista persiana di Sardi. La proposta di riferire tutta quanta la monetazione al regno di Ciro è contraddetta dalle associazioni monetali dei ripostigli che suggeriscono di attribuire a Creso la coniazione delle specie «pesanti» di oro e di argento (tagliate su di un valore di g 10,89) e al re di Persia quella degli aurei «leggeri» di g 8,4 e dei pezzi di argento di g 5,8, dal 514/13 al 500 circa. Dopo questa data sarebbero state finalmente battute le serie dei «darici» e dei sicli.
La coniazione delle creseidi d'argento si riscontra con le prime monetazioni in questo metallo in ambito microasiatico (da Chio a Samo, a Cnido) e, per l'azione dei coloni di Teos, ad Abdera, in ambito tracio. A Teos e a Chio i tipi del grifo e della sfinge sembrano essere stati scelti come emblemi civici unicamente per il loro carattere apotropaico, senza rapporto con il mondo catactonio o con una determinata divinità.
Alle emissioni di elettro di Asia Minore fanno seguito quelle d'argento della Grecia insulare e continentale. Intorno alla metà, se non già durante il secondo venticinquennio, del VI sec. (non mancano tentativi di datazione più alta, come per le emissioni microasiatiche) si datano i primi stateri di Egina con la tipologia della tartaruga al dritto e un quadrato incuso al rovescio. La coniazione delle tartarughe ha un impatto notevole sulle altre isole egee, le cui m., tagliate secondo il sistema «eginetico», rimangono in parte d'incerta attribuzione. Da Simonide (frg. 114 Diehl) si sa che le dramme di Paro esibivano l'emblema del capro. Si sono voluti, poi, riconoscere la seppia di Coressia, i delfini di Thera e la rana di Serifo. Il tipo dell'anfora, riferito prima ad Atene e poi ad Andros, è stato infine attribuito a Cartea. Non è chiaro ancora il contenuto di questa tipologia, del cui repertorio accentrato sugli animali e su qualche oggetto inanimato si è, forse eccessivamente, sottolineata, oltre alla povertà e alla derivazione da un'immediata esperienza di vita pratica, la quasi totale adesione al «gusto» c.d. orientalizzante. Eppure alla base di singole raffigurazioni si avverte chiaramente il richiamo al culto del Dioniso delle Cicladi e a quello di Apollo. Incerto resta, in fondo, anche il significato della tartaruga di Egina, certo appropriata come emblema di un popolo commerciante, ma non immediatamente riferibile ad alcuno dei culti dell'isola o ad alcuno dei miti di fondazione conosciuti. Ne è stato ribadito, innanzi tutto, il valore «locale» nel senso di una qualificazione di Egina come isola delle tartarughe. Un'altra connessione è stata stabilita con i riti di capodanno attestati nel golfo Saronico per l'avvento del pesce. Come simbolo di fertilità essa è stata, invece, riferita ad Afea. Non c'è rapporto con la rappresentazione dell'eroe sulla tartaruga di schietta tradizione occidentale. I mutamenti della tipologia attribuiti a innovazioni di carattere stilistico non sono altro che il risultato delle alterazioni del tondello verificatesi durante la coniazione.
A quelle di Egina si succedono nel breve periodo le emissioni di Corinto e di Atene. Le prime, distinte dalla tipologia di Pegaso con allusione alla fonte Peirene e all'Acrocorinto; le seconde, caratterizzate dall'impiego di tipi diversificati di serie in serie, già considerati araldici, ma ora connessi con la celebrazione delle Panatenee o con l'istituzione delle Trittie. È frutto di un'indebita estensione di pratiche assai più recenti l'ipotesi che le singole impronte debbano essere considerate semplici marche di controllo dei magistrati responsabili dell'emissione monetaria. Dipende dalla cronologia delle prime serie ateniesi quella delle monetazioni delle città euboiche, delle quali Karystos ed Eretria usavano i tipi della vacca e della giovenca come emblemi «parlanti» ispirati dal nome di Eubea. Le ghiande rappresentate su trioboli e frazioni minori di Mantinea si riferiscono alla tradizionale definizione degli Arcadi come balenèphagoi da Alceo (frg. dub. I Gallavotti) in poi (Herodot., I, 66, 2; Paus., VIII, I, 6; 42, 6).
Fra le monetazioni della Grecia settentrionale sono largamente documentate nel ripostiglio di Asyūṭ quelle c.d. tribali dei Derroni e degli Orresci. Della tipologia di questi ultimi e di quella degli Zelei, degli Edoni e dei Bisalti è stata ribadita la più corrente interpretazione greca: p.es., Ares o Hermes per le figure maschili armate di una o due lance che conducono un cavallo o due bovini. Ma c'è da chiedersi se i tipi prescelti non possano essere spiegati con riferimento, se non a saghe o a divinità locali, al mito degli Argeadi e all'articolazione di quelle comunità di pastori in allevatori di capre, di cavalli o di buoi (Herodot., VIII, 137, 139). Le varietà compositive del gruppo del leone e del toro in lotta esibite dai tetradrammi di Acanto non sono dovute a scelte formali degli incisori dei coni, ma a provvedimenti di carattere amministrativo volti a distinguere un'emissione dall'altra.
La riconiazione da parte di Crotone di uno statere di Corinto del 535 c.a, nel volgere di pochissimi anni, ha fatto porre gli inizî della monetazione a rovescio incuso di Magna Grecia oltre la metà del VI sec.: intorno al 540 a Sibari e a Metaponto, verso il 530 a Crotone. L'analisi dei rinvenimenti conferma queste indicazioni e consente di precisare lo sviluppo della tecnica incusa fino all'affermazione del doppio rilievo, secondo ritmi diversi di zecca in zecca. Gli inizî della nuova tecnica sono stati fissati intorno al 490 per Taranto, al 480 per Laos, al 475 per Caulonia, al 470 per Posidonia e al 440 per Metaponto. In discussione, il passaggio dal rovescio incuso al doppio rilievo a Crotone: non è chiaro se la trasformazione si sia realizzata, come a Metaponto, dopo il 440 o precedentemente, all'indomani dell'incendio delle scuole pitagoriche.
Dopo aver privilegiato per Taranto l'identificazione del giovine sul delfino con Falanto nei confronti di quella tradizionale con Taras fondata sulla testimonianza di Aristotele (frg. 590 Rose), l'analisi tipologica ha riaffermato quest'ultima: Falanto può essere riconosciuto nella figura maschile seduta in trono esibita dai rovesci della serie degli «ecisti». Poco convincente l'identificazione con Eros Àpteros, invece che con Giacinto, della figura maschile, rappresentata sugli incusi più antichi con una lira nella sinistra e un fiore nella destra. Il toro di Sibari, confrontato con una delle raffigurazioni delle placche auree di Delfi, viene inteso oramai, non come personificazione del Crati, ma come simbolo di ricchezza e di fertilità. In discussione, anche, il tipo degli esemplari di Caulonia, interpretato non più come Apollo Kathàrsios, ma come Eracle che cattura la cerva cerinitide o, forse meglio, come Apollo Hyperbòreios che ritorna nella valle di Tempe preceduto dal giovine amphithalès. L'aquila incusa degli stateri di Crotone è stata posta in relazione, oltre che con l'episodio narrato da Giamblico nella vita di Pitagora (XIII, 62: un'aquila vola sul filosofo che parla ai suoi discepoli di presagi e di prodigi celesti) con il progetto di celebrare nuove Olimpiadi in Magna Grecia.
Gli incusi a doppia leggenda Sirinos-Pyx/Pyxoes con il tipo del toro retrospiciente sono stati nuovamente riferiti a Siri e a Pissunte e considerati m. d'impero coniate sotto il controllo di Sibari. Anche gli esemplari contraddistinti dal tripode di Crotone, a doppia leggenda e a doppia tipologia, sono stati interpretati in questo senso; mentre a giustificare le frazioni a doppio rilievo con il tripode al dritto e tipi di altre comunità al rovescio sono stati chiamati in causa i più estesi rapporti della seconda Crotone pitagorica con città della Grecia (Atene, Corinto) e della Sicilia. (Messana, Imera, Agrigento e Siracusa dopo la fine delle tirannidi).
In Sicilia la monetazione s'inizia nell'ultimo quarto del VI sec. fra Nasso, Zancle, Imera, Selinunte e Siracusa, e poco più tardi a Gela e ad Agrigento. Nell'interpretazione dei tipi il dibattito ha riguardato in primo luogo il significato religioso del gallo d'Imera connesso, come i galli da combattimento di Pindaro (Ol., XII, 18-19), con il culto di Atena. Il granchio di Agrigento è stato considerato in quanto akrobàtos, akro(à)gas («che cammina sulla punta dei piedi», secondo Esichio, α 88 Latte) un'àinigma del nome della città. La tipologia dei cavalieri di Gela è stata messa in rapporto con il ruolo avuto dalla cavalleria geloa nello scorcio del VI secolo. La raffigurazione di un impianto in forma di falce con quattro protuberanze sulle monete di Zancle è stata considerata la schematizzazione di una veduta dall'alto del porto e della città con le sue fortificazioni. Incerto il riferimento delle emissioni con Zeus, delfino e leggenda Zanklaion (correntemente datate subito dopo il 461/460) all'epoca della conquista della città dello Stretto da parte d'Ippocrate di Gela. Per Imera e per Zancle è stato possibile individuare le regole che presiedevano all'esecuzione dei quadrati incusi del rovescio in forma di pale di mulino o in forma di croce greca.
b) Fra V e IV secolo. - Fra le monetazioni succedutesi in Asia Minore dopo la rivolta ionica, oltre a quelle di Samo e di Cnido, sono state ricostruite per ordine di emissione quelle di Focea e di Mitilene, di Efeso e di Teos; e per la loro tipologia sono state avanzate ipotesi di lettura fondate sulle relazioni che paiono sussistere fra le raffigurazioni del dritto e del rovescio.
Per Cizico si è cominciato a studiare il mutamento della tipologia, oltre che in relazione all'avvicendarsi dei magistrati monetali, con riferimento agli orientamenti politici della città, soprattutto nei confronti di Atene. La presenza dei primi discoboli di Coo nel ripostiglio di Asyūṭ ha consentito di fissarne la cronologia intorno al 480; mentre la prima monetazione di Rodi precedente il sinecismo del 408/407 ha potuto essere ricostruita in base alla documentazione del ripostiglio di Marmaris nascosto verso la metà del IV sec. (IGCH, 1209). La tipologia della testa di aquila esibita dalle dramme di Sinope poco dopo il 440 è stata interpretata come emblema «parlante» della città: sinòpis, «dall'aspetto feroce», come Sinope.
Dopo la vittoria sui Persiani la nuova monetazione di Atene è contrassegnata al dritto dal tipo della testa di Atena, con elmo cinto di olivo. La rappresentazione resta ancorata ai modi dell'arte severa e non subisce variazioni di rilievo nel succedersi delle emissioni riconsiderate analiticamente sino a tutta la metà del V secolo. Ancora in discussione il passaggio dal tipo della tartaruga a quello della testuggine sugli stateri di Egina: l'ipotesi più ragionevole è che esso debba essere posto in relazione con l'assalto ateniese del 457. La testa di moro raffigurata dal 421 in poi sulle monete di Delfi è stata riconsiderata nel contesto delle tradizioni intorno alla religiosità degli Etiopi e ai loro rapporti con il culto di Apollo. Le m. di alleanza emesse congiuntamente nel 405/404 dalle zecche di Bisanzio, Cizico, Lampsaco, Efeso, lasos, Samo, Cnido e Rodi con al dritto Eracle che strozza i serpenti dichiaravano il nuovo orientamento in favore di Sparta di quelle comunità politiche in seguito alla vittoria sugli Ateniesi ottenuta agli Egospotami da Lisandro. Nuove analisi hanno riguardato la rappresentazione del labirinto sulle m. di Cnosso; mentre il tipo dell'Eracle in lotta con l'idra di Lerna usato per gli stateri di Festo negli ultimi decenni del IV sec. è stato ritenuto copia di uno dei gruppi scultorei di Lisippo conservati nel santuario di Alizia (Strab., X, 2, 21).
I mutamenti della tipologia monetaria riflettono le vicende della confederazione fócese e le sue relazioni con il santuario di Delfi: il ruolo del tipo tradizionale di Artemide Elaphebòlos è usurpato da quello di Apollo quando la Focide controlla l'anfizionia.
Le raffigurazioni principali delle m. di Thasos con la tipologia del satiro e della ninfa coniate fra 413 e 411 sono state attribuite a uno stesso incisore; mentre alla responsabilità dei singoli magistrati è stata riferita la scelta degli elementi accessori. Il cavaliere delle emissioni macedoni è simbolo degli ideali dell'aristocrazia e della casa regnante e non può essere identificato né con un dio, né con un eroe, né con un sovrano in particolare.
La ricostruzione della storia monetaria di Anfipoli dall'alleanza con la lega calcidica fino alla conquista macedone ha consentito d'individuare le mani dei diversi incisori attivi nella zecca e di precisare il ruolo della tipologia di Apollo e di quella di Artemide (alla quale, peraltro, rimanda la fiaccola del rovescio, simbolo delle Lampadoforie celebrate in onore della Tauropòlos). In base al ritmo delle più recenti emissioni di Anfipoli è stato possibile stabilire la cronologia delle ultime coniazioni autonome della Grecia del Nord all'affermarsi del predominio dei re di Macedonia.
Alle zecche di Anfipoli e di Pella sono stati attribuiti nella loro interezza tre gruppi di m. di oro e di argento coniate in nome di Filippo II: il primo, durante la vita del sovrano (359/357-349/348 per l'argento; 345/342-340/336 per l'oro); gli altri due, continuati dopo la morte o interamente postumi, sotto Alessandro e oltre (348/347-316/315 per l'argento; 340/336-315/310 per l'oro). Ma la revisione delle sequenze dei coni e dei dati di rinvenimento porta a riferire, piuttosto, la coniazione di tutte quante le serie a Filippo, di cui non si manca di sottolineare, secondo Plutarco (Alex., IV, 9), l'interesse per gli emblemi esibiti dalle proprie monete. Non è escluso che un'altra zecca fosse in funzione a Ege. Non convincono i tentativi di riconoscere nel tipo della testa di Zeus dei tetradrammi di argento il ritratto del re: del resto il ritratto di Filippo apposto su stateri di elettro di Cizico è certamente un ritratto di ricostruzione. L'identificazione di un ritratto miniaturistico di Dario II su «civette» d'imitazione della fine del sec. V ha portato alla revisione delle tesi tradizionali sull'impiego in ambito microasiatico dell'effigie di personaggi viventi come tipo e simbolo monetari.
Per l'ambito occidentale il maggior dibattito ha riguardato l'emissione del decadrammo arcaico che dal 480/479 era stata riportata alla fine degli anni Sessanta: una data più vicina a quella tradizionale comincia a essere riaffermata sulla base delle associazioni dei ripostigli, a partire da quello di Asyūṭ. Ai tentativi d'interpretare come atto di politica religiosa l'adozione della tipologia della biga trainata da mule e della lepre sulle monete di Messana (e di Reggio) durante l'età di Anassila, continua a opporsi la rivalutazione della testimonianza di Aristotele (frg. 568 Rose) che riferiva la scelta delle due impronte alla vittoria olimpica del tiranno nel 480 e all'introduzione a opera sua della lepre in Sicilia. La diffusione del tipo della quadriga e dell'unità del tetradrammo nella prima metà del V sec. significano l'affermazione progressiva dell'influenza siracusana nell'isola. Il nuovo valore e la nuova tipologia sembrano imporsi a Imera intorno al 464 con la serie c.d. di Pelope, commemorativa, forse, della seconda vittoria olimpica di Ergotele (Paus., VI, 4, 11). La rappresentazione della ninfa Sosipoli che incorona Gela su tetradrammi del 440 c.a dev'essere probabilmente messa in rapporto con la disfatta di Ducezio e dei Siculi. L'attività dei «maestri firmanti» (da Eumene a Eveneto; da Cimone, a Frigillo, a Euclida) pare svolgersi a Siracusa contemporaneamente, dal 415 in poi, in due distinte officine identificate dai simboli del delfino e della spiga. Questa produzione siracusana e quella parallela di Catania, dove Eveneto incide coni per dramme e tetradrammi, sono state confrontate con le emissioni del terzo periodo di Camarina (415-405). Su questa base si è cominciato a comprendere quale itinerario seguissero i diversi incisori presenti negli stessi anni in più di una zecca; e a Euclida, in particolare, è stata attribuita un'attività di orafo, oltre che d'incisore di coni. Controversa l'interpretazione dell'auriga del decadrammo di Agrigento emesso poco tempo prima del 409: Helios, per alcuni; per altri, Akragas. Il confronto con l'Aretusa di prospetto incisa da Cimone, per Siracusa nel 406 è diventato uno dei capisaldi della cronologia dei tetradrammi di Segesta. Interrotta l'emissione dei tetradrammi, Siracusa conia sotto Dionigi il Grande aurei del valore di 100 litre firmati da Eveneto e da Cimone, con al rovescio un Eracle in lotta con il leone nemeo, simbolo della contrapposizione fra i Greci guidati da Siracusa e i barbari di Cartagine. Il nome di
Eveneto ricorre anche sui pezzi di 50 litre con al rovescio un cavallo libero a significare aspirazione alla libertà e riscatto dall'oppressione. Eveneto e Cimone firmano infine le serie contemporanee dei decadrammi con i tipi della quadriga al galoppo e della testa di Aretusa. «Libertà» e «democrazia» contrapposte a «tirannide» e «barbarie» (Diod. Sic., XVI, 70, 5; 90, 1; Plut., Tim., 37, 5; 39,5) erano i referenti della tipologia delle serie timoleontee con al dritto l'immagine di Zeus Eleuthèrios.
In Magna Grecia, nelle trasformazioni che seguono l'abbandono definitivo della tecnica a rovescio incuso, la novità maggiore è costituita dalla monetazione di Thurii. Qui i mutamenti della tipologia corrispondono al progressivo distacco della città dalla politica ateniese: un distacco che si fa definitivo quando la rappresentazione di una testa di Atena con elmo decorato dalla figura di Scilla si sostituisce a quella di un'Atena con elmo cinto di olivo d'ispirazione attica. C'è di più: in netto contrasto con Atene, ferma sostanzialmente ai canoni dello stile severo, Thurii aderisce alle forme della nuova arte fidiaca; e da Thurii lo stile attico s'irradia quasi naturalmente verso Velia e verso i centri di emissione campani. Uno stesso incisore lavora alla zecca di Thurii e a quella di Terina. Con la trasformazione della lega achea in italiota e con il trasferimento della sede federale dal Tempio di Zeus Homàrios a quello di Hera Lacinia, Crotone batte una serie straordinaria di stateri con al dritto una testa della dea con collana e alta stephàne decorata da palmette. Non è certo che nell'impostazione frontale dell'immagine della dea si possa scorgere un'eco delle pitture eseguite da Zeusi per il Lacinio verso la fine del V sec. (Cic., Inv., Ii, ι, 1). Più persuasivo è, invece, secondo Plinio (Nat. hist., XXXV, 36, 63), il richiamo a Zeusi per il tipo dell'Eracle bambino che strozza i serpenti associato, in un altro gruppo di stateri, a una testa di Apollo laureato, a significare la lotta della città e della lega contro i Lucani e contro Dionigi il Grande. Forse perché ritenuto emblema della confederazione, il tipo di Hera Lacinia si afferma nel breve periodo anche fuori Crotone. Significativa, la ripresa che se ne fa a Pandosia su pezzi che al rovescio presentano una figura di Pan, per la quale, ancora una volta, è stato chiamato in causa Zeusi, ma che di fatto non ha nulla del carattere ferino del Pan addormentato descritto da Filostrato (Im., II, 11, 2). Nello stesso periodo di tempo il nuovo tipo si afferma anche a Thurii, e da Thurii passa in Campania, in un contesto sufficientemente aperto alle influenze di Siracusa e di Terina. L'uso dei medesimi coni per emissioni di Napoli e di Cuma, oltre che di centri minori, ha fatto avanzare l'ipotesi che le diverse monetazioni fossero realizzate in un unico centro; ma non è escluso che si possa trattare dell'opera di uno stesso gruppo d'incisori incaricati di provvedere alla produzione di più officine monetarie. I decenni a cavallo fra V e IV sec. sono cruciali per la storia monetaria della Magna Grecia: gli indigeni conquistano Cuma e Posidonia e ne controllano la zecca; a Napoli e a Caulonia concordati e atteggiamenti di maggiore apertura fanno registrare l'intervento sempre più significativo nel procedimento della preparazione dei coni di maestranze di cultura non greca. Caduta Crotone in mano a Dionigi, la sede della lega italiota viene tra sferita a Eraclea; e qui la tipologia di Eracle in lotta con il leone nemeo, mutuata proprio dagli aurei siracusani, viene ripetuta con lo stesso significato di lotta della grecità contro il barbaro. Il riesame della sequenza dei coni di Metaponto ha consentito di definire il ruolo che nei mutamenti della tipologia fra V e IV sec. hanno avuto le raffigurazioni di Eracle, Apollo Carneio, Demetra (in coni incisi da Aristosseno), Dioniso e Pan. I rari pezzi di Locri con i tipi di Zeus e Eirene, considerati un'emissione isolata della prima metà del V sec., sono stati finalmente compresi, seppure con qualche dubbio, nel gruppo dei primi stateri «achei» riferiti correntemente all'epoca di Alessandro il Molosso, ma forse più tardi. Nuove ricerche intorno alla cronologia dei «cavalieri» di Taranto hanno messo in dubbio la corrispondenza di tipi e simboli con le vicende politiche della città; ma una più recente valutazione delle riconiazioni e delle associazioni dei ripostigli ha consentito di riportare allo scorcio degli anni Trenta gli stateri con il simbolo dell'aquila ad ali chiuse ritenuto, per il confronto con il rovescio di bronzi della tribù dei Molossi, l'emblema del sovrano epirota. Alle attività del Molosso in Italia meridionale rimanda anche la serie velina con una testa di Atena di prospetto firmata da Cleudoro.
c) Da Alessandro alla conquista romana. - Gli interrogativi sulla natura e sulla cronologia delle prime emissioni di Alessandro hanno consentito fra l'altro d'impiantare nuovamente il problema del contenuto della tipologia del sovrano. Si sono così potuti proporre per le raffigurazioni degli aurei (Atena con elmo corinzio e Nike stante con stylìs nella destra) un collegamento con il rovescio degli stateri di Corinto, sede del congresso panellenico, e un richiamo ad Atene vittoriosa sui barbari a Salamina. I tipi dell'argento riaffermavano, invece, per il tramite della testa di Eracle al dritto e dell'immagine di Zeus Aetophòros in trono al rovescio, la continuità del nuovo regno con le vicende della casa di Macedonia e la supremazia esercitata, finalmente, su tutta la Grecia. Non ci sono elementi per ritenere che sulle serie di argento battute da Alessandro si siano mai volute raffigurare, sotto quelle di Eracle, le fattezze del re. Qualche rassomiglianza fra il tipo dell'Eracle e i ritratti di Alessandro si può solo osservare nelle serie «postume» coniate ancora in suo nome: le uniche rappresentazioni di Alessandro che si conoscano su moneta, prima della sua morte, restano quelle dei «medaglioni» i di Poro e dei bronzi battuti a Memfi dopo il 332. Per le raffigurazioni di Alessandro sugli esemplari di Lisimaco e di Tolemeo Sotere è stata ribadita l'influenza dell'arte di Skopas e di Lisippo. Alessandro, e non più Seleuco, è stato riconosciuto nella testa maschile con elmo attico, corno di toro e scalpo di pantera su pezzi delle zecche di Persepoli e di Susa emessi dopo le campagne orientali del 304. Il ritratto del sovrano resta comunque l'oggetto privilegiato della ricerca. Affermatosi inizialmente in Egitto dopo il 304 al dritto dei nuovi aurei di Tolemeo Sotere e intorno al 300 su dramme ed emidramme di Demetrio Poliorcete della zecca di Efeso, esso non è più considerato isolatamente (nella presunzione di qualche sua autonomia), ma, come quello imperiale romano, quale elemento di un particolare sistema semantico teso a esprimere attraverso la forma specifici messaggi politici e ideologici. In questo senso sono state studiate, p.es., le rappresentazioni accoppiate di Alessandro Balas e di Cleopatra Thea, di Antioco Eupatore e di Laodice, di Antioco Epifane Filadelfo e di suo fratello Filippo. Motivazioni di carattere ideologico e politico (oltreché commemorativo) sono state proposte anche per la tipologia del rovescio: in primo luogo per le emissioni di Tolemeo Sotere e di Seleuco Nicatore.
Alla coniazione di tetradrammi con i vecchi tipi di Eveneto e di aurei esemplati su quelli di Filippo II, Agatocle di Siracusa fa seguire, durante il 305, un'emissione di pezzi di oro e di argento con i tipi di Atena alata e della Nike che erige un trofeo, i quali rinnovando il ricordo dell'impresa africana contro Cartagine contribuiscono a legittimare il suo dominio sull'isola. Nel 304 Agatocle assume, come i successori di Alessandro, il titolo di re. Ma la nuova titolatura non compare sulla moneta prima del 295 c.a, quando in relazione forse con i nuovi progetti di guerra contro Cartagine vengono emessi aurei con una testa di Atena al dritto copiata dagli stateri di Alessandro e un fulmine alato al rovescio derivato probabilmente dalla tipologia del Molosso. Il tipo del fulmine ricorrerà in seguito al rovescio di bronzi fatti coniare da Pirro a Siracusa e degli esemplari battuti da Gerone nei suoi tredici mesi di regno.
Sono legate alla campagna di Pirro in Italia le emissioni dei «cavalieri» di Taranto con il simbolo dell'elefante. A Eraclea gli stateri con i tipi di Atena con elmo cinto di olivo al dritto e di Eracle con cornucopia al rovescio alludono alla vittoria del 280; e, dopo la spedizione in Sicilia, la raffigurazione di Eracle incoronato da Nike diventa simbolo beneaugurante in vista dei nuovi scontri con Roma. Seguono il successo di Ascoli le serie metapontine degli aurei con Leucippo e degli stateri contrassegnati da simboli varí, ma unificati a gruppi dalla medesima sigla. L'alleanza con il monarca epirota è testimoniata anche dalle m. di Velia con al rovescio il simbolo del fulmine. Gli stateri di Locri con al rovescio la rappresentazione di Roma seduta e incoronata da Pistis, datati, per lo più, avanti la spedizione di Pirro, sono stati riferiti alla rinnovata alleanza con Roma dopo il 275.
A Crotone, e fors'anche a Petelia e a Cosenza, sono state coniate durante la seconda guerra punica le serie di oro, di argento e di bronzo con il nome dei Bretti. Le quali, effettuate per sopperire alle esigenze dell'esercito punico, al cui fianco le popolazioni indigene si erano schierate, esibiscono una tipologia rispondente in primo luogo, e proprio per il suo carattere «costruito», alle esigenze degli alleati. La ripresa di vecchi tipi, che erano stati della monetazione di Pirro, concordava con l'esigenza di Annibale di valorizzare, proprio come Pirro, in funzione antiromana l'elemento indigeno accanto a quello greco.
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Fra V e IV secolo: Per Samo, Cnido, Focea e Mitilene, Gela e Messana, Taranto, Metaponto, Crotone e Posidonia si veda anche la bibliografia citata al paragrafo precedente. - C. M. Kraay, Gli stateri a doppio rilievo di Poseidonia, in AttiMGrecia, n.s., VIII, 1967, pp. 113-135; J. P. Barron, The Fifth Century Diskoboloi of Kos, in Essays to E. Robinson, cit., pp. 75-89; L. Breglia, Lettura storica di una sequenza monetaria, in Omaggio a R. Bianchi Bandinelli (StMisc, XV), Roma 1970, pp. 13-26; C. G. Starr, Athenian Coinage 480-449 B.C., Oxford 1970; D. Bérend, Les tétradrachmes de Rhodes de la première période. Tentative de classement à la lumière d'une trouvaille, in SchwNR, LI, 1972, pp. 5-39; S. Lattimore, Lysippian Sculpture on Greek Coins, in CalifStClAnt, V, 1972, pp. 147-152; R. T. Williams, The Silver Coinage of the Phokians, Londra 1972; R. R. 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Da Alessandro alla conquista romana: Per Taranto, Velia e Metaponto si veda anche la bibliografia citata al paragrafo precedente. - G. K. Jenkins, Electrum Coinage at Syracuse, in Essays Robinson, cit., pp. 145-162; R. R. Holloway, The Thirteen-Months Coinage of Hieronymos of Syracuse, Berlino 1969; N. Davis, C. M. Kraay, The Hellenistic Kingdoms. Portrait Coins and History, Londra 1973; A. Massner, Zur Interpretation der Münzbildnisse des Hieronymos von Syrakus, in SchwMüBl, ΧΧΠΙ, 1973, pp. 41-46; R. Hadley, Royal Propaganda of Seleucus I and Lysimachus, in JHS, XCIV, 1974, pp. 50-65; id., Seleucus, Dionysus, or Alexander?, in NumChron, s. VII, XIV, 1974, pp. 9-13; C. Biucchi, Il sistema dei tipi monetali «a coppie» dei Bruzi, in NumAntCl, IV, 1975, pp. 73-81; A. Burnett, The Coinage of Rome and Magna Graecia in the Late Forth and Third Centuries, in SchwNR, LVI, 1977, pp. 92-121; M. Caccamo Caltabiano, Nota sulla moneta locrese Zeus/Roma e Pistis, in Studi in onore di A. Ardizzoni, I, Roma 1978, pp. 99-116; P. Williams Lehmann, New Light on Skopas, in BAmSocP, XV, 1978, pp. 67-71; M. J. Price, On Attributing Alexanders. Some Cautionary Tales, in Greek Numismatics and Archaeology, cit., pp. 241-250; B. R. Brown, Styles in the Alexander Portraits on the Coins of Lysimachus, in Coins, Culture and History in the Ancient World. Studies in Honour B. L. Trell, Detroit 1981, pp. 17-27; F. de Callatay, La date des premiers tétradrachmes de poids attique émis par Alexandre le Grand, in Revue beige de numismatique et sigillographie, CXXVIII, 1982, pp. 5-25; M. J. Price, Alexander's Reform of the Macedonian Coinage, in NumChron, CXLII, 1982, pp. 180-190; O. H. Zervos, Notes on a Book of Gerhard Kleiner, ibid., pp. 166-179; A. Stazio, Moneta e scambi, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Megale Hellas. Storia e civiltà della Magna Grecia, Milano 1983, pp. 103-169; A. Weigelt, Der sitzende Zeus auf den Alexander-Tetradrachmen der Münzstätte Tarsos, in SchwMüBl, XXXIII, 1983, pp. 77-80; Β. R. Brown, Art History in Coins: Portrait Issues of Ptolemy I, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di A. Adriani, II, Roma 1984, pp. 405-417; A. Stazio, Monetazione ed economia monetaria, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Sikanie, cit., pp. 79-122; F. van Keuren, The Late Staters from Heraclea Lucaniae (281-272): Additional Evidence on the Reduction of the South Italian and Romano-Campanian Standards, in La monetazione di Neapolis nella Campania antica, cit., pp. 413-424; G. Le Rider, L'enfant-roi Antiochos et la reine Laodice, in BCH, CX, 1986, pp. 409-417; B. Lichocka, La statue d'Aphrodite sur les monnaies de Ptolémée III, in Iconographie classique ..., cit., p. 311-320; W. Moore, The Divine Couple of Demetrius II, Nicator, and His Coinage, in MusNotAmNumSoc, XXXI, 1986, pp. 125-143; A. Houghton, The Double Portrait Coins of Antiochus XI and Philip I. A Seleucid Mint at Beroea?, in SchwNR, LXVI, 1987, pp. 79-84; id., The Double Portrait Coins of Alexander I Balas and Cleopatra Thea, ibid., LXVII, 1988, pp. 85-93; M. Taliercio Mensitieri, Osservazioni sulla monetazione dei Brettii, in P. Poccetti (ed.), Per un'identità culturale dei Brettii, Napoli 1988, pp. 225-242; E. Arslan, Monetazione aurea ed argentea dei Brettii, Milano 1989; P. G. Guzzo, I Brettii. Storia e archeologia della Calabria preromana, Milano 1989; A. N. Oikonomides, A Portrait of King Philip II of Macedonia, in The Ancient World, XX, 1989, 1-2, pp. 5-12; R. Fleischer, Physiognomie, Ideologie, dynastische Politik. Porträts seleukidischer Könige, in Akten des XIII. Internationalen Kongress für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, pp. 33-36; Η. Α. Cahn, Zum Alexanderbildnis der Lysimachos-Prägungen, in Die Münze. Festschrift für M. R. Alföldi, Francoforte 1991, pp. 84-98; M. J. Price, The Coinage in the Name of Alexander the Great and Philip Arrhidaeus. A British Museum Catalogue, I-II, Zurigo-Londra 1991; D. O. A. Klose, Von Alexander zu Kleopatra. Herrscherporträts der Griechen und Barbaren (cat.), Monaco 1992; Ν. F. Parise, La monetazione dei Bretti, in Crotone e la sua storia tra IV e III secolo, Napoli 1993, pp. 187-196.
(N. Parise)
Mondo Romano. - La bibliografia numismatica più recente si è arricchita di numerosi contributi riguardanti principalmente l'inquadramento cronologico della prima monetazione romana.
Le più antiche emissioni romane, due serie enee, sono concordemente collocate nell'ambito delle relazioni politiche intercorse tra Roma e Neapolis. Coniate nella città campana, esse sono strettamente collegate alle m. partenopee aventi medesimo stile e tipo datate tra il 326 e il 317/3 a.C. (Taliercio, 1986; ead., in corso di stampa). Pertanto le prime coniazioni romane sarebbero state battute tra il 320 e il 310 a.C. (Burnett, 1989). Assai più complessa e dibattuta appare la struttura della monetazione successiva che risulta essere composta da quattro elementi: m. in argento, emissioni in bronzo coniato, pezzi fusi di forma rotonda, ovvero l’aes grave, e barre fuse rettangolari, il c.d. aes signatum. Per alcuni studiosi esistono relazioni cronologiche e metrologiche tra queste diverse forme monetali che sarebbero state prodotte in un'unica zecca (Crawford, 1985, pp. 39-40; cfr. Burnett, 1989 con bibl.). Altri, invece, negano l'esistenza di un qualsiasi rapporto supponendo che, come le prime coniazioni di bronzo, anche quelle in argento siano da attribuire a una zecca diversa da quella di Roma che si riserbava la fabbricazione del solo aes signatum (Burnett, Hook, 1993). Secondo questa ipotesi, soltanto in un secondo momento, nel 270 a.C., la zecca sarebbe stata trasferita da Napoli a Roma, importando dall'Italia meridionale la tecnica monetale, i pesi e la percentuale di fino contenuta nei didrammi; quindi, successivamente alla metà del III sec. a.C., quando non fu più prodotto l’aes signatura e con la riduzione ponderale dell'aes grave e dell'argento, tutti gli elementi del sistema furono infine correlati tra loro. In questo senso, l'adozione di un tipo comune, quale la testa di Giano con o senza barba, per tutti i metalli coniati, se pur in molteplici zecche (Burnett, in corso di stampa), costituì l'ultimo gradino del processo d'integrazione. In precedenza, infatti, le raffigurazioni monetali romane erano caratterizzate da una varietà tipologica che non trova confronti in nessun'altra produzione magnogreca di età contemporanea (Burnett, 1986). Loro comune denominatore sembra essere stato un forte processo di ellenizzazione, con elementi iconografici che rimandano ad Alessandro Magno vittorioso o ad Atena in assetto di guerra, raffigurata talvolta con l'elmo attico o frigio (Burnett, 1986). Entrambe le rappresentazioni della testa della dea sono da assimilare alla personificazione di Roma (Crawford, 1974, pp. 721-723) che avrebbe, in seguito, costituito per un lungo periodo di tempo l'unico tipo monetale del diritto dei denari.
La creazione di questo nuovo nominale viene ormai unanimemente posta prima della distruzione di Morgantina, sulla base dei cospicui rinvenimenti di Serra d'Orlando (Buttrey, Erim, Groves, Holloway, 1989, pp. 220-226; Belloni, 1993, p. 48; Marchetti, 1993). Più dibattuta sembra essere l'identificazione del momento preciso in cui vennero emesse tali coniazioni e, di conseguenza, della collocazione cronologica delle serie immediatamente precedenti (Marchetti, Vignaux, 1991), sebbene sia necessario tener presente che i denari trovati nella località siciliana presentavano un ottimo stato di conservazione nonché numerosi legami di conio, evidenziando, in tal modo, una circolazione assai limitata.
Il cambiamento dei tipi monetali tradizionali del denario è messo in relazione con l'approvazione nel 139 a.C. della Lex Gabinia che consentiva il ballottaggio segreto durante le elezioni e permetteva l'utilizzo di tematiche legate alle famiglie dei monetieri a scopo propagandistico (Crawford, 1974, Ρ· 728). Il messaggio numismatico serviva a esaltare le virtù ancestrali (Classen, 1986) e i tresviri potevano ricordare, sui tipi monetali, i propri antenati che avevano contribuito alla grandezza di Roma, al fine di proporli come esempì da imitare o per approfittare del loro prestigio (Zehnacker, 1973, p. 481). Secondo un altro punto di vista questa forma di propaganda familiare sembra però essere una prerogativa più tarda di quanto si è soliti ammettere (De Rose Evans, 1989).
Sebbene negli ultimi anni gli studi numismatici riguardanti gli aspetti storico-artistici e tipologici della monetazione romana, a eccezione di alcuni contributi (cfr. bibl. in Belloni, 1993), non abbiano goduto di particolare fortuna, un serrato dibattito si è acceso tra gli studiosi a proposito della eventuale funzione «propagandistica» dei tipi e delle leggende. Una delle posizioni espresse (Jones, 1974, pp. 62-81) esclude che le rappresentazioni costituissero un mezzo di divulgazione degli ideali politici, tardo-repubblicani o imperiali, ipotizzando che la scelta dei tipi non dipendesse direttamente dall’imperator o dai suoi stretti collaboratori, ma fosse compiuta in modo poco sistematico, semplicemente adeguandosi alle linee generali del programma di governo (Burnett, 1987, p. 71). La funzione «propagandistica» verrebbe inoltre ridimensionata dal fatto che la maggioranza della popolazione, illetterata e incolta, non sarebbe stata in grado di comprendere il significato del messaggio trasmesso dal circolante (Crawford, 1983; Belloni, 1993, p. 61).
Diversamente, alcuni (Zehnacker, 1973, pp. XX-XXI; Sutherland, 1976, pp. 96-101; Sutherland, 1983) ritengono che proprio alla massa, al romano medio, al cittadino o al soldato, si sarebbe in realtà rivolto il linguaggio figurato delle monete, dal momento che l’élite colta e raffinata poteva usufruire di altri mezzi per conoscere l'indirizzo politico adombrato dai tipi. Altri ancora affrontano il problema da un punto di vista sostanzialmente diverso, ipotizzando che i dritti e i rovesci rappresentino l'immagine dell'autorità, cosicché il messaggio è parte integrante del processo di legittimazione della m. (Wàllace-Hadrill, 1986). Certo è che gli intenti propagandistici si rendono immediatamente evidenti in quelle emissioni che furono battute in momenti di crisi o di incertezza (Burnett, 1987, p. 72); un esempio rimarchevole è quello fornitoci da Ottaviano che utilizza il ritratto di Cesare al fine di dare una veste di legalità alla sua posizione. Nel caso di Ottaviano e Antonio si può parlare di un vero e proprio «dialogo numismatico» (Newman, 1990): ognuno di essi dimostra attenzione costante per le tipologie monetali dell'altro, mettendo in luce, fin dal 43 a.C., una forte rivalità.
Nella lotta per la conquista del potere assoluto perfino lo stile, non solo il contenuto delle immagini, verrà utilizzato in ambito politico (Zanker, 1989, p. 71). Le monete, datate da alcuni studiosi tra il 32 e il 27 a.C. (Sutherland, 1984, pp. 30-31 e pp. 59-60; Carson, 1990, p. 5), raffiguranti la testa di Ottaviano priva di qualsiasi leggenda secondo la maniera dei dinasti ellenistici (Walker, Burnett, 19.81, pp. 18-19), con rappresentazioni illustrative sui rovesci che rimandano all'idea della vittoria, sarebbero tutte da collocare in un ambito cronologico di poco antecedente la battaglia di Azio (Giard, 1984; Zanker, 1989, p. 62): successivamente, infatti, la politica culturale di Ottaviano avrebbe rifiutato il/linguaggio della retorica «asiana», simbolo dei vizî e della corruttela orientale rappresentata da Antonio, assumendo nuovi caratteri stilistici, di genere «atticistico» (Zanker, 1989, p. 71). L'adozione di un nuovo ritratto, secondo i modelli classici policletei, permette di cogliere in modo immediato il cambiamento ideologico, sebbene le raffigurazioni numismatiche, a differenza di quelle scultoree, testimonino un passaggio graduale da una tipologia a un'altra, senza evidenziare una precisa rottura (Burnett, 1987, p. 73). Secondo un altro punto di vista (Pollini, 1993), dopo la battaglia di Azio Ottaviano avrebbe manifestato l'intenzione di costituire un governo apertamente autocratico, dal momento che sulle monete si sarebbe fatto rappresentare sotto sembianze divine. In seguito, nel 27 a.C., egli avrebbe rivisto tale posizione, confinando all'arte non ufficiale gli attributi divini conferiti alla sua persona.
Sulle monete l'immagine dell'imperatore rimase deliberatamente invariata nonostante l'avanzare dell'età del sovrano, non registrando alcuna senilità nei lineamenti, se non per una lieve maturazione dei tratti somatici (Bastien, 1992, pp. 17-18). Tutto quésto doveva rappresentare il segno della duratura stabilità del suo governo (Burnett, 1987, p. 74). Sui differenti rovesci monetali furono di volta in volta rappresentati, con diversa enfasi, gli ideali o le attività dell'imperatore, in modo, però, non sistematico (Burnett, 1987, p. 75). Anche i tipi monetali provinciali, che fino a quel momento avevano mantenuto le loro caratteristiche tradizionali (Crawford, 1985, pp. 256-275), adottarono sulle nuove emissioni il ritratto di Augusto, privo di attributi divini (Burnett, Amandry, Ripollès, 1992, pp. 38-40). È oltremodo difficile asserire se questo cambiamento sia stato ufficialmente imposto o se lo si debba considerare quasi una forma spontanea di riconoscenza verso l'operato del princeps (Burnett, 1987, p. 81). È stato infatti suggerito che in generale il potere dei nuovi simboli si diffuse con tutti i mezzi a disposizione, sebbene non si possa parlare di una vera e propria strategia occulta volta a propagare il rinnovamento della romanità (Zanker, 1989, pp. 108-110).
I successori di Augusto modellarono il loro ritratto su quello adottato dal fondatore della dinastia, spesso sottolineando, sui tipi monetali, la loro relazione di parentela con il fondatore dell'impero (Burnett, 1987, p. 73). Anche il sistema monetale riformato da Augusto, con emissioni in oro e argento coniato a Lugdunum e con pezzi bronzei e in oricalco battuti a Roma, rimase pressoché invariato nei decenni seguenti, sebbene non vi sia accordo tra gli studiosi sulla data di chiusura della zecca di Lione per la produzione dei metalli preziosi. Taluni (Sutherland, 1984, pp. 104-5; von Kaenel, 1986, pp. 210-221) ritengono che l'età di Caligola costituisca il momento più indicato, dal momento che i denari e gli aurei di Gaio e quelli coniati dal suo successore non documentano alcun tipo di discontinuità; Claudio avrebbe dunque battuto tutte le monete nella zecca di Roma, interrompendo nel 43 l'emissione del bronzo e dell'oricalco (von Kaenel, 1986, pp. 226-233), la cui produzione non sarebbe stata più ripresa fino al 62 (Mac Dowall, 1979, pp. 68-73). Altri, invece (Savio, 1988, pp. 52-76, con bibl.; Metcalf, 1989) propongono la data del 64 per il trasferimento della zecca, riscontrando fino a quel momento una uniformità oltre che stilistica anche metrologica, evidente pure nella forma del tondello e nelle leggende monetali.
Con Nerone vengono adottati nuovi canoni artistici che testimoniano l'uso dell'altorilievo e denotano un maggior realismo nell'incisione monetale (Burnett, 1987, pp. 7577). Criteri stilistici e tipologici consentono di distinguere l’aes riformato in due categorie, che attestano l'esistenza di due zecche, una caratterizzata dalla presenza di un globetto posto sotto il collo del ritratto (Lugdunum), l'altra da una migliore tecnica nel modellato (Roma) (Mac Dowall, 1979, pp. 15-24).
Sebbene Nerone venga rappresentato in modo realistico, egli non disdegna l'uso di elementi simbolici attinenti alla sfera divina, quali l'egida o la corona radiata (Bastien, 1992, pp. 106-107). Tali caratteristiche non furono assunte dai successivi imperatori, che preferirono un'iconografia più vicina alla tradizione repubblicana. Al contrario elementi «neroniani» sono presenti nelle raffigurazioni monetali domizianee, dove si riscontra la medesima stretta correlazione tra la divinità e l'imperatore (Carradice, 1983, p. 148).
Il simbolismo divino fu comunque particolarmente utilizzato nei due secoli seguenti, costituendo un momento significativo dell'iconografia degli imperatori pagani (Burnett, 1987, p. 77). L'uso delle personificazioni quali Pietas, Providentia, Liberalitas sui rovesci monetali appare in modo sporadico nella prima età imperiale, divenendo un soggetto comunemente inciso in epoca successiva. Dapprima le personificazioni rappresentano le qualità con cui ogni imperatore vorrebbe essere identificato, successivamente possono sostituire un'immagine complessa, quale p.es. la distribuzione dei donatives da parte dell'imperatore, attraverso la semplificazione della raffigurazione per mezzo di Liberalitas (Burnett, 1987, pp. 78-79).
Differenti tipi di rovescio possono essere coniati simultaneamente, determinando difficoltà nell'arrangiamento cronologico; un tentativo di correlazione delle diverse serie è stato compiuto per le coniazioni di Marco Aurelio e Commodo (Szaivert, 1986).
L'incisione di numerosi tipi monetali in un medesimo periodo di tempo viene giustificata ipotizzando il lavoro di più officine; tale processo di fabbricazione è però riscontrabile in modo oggettivo soltanto nel 248, cioè sugli antoniniani recanti il marchio di officina e prodotti in occasione della celebrazione della millenaria fondazione di Roma (Carson, 1990, p. 144).
Nella seconda metà del III sec. il numero delle zecche aumentò considerevolmente, così come la massa monetaria in circolazione. I tipi utilizzati in questo periodo presentano numerosi riferimenti alla sicurezza militare dell'impero e anche l'iconografia imperiale subì delle trasformazioni in questo senso (Doyen, 1984).
Poiché la produzione monetaria era affidata a zecche disperse all'interno del territorio romano, per lungo tempo, fin oltre la morte di Costantino, non esistette un'uniformità tipologica assoluta (Kent, 1981, p. 32).
Il ritratto dell'imperatore in vesti militari rappresenta il tipo più diffuso delle emissioni del IV e del V sec., caratterizzato da uno stile alquanto impersonale, distaccato dall'arte classica, ma consapevole di un sentimento nuovo che vuole la maestà imperiale immune da qualsiasi umana debolezza (Grierson, Mays, 1992, pp. 73-74). Tali peculiarità si vennero accentuando nell'adozione del nuovo busto imperiale ripreso frontalmente, espediente che impediva la resa fedele dei tratti somatici (Bastien, 1992, pp. 312-320).
Visibilmente in contrasto con i dritti monetali e con i precetti della nuova religione a cui si era convertito l'imperatore Costantino, i rovesci assumono spesso caratteristiche di natura brutale, rappresentano barbari trascinati per i capelli o infilzati dalla lancia o calpestati (Grierson, Mays, 1992, pp. 79-80).
In seguito all'espansione del cristianesimo, si assiste, nel corso del IV sec., alla sparizione delle divinità pagane nella tipologia monetale (Burnett, 1987, p. 145). Anche se tale cambiamento non avvenne in maniera improvvisa, ma in modo graduale, soltanto tre personificazioni, ovvero Roma, Costantinopoli e Vittoria, continuarono a essere incise mentre di Virtus, Pax e Securitas si ha testimonianza solo nella leggenda monetaria (Grierson, Mays, 1992, p. 78).
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(M. C. Molinari)
Per la monetazione celtica v. celtica, arte.
Fenicia e Cipro. - La monetazione fenicia registra, rispetto alle prime esperienze greche, un ritardo di quasi un secolo ponendosi, secondo i più recenti studi, nella prima metà del V sec. a.C. A tale epoca è datata da G. Elayi la più antica monetazione di Biblo con al dritto il tipo della sfinge con la doppia corona egiziana e al rovescio il doppio fiore di loto stilizzato. La serie si distingue dalle successive emissioni di Biblo in quanto battuta su piede attico e non su quello fenicio del peso teorico di g 7,50. Con la metà del V sec. a.C. anche Tiro e Sidone battono m. autonoma, mentre Arado inizierà a coniare soltanto intorno all'ultimo quarto del V sec. a.C. Le più antiche emissioni dei quattro centri fenici presentano tutte la particolarità tecnica di combinare parti incuse con parti in rilievo. Da recenti studi (peraltro in fase iniziale) sta inoltre emergendo che altri centri della Fenicia dovettero battere m. autonome durante il dominio persiano. A Tripoli è stata attribuita una monetazione in argento datata al IV sec. a.C. con la leggenda ‛tr, intesa come il nome fenicio del centro; ad Ascalon potrebbero essere pertinenti m. che presentano un'epigrafe interpretata come l'abbreviazione del toponimo ‛[šql]n.
Meglio conosciute, nonostante le difficoltà di interpretazione e di datazione relative alle emissioni anepigrafi in argento e bronzo, sono le serie pertinenti alle città di Biblo, Tiro, Sidone e Arado. Biblo (in fenicio gbl) oltre a essere il primo centro a coniare m. autonoma si distingue dalle altre città per la varietà delle raffigurazioni rappresentate. Soltanto con le serie degli ultimi tre sovrani ('Azziba‛al, Adarmilk, Ainel) la tipologia si fissa con la rappresentazione sul dritto della nave e sul rovescio del leone che abbatte il cervo. L'evoluzione interna della monetazione gublita va dalle tipologie di ispirazione egittizzante (la sfinge, il leone, il grifone, l'avvoltoio) a quelle più tipicamente fenicie, con il motivo della nave, progressivamente arricchita di particolari quali l'ippocampo, la linea del mare, il numero crescente degli opliti, la conchiglia. Tale particolarità è stata interpretata come una diversa funzione della monetazione di Biblo rispetto a quella delle altre città fenicie. Destinata a una circolazione regionale, questa è attenta ai temi di tradizione locale, mentre le emissioni di Tiro e di Sidone, destinate a inserirsi e integrarsi nel circuito monetale internazionale vicino-orientale, presentano tipologie ispirate alla tradizione achemenide. Le m. di Biblo si distinguono, inoltre, per l'adozione tardiva della leggenda, che compare soltanto con le serie del sovrano Elpa‛ol del 375-365 a.C. con al dritto la nave su linea del mare, tre opliti e sotto ippocampo o conchiglia e al rovescio il leone che sbrana il toro e la leggenda ‛lρ ‛l mlk gbl. La leggenda risulta di particolare importanza, in quanto è l'unica che fa puntuale riferimento al re (mlk) di Biblo. La monetazione autonoma del centro cessa, come in tutte le altre città della Fenicia, con la conquista di Alessandro nel 332 a.C.
Con la metà del V sec. a.C. iniziano le emissioni di Tiro e Sidone. Tiro (in fenicio ṣr) durante l'epoca persiana mantiene il suo prestigio e batte m. subito dopo Biblo. L'influsso egiziano è individuabile anche nella più antica monetazione in argento di Tiro, che presenta al dritto una divinità su un ippocampo alato e conchiglia e al rovescio la civetta con scettro e flabello. Nel corso della prima metà del IV sec. a.C. si registrano le prime emissioni in bronzo che ripropongono gli stessi tipi dei divisionali in argento: l'ariete, il delfino, la conchiglia, l'albero di cedro, il satiro. Le m. di Tiro riportano già negli esemplari più antichi la leggenda in caratteri fenici. Si tratta della registrazione del valore della m., šlšn «un trentesimo (di mina)»; mḥṣ ksp «mezzo (pezzo) d'argento». Nel corso del IV sec. a.C. sono riportate cifre da intendersi come l'indicazione dell'anno di emissione. Durante la rivolta del 352 a.C. Tiro sostituisce al tradizionale piede ponderale fenicio quello attico lasciando inalterate le tipologie. Tale cambiamento nella politica monetale della città si può intendere come il tentativo di aprirsi a un circuito monetale diverso da quello tradizionale e che già interessava aree come la Palestina e l'Egitto. Con la fine della rivolta a Tiro, così come ad Arado, è ripristinato il sistema persiano.
Sidone (in fenicio ṣdn) inizia la coniazione della propria m. autonoma con la metà del V sec. a.C. La città è in epoca persiana il centro egemone della regione fino alla rivolta contro Artaserse III (352 a.C.), in seguito alla quale il predominio passa a Tiro. Le più antiche emissioni in argento di Sidone sono battute sul piede fenicio e presentano al dritto l'arciere e al rovescio la nave con vela triangolare senza le linee ondulate che rappresentano il mare. Le successive emissioni registrano il motivo del re persiano che tende l'arco, del carro con personaggio regale e auriga a cui si aggiunge, nelle serie attribuibili a Ba‛alšillem II (395-375 a.C.), un terzo personaggio che segue a piedi il carro, forse il re di Sidone nelle vesti di gran sacerdote. Durante il regno di Ba‛alšillem I (435-430 a.C.), le m. riportano inoltre le mura turrite della città che fanno da sfondo alla nave e alle prime abbreviazioni dei nomi dei re in lettere fenicie. L'apparizione delle sigle sembra coincidere con la normalizzazione e l'incremento della produzione monetale del centro. Le abbreviazioni, infatti, caratterizzano da questo momento la monetazione sidonia fino alla conquista di Alessandro, a eccezione delle m. legate alla rivolta del 365-364 a.C. e del 352 a.C. In quest'ultimo periodo la città passa sotto il diretto controllo del satrapo di Cilicia, Mazaios, che adotta tipologie differenti e registra il proprio nome in aramaico mzdy, abbreviato sui nominali minori in mz.
La monetazione in bronzo compare a Sidone nella prima metà del IV sec. a.C. e presenta le stesse tipologie dell'argento. Le serie monetali di Sidone sono quelle che maggiormente si adeguano al repertorio iconografico achemenide e riflettono le diverse fasi dei rapporti politici tra il centro fenicio responsabile della flotta e l'impero persiano.
Arado, in fenicio ‛rwd, durante il periodo persiano è stata una delle grandi città fenicie anche se probabilmente era sottoposta all'egemonia di Sidone. Tuttavia, non è ancora chiaro quale fosse il reale status politico della città. Le prime emissioni del centro risalgono alla fine del V sec. a.C. e presentano una tipologia che si distingue nettamente dal repertorio achemenide adottato dalle altre città fenicie. Il dritto delle più antiche serie di Arado presenta una divinità ittiforme e, al rovescio, la nave con sotto un cavallo marino. Le successive emissioni della prima metà del IV sec. a.C. hanno al dritto la testa di una divinità maschile barbata e laureata e la leggenda m’‛, interpretata come l'abbreviazione dell'espressione «di A(rwad)». Sulle m. dell'ultimo re di Arado, Ger‛aštart (339-338 a.C.), compare, infine, la datazione della serie riferita all'anno del regno del sovrano.
La storia monetale autonoma delle città fenicie termina con la conquista di Alessandro. Durante il dominio del sovrano macedone Tiro, Sidone, Arado, ‛Akko diventano zecche reali utilizzate successivamente anche dai Seleucidi e dai Lagidi. Con il II sec. a.C. gli stessi centri battono nuovamente monetazione autonoma riproponendo e rielaborando temi di antica tradizione religiosa fenicia. Iconografie, queste, che caratterizzeranno tutta la produzione delle emissioni bronzee romano-imperiali.
Strettamente legata alle monetazioni prealessandrine delle città della Fenicia sono le emissioni di Cipro. Il centro più importante dell'isola, Kition, in fenicio kt(y), coniò m. a leggenda fenicia dalla fine del V sec. a.C. Le sue più antiche monete, battute sul piede persiano, presentano al dritto il leone accovacciato e il rovescio liscio. I tipi di Eracle con mazza, che compare durante il regno di Ba‛almilk I (479-449 a.C.), e quello del leone che assale il cervo assunto da ‛Azziba‛al (449-426 a.C.) in seguito alla vittoria dei Persiani sui Greci sono quelli che caratterizzeranno le emissioni del centro fino alla fine della dinastia fenicia nel 312 a.C.
Con l'ultimo re di Kition, Pumayyaton (361-312 a.C.), sono battute le uniche emissioni in oro pertinenti alle città fenicie d'Oriente.
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(L. I. Manfredi)
Iran. - Achemenidi. - È stato proposto di recente che i più antichi coni achemenidi erano m. auree basate sul tipo degli stateri del regno lidio: dritto con parti anteriori di un leone e di un toro affrontati; rovescio con due incusi affiancati. La loro coniazione ebbe inizio subito dopo la conquista di Sardi, la capitale lidia, da parte di Ciro il Grande nel 546 a.C. e proseguì nel regno del suo successore, Cambise, e nei primi anni di Dario I (522-486 a.C.). Quest'ultimo introdusse un nuovo tipo monetario, contraddistinto dall'iconografia iranica dell'«arciere regale»: diritto, figura di sovrano in corsa (0 inginocchiato), con lancia e arco e corona regale (kìdaris). Presso le popolazioni iraniche, l'arco era generalmente considerato simbolo di autorità, tanto che le sue rappresentazioni finirono per essere connesse con le cerimonie di investitura. Questi stateri o dareikòi (dall'antico persiano *dari, «d'oro») costituiscono il tipo principale di m. auree persiane sino alla fine dell'epoca achemenide. I darici aurei seguivano l'unità ponderale antico-babilonese di 8,36 grammi. Oltre a essi erano coniate m. d'argento, i sìgloi da 5,57 g (si rispettava il rapporto oro/argento di 1:131/3, di modo che 20 sìgloi equivalevano a un darico), anche questi con l'immagine dell'«arciere regale». Le m. auree e argentee persiane circolavano principalmente nelle regioni occidentali dell'impero, ossia l'Asia Minore e il Mediterraneo. Non vi sono dati che testimoniano la coniazione o la circolazione di m. di qualsiasi tipo nelle regioni orientali. Nel IV sec. a.C. furono emesse m. argentee a nome di diversi governatori provinciali persiani, che portano varî motivi, tra cui i ritratti dei satrapi che le coniavano e i loro nomi in aramaico o in greco. Poiché la maggior parte di esse proviene da città dell'Asia Minore, ed è opera di incisori di coni della Ionia, è più corretto inquadrarle nell'ambito della numismatica greca. Alcune tra le immagini rappresentate su di esse, tuttavia, sono specificamente iraniche, quali lo spirito alato («Ahura Mazda») su m. di Tiribazos, il satrapo di Sardi sotto Artaserse II, ο l'«arciere su trono» su quelle coniate a Tarso dal satrapo cilicio Datamas.
Età ellenistica. - Alessandro Magno e alcuni dei suoi immediati successori continuarono per breve tempo a coniare darici aurei di tipo achemenide, introducendo, inoltre, i darici doppi. Durante il regno dei primi dinasti seleucidi - Seleuco I, Antioco I e Antioco II - m. argentee e bronzee furono coniate in diverse zecche iraniche: Susa, Ecbatana, Rhaga, Hekatompylos, forse Persepoli (con Seleuco I) e in due o tre altre zecche non ancora localizzate con precisione. Il sistema di zecche introdotto dai Seleucidi fu successivamente ereditato dalla dinastia degli Arsacidi, che gradualmente conquistarono gran parte dei possedimenti un tempo achemenidi. Le m. seleucidi coniate all'interno del territorio dell'attuale Iran rivelano la regolare serie di tipi caratteristica della monetazione seleucide, il principale dei quali era costituito dai tetradrammi del tipo postumo di Alessandro con, sul verso, la rappresentazione di Zeus su trono (Seleuco I) o di Apollo seduto su un omphalòs con un arco nella mano (Antioco I e Antioco II).
Arsacidi. - La Partia, una provincia iranica settentrionale di scarsa imporanza in epoca achemenide, divenne il cuore di un nuovo stato iranico dopo essersi ribellata al dominio seleucide nella metà del III sec. a.C. Diversi studiosi suggeriscono che le prime m. coniate dalla Partia indipendente erano in realtà gli enigmatici stateri aurei, quasi tutti provenienti dal famoso Tesoro dell'Oxus, recanti alcuni una leggenda greca con il nome di Andragora, riferito al governatore macedone della provincia sotto Antioco II, altri i nomi di Andragora e Wakhšuvar in scrittura aramaica: questa attribuzione, tuttavia, non è ancora provata. Le prime dramme arsacidi della Partia ascritte dai numismatici ad Arsace I, il fondatore della nuova dinastia, e ad Arsace II, il suo successore, riportano sul diritto una testa sbarbata coperta da una kyrbasìa (una sorta di bašlïk) diademata, sul rovescio un arciere sul trono. Benché ispirato a una concezione puramente iranica, il tipo con arciere seduto potrebbe essere stato in una certa misura influenzato dalle rappresentazioni di Apollo con arco su monete seleucidi. Il personaggio raffigurato è lo stesso Arsace I o un antenato divinizzato. Il tipo appena descritto rimase quello prevalente durante l'epoca arsacide. Gran parte delle più antiche m. partiche presentano leggende greche, e soltanto alcune emissioni recano brevi iscrizioni aggiuntive in caratteri aramaici. Inizialmente le leggende si limitavano al titolo regale e al nome dinastico: baσiaeqc αρσακου, «del re Arsace». Successivamente esse divennero più complicate, arricchendosi di nuovi titoli aggiuntivi. Per qualche ragione gli Arsacidi non utilizzarono i loro nomi propri nelle leggende monetali almeno fino agli inizî dell'era cristiana, il che rende difficile l'attribuzione di alcune delle loro emissioni. Le prime m. arsacidi erano leggermente scifate. Nello stile e nella fattura è molto evidente l'influsso ellenistico e si considera plausibile l'ipotesi che i Parti avessero assunto la tecnologia monetaria dalla Battriana. Il peso della m. d'argento partica, c.a 4 g, era equivalente a quello della dramma attica. Benché la zecca delle prime m. partiche non sia localizzabile con precisione, è presumibile che essa si trovasse nell'Iran settentrionale o nell'attuale Turkmenistan meridionale.
Dopo la breve interruzione causata dalla riconquista seleucide sotto Antioco III (223-187 a.C.), la coniazione delle m. partiche riprese con Mitridate I (c.a 170-138 a.C.), che gradualmente sottrasse ai Seleucidi tutti i possedimenti iranici. Le prime dramme di Mitridate I coniate nell'Iran del Nord seguono il tipo arsacide iniziale, mentre le sue m. più tarde, con busto diademato del sovrano sul diritto, rivelano l'influsso dei tipi monetari ellenistici. Mitridate le coniò a Ecbatana, nella zecca già seleucide, insieme a diversi nominali bronzei. Alla fine del suo regno risalgono i primi tetradrammi partici, coniati a Seleucia sul Tigri, la città principale della Babilonia, appena sottratta dal sovrano arsacide ai Seleucidi. Quasi tutti gli esemplari di tetradrammi partici provengono da Seleucia: essi circolavano principalmente nella Babilonia, mentre in Iran erano più comuni le dramme.
L'introduzione di marchi di zecca sotto Fraate II (138127 a.C.) dimostra che, oltre alle zecche urbane permanenti, le dramme partiche erano spesso coniate da una zecca itinerante di corte che seguiva il re nelle sue campagne. Su di esse si trovano i nomi di Rhaga (Rayy), Nisa, Tambrax, Margiana e di alcune altre città o provincie non ancora identificate. Le emissioni di Ecbatana, capitale della Media, spesso erano prive di marchi di zecca. Fraate II, Artabano I (127-123 a.C.) e Mitridate II (12387 a.C.) imprimevano i marchi di zecca sul diritto delle loro m., sullo sfondo dei ritratti. Sotto Fraate III (c.a 7058 a.C.) fu definito un sistema di marchi di zecca abbreviati, ossia monogrammi composti da due o tre lettere: A+T per Ecbatana, Ρ + Γ per Rhaga, Μ+Τ+Θ per Mihrdatkert, ΝI per Nisa, ecc. Questi erano impressi sul rovescio, al di sotto dell'arco tenuto dall'arciere regale. Gran parte di essi sono stati decifrati.
Lo studio dello stile degli incisori di coni partici dimostra che spesso uno stesso incisore era impiegato simultaneamente in due o tre zecche, essendo il prodotto del suo lavoro sufficiente a esaudire il numero di coni richiesto da esse. Così, nella metà del I sec. a.C., l'incisore di Ecbatana forniva anche le zecche di Laodicea (Nehāvand) e Konkobar (Kangāvar); quelle di Nisa, Mihrdatkert e della Margiana erano rifornite da un altro incisore attivo in numerose città nelle provincie orientali dell'impero. Anche le m. bronzee erano prodotte da diverse zecche. La gamma dei motivi impressi sul rovescio, agli inizî del I sec. a.C. limitata più spesso a pochi tipi (un cavallo, una protome equina, un arco nella custodia), aumentò a partire dalla metà e, soprattutto, dalla fine del secolo.
In alcune zecche i motivi del verso delle m. bronzee venivano modificati annualmente; tale pratica era seguita dalla zecca di Susa nella prima metà del I sec. a.C.; emissioni annuali erano prodotte a Ecbatana sotto Artabano II (10-38 d.C.), il quale, inoltre, spesso ribatteva le sue stesse m. soltanto per portare sul rovescio tipi più recenti. Date basate sull'era seleucide (che ebbe inizio nel 313 a.C.) compaiono di regola sui tetradrammi partici del regno di Orode II (57-38 a.C.), benché anche diverse m. partiche di epoca anteriore (tetradrammi e dramme di Mitridate I e Artabano I) siano datate. Dagli inizî dell'era cristiana la coniatura di dramme partiche si concentrò principalmente a Ecbatana. Numerose altre zecche cessarono del tutto di battere m., mentre alcune Provincie, quali la Margiana e il Sakastān, diventarono di fatto regni semi-indipendenti, i cui governanti, imparentati alla dinastia arsacide, cominciarono a emettere m. a proprio nome.
Tra il I e gli inizî del III sec. d.C. le m. partiche mostrano una marcata tendenza alla schematizzazione. Le loro leggende greche, che a partire dal regno di Orode II si erano ridotte a una formula rigida senza titoli individuali, divennero quasi illeggibili. Insieme a esse, furono introdotte leggende partiche in una scrittura derivata dall'aramaico, con i nomi propri dei sovrani (mentre nella leggenda greca corrotta si preservava ancora il nome dinastico di Arsace); vi sono dramme con i nomi di Vologese, Mitridate e Osroe. Nella tarda epoca partica i ritratti regali presentano scarsi tratti individuali; i sovrani sono raffigurati con diademi e tiare diademate, a volte con ornamenti individuali o con un numero variabile di nastri che aiutano a distinguere le emissioni dei diversi re. Lo stesso discorso vale per i tetradrammi tardo-partici emessi in gran numero dalla zecca di Seleucia. Oltre alle datazioni essi recano di solito i nomi dei mesi del calendario macedone ancora in uso nelle pòleis ellenistiche soggette al dominio partico.
Queste m., coniate in argento di bassa lega, avevano più che altro un valore simbolico, privo di rapporto con la quantità di metallo prezioso.
Monetazione sub-arsacide. - Fā̄rs. - Questa provincia dell'Iran meridionale, che aveva dato origine alla dinastia achemenide, fu probabilmente il primo dei possedimenti seleucidi a divenire in pratica indipendente e a battere m. propria. Le fonti letterarie non forniscono dati sull'arrivo al potere della nuova dinastia di governanti del Fārs, ma le loro m. testimoniano che un certo Bagadate cominciò a coniare m. d'argento a proprio nome, forse intorno alla metà del III sec. a.C. I governanti del Färs, che inizialmente si fregiarono del titolo di frātadāra o fratarakā, erano, rispetto agli Arsacidi, più conservatori e meno aperti all'influsso ellenistico, e le loro m. presentano in genere soltanto motivi iranici: il ritratto del governante con il capo coperto dal bašlïk satrapale sul diritto, un altare a gradini con un adorante su un lato e sovrastato dall'immagine di Ahura Mazda, oppure un tempio del fuoco achemenide, associato alla Ka‛aba-ye Zardošt, sul rovescio. Tutte le leggende delle più antiche serie monetarie erano in scrittura aramaica. Nel I sec. a.C. furono sostituite da leggende in pahlavī (con una scrittura derivante dall'aramaico). A partire dal regno di Dario I (seconda metà del II sec. a.C.) il titolo di mlk («re») soppiantò il precedente titolo frātadāra. Nella quasi totale assenza di dati concernenti la genealogia dei primi cinque o sei sovrani del Fārs o la cronologia dei loro regni, le m. costituiscono, a tale riguardo, la principale fonte di informazioni. I tipi di m. coniati in quest'epoca nel Fārs non denotano alcuna dipendenza da modelli ellenistici o partici e non offrono paralleli iconografici utili a una loro datazione precisa. I nominali maggiori, i tetradrammi (basati sulla unità di peso attica), furono coniati solo dai primi governanti: Bagadate, Vahubarze e Vatafradate (senza contare un'emissione anonima anch'essa attribuibile al gruppo più antico). Tutti i sovrani successivi emisero soltanto dramme, emidramme e nominali più piccoli.
Secondo la maggior parte degli studiosi, l'emissione di m. nel Fārs conosce una temporanea sospensione sotto Mitridate II di Partia (123-87 a.C.), per essere ripristinata da Dario II (circa secondo quarto del I sec. a.C.). A partire da quell'epoca la monetazione del Fārs rivela una più marcata dipendenza dai prototipi partici: i re portano alte tiare simili a quelle di Mitridate II e dei suoi successori, corone murali o semplicemente diademi. A partire da Dario II i re del Fārs cominciarono a menzionare nelle leggende monetali i nomi dei loro padri, elemento che, insieme ai confronti iconografici, costituisce un ausilio per stabilire la sequenza dei loro regni. Dario II era figlio di Vatafradate II, Artaserse II e Vahušatr erano figli di Dario II, Namopate di Artaserse II, Pacore di Vahušatr, Kavad di Namopate, ecc. A partire da Pacore compaiono sul rovescio delle dramme ritratti regali, ovviamente raffiguranti i padri dei sovrani. Come quelle partiche, le m. del Fārs di I-II sec. d.C. recano immagini schematiche, tuttavia le iscrizioni palliavi restano leggibili. La dinastia del Fārs continuò fino agli inizî del III sec. d.C. I suoi ultimi sovrani, Manuščehr I e II e Artaserse IV, si attennero al tipo ormai tradizionale di ritratto paterno.
La dinastia dei Sasanidi, che nel 209 d.C. assunse il potere nella provincia, continuò per qualche tempo a utilizzare il medesimo modello iconografico.
Elimaide. - Piccolo stato nell'Iran sud-occidentale, nella prima metà del II sec. a.C. dipendente dai Seleucidi; nel 140-139 a.C. fu sottomesso da Mitridate I di Partia. Le prime m. della Susiana, coniate a nome di Kamniskire I, risalgono alla metà del II sec. a.C. Per iconografia e stile esse seguono il modello seleucide: ritratto diademato del sovrano, sul diritto, Zeus sul trono o Apollo seduto sull’omphalòs con un arco nella mano, sul rovescio. Le leggende sono in greco. Sono noti i nomi dei successori del primo Kamniskire: Kamniskire II, Okkonapse, Tigraios e Kamniskire III. In Elimaide furono coniati tetradrammi, dramme e nominali in bronzo, inizialmente a Susa, poi, in seguito alla conquista partica della Susiana, a Seleucia sull'Hediphontes. Dall'80 a.C., ossia dall'epoca di Kamniskire IV e della regina Anzaze, l'iconografia monetale subì fortemente l'influsso dei prototipi partici. I tetradrammi e le dramme della seconda metà del I sec. a.C.-I sec. d.C. furono coniati in metallo di bassa lega, e sono persino attestati tetradrammi bronzei placcati in argento. Le rappresentazioni su queste m., basate sul modello iconografico di Kamniskire IV, assunsero carattere sempre più schematico. Nel primo quarto del II sec. d.C. le iscrizioni greche, ormai quasi illeggibili, furono integrate da leggende in aramaico contenenti i nomi e i titoli dei re. Il primo a introdurle fu Kamniskire-Orode. In quell'epoca la Susiana recuperò i possedimenti della dinastia kamniskiride. La sua zecca emetteva nominali equivalenti alla dramma (con una percentuale di argento ormai quasi nulla), mentre Seleucia sull'Hediphontes era specializzata nella produzione di tetradrammi. La monetazione dell'epoca in questione è nota da un gran numero di esemplari. Dalla metà del II sec. d.C. la coniazione subì in Elimaide una momentanea sospensione, di certo a causa dell'interferenza delle autorità partiche, per riprendere intorno alla fine del secolo e continuare fino all'avvento dei Sasanidi.
Characene. - Nella Characene (Mesene), già provincia seleucide nella Mesopotamia meridionale, un tale Hyspaosine fondò un potentato indipendente intorno al 140 a.C., epoca in cui i Seleucidi andavano perdendo gran parte dei loro possedimenti orientali a vantaggio di Mitridate I di Partia. Ben presto, tuttavia, la Characene fu sottomessa dai Parti; esiste anche una serie di m. bronzee di Hyspaosine ribattute da Mitridate I. Sotto gli Arsacidi lo stato conservò una condizione di semi indipendenza e successivamente, con i Sasanidi, i suoi governanti batterono m. propria. Nel II-I sec. a.C. vi furono coniati tetradrammi argentei e nominali bronzei. A partire dalla metà del I sec. d.C. i tetradrammi furono coniati in bronzo e i piccoli nominali bronzei furono sostituiti da m. di piombo. Le m. della Characene seguono i prototipi seleucidi: testa diademata del sovrano sul diritto, Eracle seduto, con clava, sul rovescio. Fino agli inizî del II sec. d.C. (112-113 d.C.) i tetradrammi riportano leggende greche e datazioni riferite all'era seleucide. Le successive serie con leggende aramaiche non recano date. La loro coniatura fu sospesa nella metà del II sec. d.C., e, diversamente dal Färs e dall'Elimaide, in questa regione non fu più ripresa. La Characene era a popolazione mista - semitica, greca e iranica - come si evince anche dai nomi di sovrani riportati dalle monete: semitici (Hyspaosine, Abinergalo, Attambelo), iranici (Tiraios, Apodace, Artabaze) e greci (Theonesios).
Sakastān. - La provincia più orientale dell'Iran, il Sakastān (o Sistān), fu occupato intorno al 130 a.C. dalle tribù nomadiche degli Śaka, appartenenti al ramo orientale della famiglia iranica. La provincia entrò sotto il controllo dei Parti con Mitridate II intorno al 110 a.C. I suoi governanti, probabilmente imparentati alla famiglia arsacide, fondarono ben presto una propria dinastia e cominciarono ad aggiungere contromarche alle m. partiche e, successivamente, a emetterne di proprie. Queste ultime sono la fonte di tutte le informazioni in nostro possesso sui governanti di questa dinastia, che divenne nota come indo-partica, poiché, oltre al Sakastān, i suoi possedimenti includevano alcune regioni dell'India nord- occidentale (v. infra, Afghanistan e nord-ovest dell'India, Indo-Parti).
Le prime contromarche, consistenti nella rappresentazione di un busto diademato frontale, compaiono intorno al secondo quarto del I sec. a.C. Queste sono seguite da una serie con teste di profilo e con il nome OTANAIC, un contemporaneo di Fraate III (70-57 a.C.) e Orode II (57-38 a.C.), sovrani dei quali egli ribattè le monete. È seguito da Orthagne, che contrassegna con un marchio (tamgha) arsacide modificato dramme di Orode. Il re Gondofare fu il primo a battere m. a proprio nome intorno al 20 d.C. sotto l'influsso della monetazione di Artabano II di Partia (10-38 d.C.). Il diritto di una serie di dramme di Gondofare, tuttavia, è strettamente affine a un tipo partico più antico, quello di Sinatruce (c.a 77-70 a.C.), cosicché alcuni studiosi sono stati spinti a datare erroneamente le m. del re indo-partico alla prima metà del I sec. a.C. La ragione dell'adozione della tiara indossata da Sinatruce e Fraate III, con cresta decorata da piccole figure di cervi, è probabilmente da ricercare nella sua parentela con quel ramo della famiglia arsacide. Anche il rovescio delle dramme di Gondofare e dei suoi successori, coniate in Sakastān, è simile a quello delle monete partiche, fatta eccezione per la figura su trono che regge un ramo di palma in luogo dell'arco. Diversi erano i tipi adottati per i tetradrammi bronzei circolanti in Arachosia e nelle provincie indiane sotto il controllo degli Indo-Parti: una Nike con ghirlanda o un cavaliere corazzato con spada. Sulle m. coniate in Sakastān compaiono leggende in greco e in partico (queste ultime in alfabeto aramaico), sulle emissioni dell'Arachosia e dell'India settentrionale in greco e in pracrito (queste ultime in caratteri kharoṣṭhī). I successori di Gondofare e, probabilmente, i suoi coreggenti furono Abdagase I, suo nipote, che coniò m. soltanto in Arachosia, e suo figlio Orthagne (II). La tiara indossata da Orthagne (II) è attestata in monete partiche del regno di Vonone II (c.a 51 d.C.). A Orthagne successe suo figlio Hybuzane, le cui m. rivelano l'influsso dei coni di Vologese II (c.a 77-80 d.C.) e Pacore II (78-105 d.C.); ne deriva che il suo regno non può essere datato a prima dell'ultimo quarto del I sec. d.C. Il regno di Sanabare, che, come egli stesso sottolinea nelle sue leggende monetali, era figlio di Hybuzane, sarebbe dunque da porre alla fine del Ι-inizî del II sec. d.C. (che è la datazione più alta possibile). A complicare ulteriormente la questione, numerosi dinasti locali vassalli della dinastia, come pure governatori, batterono m. propria in Arachosia e nel Nord-Ovest dell'India sotto Hybuzane e Sanabare: sono attestate monete con i nomi di Sapedane, Sasan, Fraate, Marsake (quest'ultimo con il titolo di satrapo). Gli ultimi due sovrani della dinastia a emettere dramme in Sakastān e monete bronzee in Arachosia furono Pacore e Abdagase II (primo quarto del II sec. d.C. o più tardi), le cui leggende monetali, sfortunatamente, non riportano informazioni concernenti le loro relazioni familiari. Successivamente si registra una lunga interruzione nella monetazione indo-partica probabilmente causata dalla perdi ta dei possedimenti indiani a vantaggio dei Kuṣāṇa. La zecca indo-partica del Sakastān tornò a essere attiva, ma solo per breve tempo, agli inizî del III sec. d.C., sotto Farn-Sasan, pronipote di Sanabare; le sue m. in bronzo sono note tra i numismatici sotto l'erronea denominazione di m. di «Arda Mitra».
Merv. - L'oasi di Merv, nel Khorāsān settentriona le, fu provincia seleucide sotto i primi sovrani della dinastia. Recenti rinvenimenti di m. greco-battriane rendono probabile l'ipotesi che nel tardo III-metà II sec. a.C. Merv potrebbe essere stata sotto il controllo dei re greco-battriani, sebbene non vi siano sufficienti testimonianze sulla presenza nella regione di una zecca che coniasse m. di Diodoto II e di Eucratide. L'oasi fu conquistata dai Parti nella metà del II sec. a.C. Diversi sovrani partici, da Fraate II (138-127 a.C.) a Fraate IV (38-2 a.C.), vi emisero m. dei regolari tipi arsacidi, sia in argento che in bronzo. Nella prima metà del I sec. d.C. l'oasi divenne stato autonomo. La sua dinastia, probabilmente imparentata agli Arsacidi d'Iran, emise numerose serie di «dramme bronzee» con «arciere regale»; a volte influenzata dalle monete indo-partiche coniate in Sakastān, l'evoluzione dei loro tipi era, tuttavia, in larga misura legata a quella dei prototipi arsacidi e ciò facilita la datazione delle serie corrispondenti. Caratteristica comune a tutte queste m. è il marchio di zecca «Π» (forma corrotta di «M», per Margiana) o la combinazione «ΑΠ» (Antiochia Margiana) sul rovescio. Le serie più antiche, raffiguranti ritratti diademati, portano leggende greche completamente corrotte. Il nome Sanabare, in greco, compare su alcune delle serie del tardo I sec. d.C., sebbene non sia chiaro se esso abbia qualche relazione con il sovrano omonimo regnante approssimativamente nella stessa epoca nel Sakastān. Le ultime serie imitano i tipi di Vologese III (105-147 d.C.) e IV (147-191 d.C.) di Partia. Alcune di esse riportano i nomi dei re di Margiana (Artak, Tiren o Tirak) in scrittura partica. La dinastia di Margiana continuò a esistere sotto i primi due sovrani sasanidi. Il suo ultimo esponente emise m. recanti sul diritto il suo ritratto diademato, sul rovescio la leggenda «il re di Merv» in pahlavī e la rappresentazione di un cavaliere con diadema nella mano. Con la caduta della dinastia, durante il regno di Šābuhr I (240-273 d.C.), la zecca di Merv continuò a funzionare al servizio dei Sasanidi.
Sasanidi. - Questa dinastia giunse al potere nel Fārs nel 209 d.C. I suoi primi sovrani, Papak e suo figlio Šābuhr, le cui dramme ereditarono numerosi elementi da quelle della precedente dinastia del Fārs, riconoscevano la sovranità arsacide. Ardašīr I (c.a 220-240 d.C.), nipote o figlio adottivo di Papak, sconfisse i Parti e fondò un nuovo impero iranico, notevolmente più centralizzato della confederazione di stati semi-indipendenti governata dagli Arsacidi. Caratteristiche comuni a tutte le m. sasanidi coniate da Ardašīr e dai suoi successori sono: sul diritto, busto del re volto a destra, ciascun sovrano contraddistinto dalla sua personale corona; sul rovescio, altare del fuoco, in genere con due guardie o adoranti raffigurati stanti ai lati. Tutte le leggende sono in scrittura pahlavī (medio persiano). La sequenza delle emissioni di Ardašīr mostra il sovrano con corone diverse a seconda dei periodi di regno e, sul rovescio, un altare su piede di leone. Tutti i re sasanidi regnanti tra il III e il V sec. coniarono dramme (drahm), nominali bronzei e, occasionalmente, nominali d'argento più piccoli. Tetradrammi bronzei placcati in argento comparvero soltanto durante i regni di Ardašīr I, Šābuhr I (240-273 d.C.) e Hormizd I (273 d.C.). I denari aurei sasanidi (denar) sono relativamente rari, sebbene all'epoca di Šābuhr II (309-379 d.C.) essi fossero coniati in quantità considerevoli. I marchi di zecca compaiono per la prima volta su m. auree di Šābuhr I coniate nella città di Merv e su dramme di Varahrān I (273-276 d.C.) emesse nel Sakastān. Sotto Šābuhr II essi erano più o meno regolarmente impressi sulle dramme. Il sistema dei marchi di zecca abbreviati si affermò all'epoca di Varahrān IV (388-399 d.C.). L'uso di apporre le date, basate sugli anni di regno dei singoli sovrani, fu introdotto su alcuni coni di Peroz (457-484 d.C.), e a partire dal regno di suo figlio Kavād esso rimase costante su tutte le dramme sasanidi. La varietà dei monogrammi di zecca sulle m. del VI-VII sec. d.C. dimostra che praticamente tutte le città maggiori erano provviste di una propria zecca, sebbene non tutte disponessero di un incisore. Gli elementi stilistici specifici delle m. sasanidi rivelano che, almeno a partire da Šābuhr II, la maggior parte delle zecche utilizzavano coni forniti da un laboratorio centrale. Le dramme dell'epoca tardo-sasanide, rispetto alle emissioni precedenti, erano battute su tondelli più larghi e sottili, mentre le immagini raffigurate divenivano sempre più schematiche. Alcune delle dramme di Cosroe I (531-579 d.C.) e Hormizd IV (579-590 d.C.) rivelano tracce di punzoni speciali che, battuti sul rovescio della m. dopo la sua coniatura, ne accentuavano il rilievo del diritto. Il tipo monetario tardo-sasanide rimase corrente per circa mezzo secolo dopo la caduta della dinastia. Esso fu adottato dai primi califfi e dai governatori arabi dell'Iran, le cui emissioni sono convenzionalmente denominate «arabo-sasanidi». La monetazione sasanide esercitò notevoli influssi sullo sviluppo dei tipi monetari del Tokhārestān, dell'India del Nord e dell'Asia centrale.
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(A. Nikitin)
Afghanistan e Nord-Ovest dell'India. - Indo-Greci (v. vol. IV, p. 153). - La cornice storica che fa da sfondo alla monetazione dei sovrani greco-battriani è stata ampiamente ricostruita sulla base dell'analisi delle m. e delle, seppur limitate, evidenze archeologiche ed epigrafiche; scoperte recenti e nuovi studi analitici arricchiscono considerevolmente le nostre conoscenze sulle varie emissioni. Dopo il 1970 sono stati pubblicati tre nuovi importanti ripostigli di tetradrammi greco-battriani d'argento da Ai Khānum (Afghanistan settentrionale) e un quarto da Takhmač, nei pressi di Bukhara (Uzbekistan). Il ripostiglio rinvenuto ad Ai Khānum nel 1970 consisteva in 677 monete punzonate indiane e in 6 dramme d'argento di Agatocle di un tipo completamente sconosciuto. Queste ultime recano la rappresentazione delle divinità indiane Saṃkaṛsaṇa e Kṛṣṇa Vāsudeva, con i caratteristici attributi, resi alla maniera greca. Esse dimostrano l'esistenza di traffici commerciali con l'India e il tentativo dei governanti greci della Battriana di introdurre forme di monetazione adeguata nei territori indiani conquistati di recente. Il ripostiglio di tetradrammi attici databili fino al regno di Eucratide scoperto nel 1974 conteneva in origine anche 5 tetradrammi commemorativi di Agatocle che furono venduti separatamente: uno di essi commemorava Diodoto, due Eutidemo II e altri due Pantaleone, prova evidente che quest'ultimo precede Agatocle. Il ripostiglio del 1973 conteneva tetradrammi attici d'argento databili fino all'epoca di Eucratide I, tra cui anche un inedito tetradrammo attico di Apollodoto I, prova ulteriore dell'esistenza di un più antico re di nome Apollodoto all'epoca di Eucratide.
La pubblicazione dei reperti numismatici dell'Uzbekistan e del Tajikistan, insieme alla pubblicazione completa delle m. rinvenute negli importanti scavi francesi di Ai Khānum, che gli archeologi hanno accertato essere stata distrutta da popolazioni nomadi nel ventiquattresimo anno del regno di Eucratide o poco dopo (c.a 145 a.C.), ha apportato nuove e chiare evidenze sulle emissioni in rame dei sovrani greci di Battriana.
L'opera in nove volumi dedicata da M. Mitchiner alla monetazione indo-greca e indo-scitica fornisce un esauriente catalogo tipologico della monetazione indo-greca e di quelle a essa correlate. Essa elenca tutte le varietà osservate dall'autore, compresi tutti i monogrammi di cui egli è a conoscenza relativamente a ogni varietà. Questo lavoro illustra la maggior parte degli esemplari noti al Mitchiner che si trovano in collezioni britanniche, pubbliche e private. Essa è dunque un'inestimabile opera di consultazione ed è giustamente divenuta fondamentale punto di riferimento, come lo fu la Description Historique des Monnaies frappées sous l'Empire Romain di Cohen per la numismatica romana, fino alla pubblicazione del più scientifico Roman Imperial Coinage di Mattingly, Sydenham e altri. Tuttavia il Mitchiner, che attribuisce arditamente date precise a ciascuna emissione e assegna ogni monogramma a una specifica località, non fornisce argomentazioni analitiche a sostegno delle sue asserzioni. Sebbene alcune sue affermazioni possano essere reputate corrette, gran parte delle sue attribuzioni va accolta con prudenza, fin quando almeno queste saranno convalidate da più solide evidenze. Gobi ha dimostrato che alcune m., attribuite a zecche diverse perché hanno monogrammi diversi, presentano in realtà sul dritto l'impronta di una stessa matrice e sono pertanto da considerare prodotte dalla stessa zecca. Parimenti discutibili sono le attribuzioni del Mitchiner di alcuni monogrammi e zecche di località decentrate come Bāmiyān e il Panjšir. La sua opera ha tuttavia stimolato altre analisi del materiale, fornendo un catalogo che prima non esisteva.
Più cauto e più fondato è lo studio dedicato da A. D. H. Bivar ai monogrammi delle monete del deposito di Mir Zaka, ora nel museo di Kabul. Dall'analisi dei monogrammi l'autore ha stabilito la successione cronologica delle dramme d'argento di Menandro, il più importante re indogreco che governò a S dell'Hindukush, artefice di un vasto impero in India. La sequenza definita da Bivar è basata sulle modifiche che le emissioni mostrano di aver subito nel tempo; dapprima con l'introduzione del ritratto del sovrano, in seguito con quella di leggende divise in due parti, i titoli regali in alto e il nome del re nell'esergo, in greco al di sotto del ritratto sul dritto e in caratteri kharoṣṭhī al di sotto dell'immagine sul rovescio. Successivamente lo stesso ritratto sul dritto viene modificato e il re è mostrato con il capo coperto da un elmo e, più tardi, cinto da un diadema. Bivar ha brillantemente colto il significato del passaggio dalla leggenda continua a quella suddivisa in due parti, e ciò rappresenta il cardine su cui ruota la sistemazione della monetazione indo-greca in India. I re le cui m. hanno leggende continue, come Antimaco Niceforo e Apollodoto I, precedono Menandro, mentre quelli che fanno uso di leggende separate, quali Antialcida, Lisia e altri, gli sono posteriori.
Di pari importanza ai fini di un ordinamento della monetazione indo-greca è la definitiva dimostrazione dell'esistenza di due sovrani di nome Apollodoto. Il rinvenimento di un nuovo tetradrammo attico di Apollodoto I, nel ripostiglio rinvenuto ad Ai Khānum nel 1973, e la scoperta di una moneta quadrata di Apollodoto I nel corso degli scavi nella stessa città, non lasciano dubbi sull'esistenza di un Apollodoto I regnante nella parte O dei territori indo-greci. Inoltre, la pubblicazione del ripostiglio di m. indo-greche e kṣaharāta proveniente dalla zona costiera del Gujarat, che contiene dramme di Apollodoto II e dramme di Nahapāna, fornisce una definitiva prova dell'esistenza di un più tardo sovrano di nome Apollodoto II nelle regioni orientali alla fine del dominio indo-greco.
Dettagliate analisi metrologiche hanno portato alla soluzione di alcuni problemi spinosi e-hanno gettato luce su una serie di mutamenti nei pesi dei nominali di rame, nei quali possiamo ora riconoscere tentativi di coordinare i nominali di rame di diverse località. La più significativa è stata forse la dimostrazione di D. W. Mac Dowall che le lettere A, Β, Δ, Η, Θ non stanno a indicare gli anni di regno, bensì un ordinato sistema monetario stabilito da Menandro, nel quale otto chalkòi equivalevano a un obolo; in India, dove avevano adottato una nuova unità indiana per le dramme d'argento, gli Indo-Greci conservarono i rapporti tra nominali del sistema attico-macedone-seleucidico-battriano.
Nel periodo successivo alla morte di Alessandro Magno, la Battriana divenne una satrapía seleucide e utilizzò l'unità delle m. coniate nelle zecche seleucidi orientali, con rari stateri aurei, una grande quantità di tetradrammi e dramme d'argento, coniati secondo l'unità attico-macedone, e pezzi circolari di rame in valori corrispondenti. Intorno al 240 a.C., la Battriana conquistò l'indipendenza con Diodoto, già satrapo seleucide della regione, che ne divenne il primo re. La monetazione della Battriana indipendente conservò un carattere essenzialmente seleucidico a sottolineare un rapporto di successione con lo stato da cui si era resa autonoma. I primi sovrani emisero nominali d'argento e rame secondo l'unità di peso atticoseleucidica con iscrizioni esclusivamente in greco. Il dritto dei loro tetradrammi e dramme reca ritratti greci di eccezionale bellezza, e il rovescio porta rappresentazioni di divinità greche secondo la tradizione classica: Zeus nell'atto di scagliare la folgore sulle m. di Diodoto, ed Eracle con la clava seduto su un ammasso di rocce su quelle di Eutidemo. Demetrio, il primo re greco che effettuò vaste conquiste in India, è raffigurato con copricapo a forma d'elefante, indicativo delle sue conquiste; sul rovescio è rappresentato Eracle che incorona se stesso. Eucratide I, autore anch'egli di importanti campagne militari, è talvolta ritratto con l'elmo con visiera su monete il cui rovescio mostra i Dioscuri a cavallo con le lance puntate avanti. L'intera tipologia della monetazione battriana è di netta concezione greca, in armonia con quanto sappiamo di Ai Khānum, dalla quale venne inviato Clearco a Delfi affinché copiasse accuratamente i precetti da iscrivere sulla base d'una stele nel monumento funerario del fondatore della città, e nel cui ginnasio sono state rinvenute dediche a Hermes e a Eracle.
Un atteggiamento simile si riscontra nella monetazione in rame, che in un primo momento conservò il caratteristico tondello seleucidico, dall'orlo marcatamente smussato. I tipi sono greci per contenuto e modelli di riferimento. Sui dritti si trovano la testa di Zeus o di Dioniso, mentre sui rovesci sono rappresentati Eracle, Artemide, un cavallo rampante di tipo classico e un tripode. Le m. sono rotonde e le leggende in greco soltanto.
Quando, al tempo di Demetrio, i Greci cominciarono a controllare i territori a S dell'Hindukush, divennero loro più familiari i tipi monetari delle regioni che erano state parte dell'impero dei Maurya. In quest'epoca si osservano diversi atteggiamenti verso il tentativo di coordinare i due diversi sistemi monetari, e verso l'emissione di monete. Demetrio I, figlio e successore di Eutidemo, fondò in Arachosia una città cui diede il suo nome e governò nel Gandhära. È stato dimostrato che le sue grandi m. di rame (c.a 24 g), caratterizzate da un monogramma che non si incontra nelle sue emissioni d'argento battriane, circolarono principalmente nel Gandhāra; sembra che questi nominali costituissero un multiplo comune sia dei nominali di rame maurya nel Gandhāra sia di quelli greci in Battriana. I due viceré Pantaleone e Agatocle si spinsero oltre coniando, nei territori meridionali, una monetazione in rame che adottava tipo e formato delle m. di rame dei Maurya circolanti nella regione, aggiungendovi tuttavia il nome del re sia in greco sia in caratteri brāhmī. I tipi erano di concezione indiana, ma greci nella resa: una rappresentazione in stile classico di una yakṣī indiana e un leone senza criniera.
Lo sviluppo di una distinta monetazione indo-greca destinata a soddisfare le esigenze delle provincie a S dell'Hindukush, già parte del dominio maurya, si osserva più chiaramente con le emissioni d'argento di Apollodoto I. Inizialmente Apollodoto coniò emidramme di forma circolare (2,1 g di peso), corrispondenti cioè a metà del peso della dramma attica della Battriana, quali nominali d'argento nell'Arachosia e nei Paropamisadae. Evitò i ritratti sul dritto delle m., facendovi rappresentare un elefante indiano con leggenda in greco; sul rovescio fece apporre un bue gibbuto con leggenda in caratteri kharoṣṭhī. Nella realtà dei fatti, queste m. si dimostrarono troppo leggere per poter circolare insieme alle preesistenti monete d'argento dei Maurya e nell'emissione successiva Apollodoto I aumentò il peso della sua dramma indiana a 2,4 g, che divenne il peso standard per le dramme indiane di tutti i suoi successori. I tipi e le leggende di questa m. restarono immutati, tuttavia fu scelta una forma quadrata a imitazione degli antichi kārṣāpaṇa maurya. Anche le m. di rame di Apollodoto tennero conto della monetazione in rame maurya. Esse presentano la stessa forma rettangolare, con leggende in greco sul dritto e in kharoṣṭhī sul rovescio. Neanche esse riproducono ritratti di sovrani, sebbene si rifacciano a tipi greci: una figura stante di Apollo sul dritto e il tripode di Apollo sul rovescio.
Il profilo storico del regno di Eucratide I ci è noto grazie a Giustino. Contemporaneo di Mitridate I di Partia, Eucratide mosse guerra su diversi fronti e alla fine ridusse parte dell'India settentrionale sotto il suo controllo. È interessante notare che le sue m. di rame, quadrate e bilingui, costituirono la valuta corrente non solo a Begrām, come ci si poteva aspettare, ma anche ad Ai Khānum in Battriana, dove fino ad allora avevano avuto corso m. rotonde con sola leggenda greca. Si direbbe che Eucratide I avesse tentato di introdurre un'unica monetazione in rame sia a Ν sia a S dell'Hindukush riducendo il peso delle sue m. bilingui di rame a quello della più leggera unità battriana. L'obiettivo di coordinare e unificare la monetazione nelle provincie cardine dei suoi domini (Battriana a N, Paropamisadae a S) può spiegare come mai le sue dramme indiane d'argento siano così rare, mentre le belle semidramme e dramme attiche monolingui siano relativamente comuni - aspetto complementare della stessa strategia.
Il dominio greco in Battriana terminò dopo il regno di Eucratide. Per l'epoca successiva, la Battriana non ha restituito m. di rame di re greco-battriani, sebbene vi siano i tetradrammi e le dramme d'argento di Eliocle, di un secondo Eucratide e di un secondo Demetrio. Si possono citare anche alcuni rari tetradrammi attici, con leggende esclusivamente in greco, di tardi sovrani indo-greci quali Antialcida, Lisia, Diomede, Filosseno, Archebio, Ermeo e altri. Esse presentano di solito monogrammi utilizzati per le emissioni indiane bilingui standard di rame e argento, e debbono provenire dalla stessa zecca (o zecche) di queste. Mancando di una corrispondente monetazione monolingue in rame, è molto improbabile che esse fossero destinate alla regolare circolazione monetaria in Battriana. Erano forse utilizzate per i pagamenti nel commercio internazionale o come tributo, o più semplicemente erano prova dell'implicito pensiero di Eucratide secondo cui il tetradrammo battriano attico era l'unità teorica a cui il sistema monetario indiano si doveva rapportare.
Menandro fu il sovrano responsabile della massima spinta espansionistica del regno indo-greco in India. Egli successe ad Antimaco Niceforo nel Gandhāra e fu un più giovane contemporaneo di Eucratide, al quale infine successe a Begrām. Menandro estese i domini indo-greci verso E fino a Taxila e Sagala, facendo del Panjab una provincia greca, territorio che rimase di cultura greca anche dopo che gli Śaka ebbero fondato il loro impero nella valle dell'Indo. Da questo momento in poi le già esigue testimonianze letterarie cominciano a venir meno, e la ricostruzione del quadro storico contemporaneo si deve fondare quasi esclusivamente sullaj numismatica.
La ricca monetazione di Menandro fornisce abbondanti informazioni. Il ritratto del sovrano è rappresentato in modi differenti, segnando le tappe cronologiche delle emissioni. In un primo tempo il re è raffigurato come un guerriero in battaglia nell'atto di scagliare la lancia. Tale rappresentazione è successivamente modificata, mostrando il re che indossa l'elmo con visiera; un'ulteriore fase è segnata dalla raffigurazione del semplice busto del re con elmo. L'ultima emissione mostra il busto del re col capo cinto da un diadema. Queste modifiche, insieme ad altri cambiamenti che interessano le rappresentazioni del rovescio, stabiliscono otto principali fasi cronologiche nelle emissioni delle monete. Ognuna di esse è caratterizzata da una serie di monogrammi sul rovescio; sulle dramme d'argento ne sono documentate più di dieci, che parecchi studiosi hanno cercato di attribuire a determinate località e zecche. Gli ormai datati tentativi di risolvere i monogrammi nelle lettere greche componenti i nomi delle località dove le m. erano state coniate non si sono mostrati fruttuosi. Per l'epoca di Menandro, p.es., non è possibile stabilire con chiarezza un modello di distribuzione geografica dei monogrammi, in riferimento a rinvenimenti sia in gruzzolo sia isolati. Benché distribuito su un'area molto vasta, il mezzo circolante di Menandro è di stile uniforme, e anche le m. rinvenute in luoghi remoti dal Gandhāra recano i monogrammi soliti. Tuttavia, sebbene non vi siano prove certe dell'esistenza di un sistema multiplo di zecche all'epoca di Menandro, l'uso dei monogrammi sembra seguire una logica coerente, senza soluzione di continuità tra un'emissione e quella successiva o tra le m. di un sovrano e quelle iniziali del suo successore. Tale caratteristica, cui va rivolta particolare attenzione, rappresenta un utile ausilio nella classificazione della monetazione.
Le m. dei più tardi re indo-greci possono essere classificate in una serie di raggruppamenti geografici sulla base della presenza delle m. d'argento nei ripostigli e della distribuzione delle emissioni di rame nei siti archeologici più importanti. A Begrām, Mir Zaka e Taxila le m. di Menandro sono seguite da quella di Antialcida, Lisia e Diomede. La serie monetaria indo-greca si conclude a Begrām e a Mir Zaka con le monete di Ermeo, l'ultimo re indo-greco vero e proprio nella valle del Kabul. Tuttavia ai suoi tetradrammi d'argento succede una lunga serie di imitazioni sempre più svalutate che diverranno alla fine nominali di rame che conservano i tipi dei tetradrammi d'argento, ma impoveriti nello stile. Esse sono probabilmente da porre in relazione al potentato che si sostituì agli Indo-Greci in quella località - i primi Yuezhi o, forse, i Parti. Fu il tetradrammo di rame, derivato dall'antico tipo d'argento di Ermeo, a servire da modello alle monete di Kujula Kadphises, uno dei primi sovrani kuṣāṇa, degli inizî del I sec. d.C.
Dalle m. rinvenute a Taxila si ricava una più lunga lista di sovrani indo-greci da cui la città fu governata fino all'epoca dell'invasione indo-scitica guidata da Maues nel I sec. a.C.: Aminta, Archebio, Filosseno, Ippostrato, Apollodoto, ecc. Analogamente alle più antiche m. destinate a circolare nei territori indiani, gli esemplari di Taxila presentano leggende sia in greco sia in caratteri kharoṣṭhī, atte dunque a soddisfare le esigenze sia dei sudditi greci sia di quelli indiani. Sul dritto conservano il ritratto, di buona qualità, del re; divinità greche quali Zeus, Atena ed Eracle, continuano a essere presenti, ma si aggiungono altri elementi, presumibilmente locali. P.es., lo Zeus in trono delle m. d'argento di Ermeo acquista una testa da cui promanano raggi che induce a considerarlo divinità composita nata dalla fusione di Zeus e Mithra.
La serie monetaria orientale del Panjab si spinge ben oltre nel tempo. Vi sono m. di sovrani quali Apollodoto II, Dionisio, Zoilo II e Stratone. Tuttavia i ritratti di questi re tardi rivelano un impoverimento stilistico e una crescente stilizzazione. Le rappresentazioni sul rovescio si limitano alla figura, di fattura sempre più grossolana, di Atena nell'atto di scagliare la sua folgore. Questa serie si protrae fino a quando non sarà fatta propria dal satrapo saka Rudradaman, agli inizî del I sec. d.C., e quindi dagli Indo-Parti che gli succedettero. Nel corso di questo processo, il metallo di questa monetazione si svaluta via via, fino a divenire non più che una lega di rame e argento (biglione) sostitutiva di quell'argento che era stato impiegato per una m. di qualità.
Indo-Sciti. - Nel corso del I sec. a.C., gli IndoGreci della valle dell'Indo furono sostituiti dalla potente dinastia degli Indo-Sciti (Śaka), la cui sede fu da Maues stabilita a Taxila. A lungo si è ritenuto che gli Śaka fossero giunti nella valle dell'Indo dal Sistān (Sakastanè); tuttavia il rinvenimento di un'ampia serie di petroglifi nell'alta valle dell'Indo, avvenuto durante i lavori di costruzione della Karakorum Highway, tra Gilgit e Kashgar, ha dimostrato l'esistenza nell'antichità di regolari vie di passaggio attraverso le imponenti montagne della regione. Inoltre, la menzione di nomi di sovrani nelle iscrizioni in kharoṣṭhī tra i petroglifi chiarisce come l'esistenza di una strada più diretta dall'Asia centrale attraverso le montagne del Karakorum spieghi meglio l'improvvisa comparsa di Maues a Taxila, dove egli si sostituì agli ultimi Indo-Greci. I tipi monetari di Maues restano greci per concezione, ma è assente il ritratto del sovrano. Essi riflettono il successo della sua conquista; la sua vittoria trova un'appropriata commemorazione nella figura di Nike, mentre la testa di elefante e il caduceo sulle m. di rame richiamano le emissioni iniziali di Demetrio, primo re indo-greco del Gandhāra. Il dominio saka nella valle dell'Indo fu consolidato da Azes I, la cui èra, successivamente nota come èra Vikrama, ebbe inizio nell'anno 57 a.C., presumibilmente l'anno della sua incoronazione. Azes I si attenne al modello dei tetradrammi e delle dramme d'argento degli Indo-Greci, ma, in luogo del ritratto, elemento caratteristico della monetazione cui si richiamò, adottò il tipo di dritto con il re saka a cavallo, destinato a divenire il tratto caratteristico della dinastia. Azes I è raffigurato con la lancia abbassata; con Azilises, suo successore, il cavaliere brandisce invece un αṅkuśa o uno scudiscio sollevato. Tale rappresentazione continuerà anche nei coni di Azes II, offrendo così un facile elemento distintivo rispetto alle m. del suo omonimo e predecessore Azes I. Le m. d'argento saka continuano a mostrare sul rovescio divinità greche come Zeus, Zeus Niceforo, Atena e Posidone, ma si registra un importante mutamento: ogni zecca usa ora soltanto un tipo del rovescio, sicché questo diventa effettivamente un marchio di zecca. Compaiono ancora monogrammi greci, come marchi di controllo, ma si diffonde l'uso di caratteri kharoṣṭhī nell'esergo, cosa che implica un complesso sistema di controllo monetario, non ancora pienamente compreso.
Le parallele emissioni di rame utilizzano la stessa gamma fondamentale di marchi di controllo, ma, come si addice a una monetazione che probabilmente era in massima parte usata dalla popolazione indigena, le emissioni di rame presentano con sempre maggiore frequenza raffigurazioni di animali indiani: toro, leone ed elefante.
Alla fine del lungo regno di Azes II le m. d'argento vennero notevolmente svalutate. I tetradrammi e le dramme coniate in argento di buona qualità furono rapidamente rimpiazzate da m. che, pur conservando diritto e rovescio delle precedenti emissioni, erano realizzate in biglione, una lega di rame e argento, quest'ultimo presente in una percentuale del solo 20%. Le ragioni di questa svalutazione non sono chiare; esse vanno probabilmente individuate nel peggioramento delle condizioni economiche verificatosi alla vigilia della caduta dell'impero indoscitico e nel mancato accesso alle principali fonti di approvvigionamento dell'argento, quali le ricche miniere del Panjšir, in Afghanistan, ora probabilmente controllate dai primi Kuṣāṇa che avanzano. Il trattamento del dritto e del rovescio delle m. diviene sempre più stilizzato. Nel corso degli scavi di Taxila, dramme di biglione di Azes II, di disegno molto grossolano, sono state rinvenute in associazione a m. di rame di uno dei primi sovrani kuṣāṇa, Kujula Kadphises. Evidentemente esse continuarono a circolare come moneta di biglione dopo la conquista kuṣāṇa. In altre località, satrapi e generali di Azes II conquistarono l'indipendenza dal sovrano e coniarono a proprio nome m. d'argento scadente e di biglione. In alcuni casi le iscrizioni in kharoṣṭhī forniscono importanti informazioni circa la loro posizione e genealogia.
A Čukhsa, il satrapo Jihonika coniò m. d'argento di buona qualità, il cui rovescio mostra la singolare rappresentazione del sovrano incoronato dalla Tyche della città. Il suo territorio nel montuoso Nord-Ovest del bacino dell'Indo era esposto all'invasione dei Kuṣāṇa, dai quali il satrapo venne sconfitto. Le prime emissioni dei nuovi dominatori nell'area di Jalalabad imitarono in biglione il suo tetradrammo d'argento scadente con la Tyche, mentre Kujula Kadphises, nel Kashmir, coniò imitazioni delle sue m. di rame con lo zebù indiano. Il satrapo Jihonika è ricordato anche in un'iscrizione in kharoṣṭhī incisa sul collo di un vaso a forma di anatra da Taxila, datato all'anno 191, recentemente attribuito all'antica èra greca e dunque risalente agli anni 30-40 d.C.
Nel distretto del Bajaur (l'antico Apraca, a NO del Gandhära) i rāja locali cominciarono a coniare tetradrammi di biglione, molto stilizzati nel disegno e fortemente ispirati ai tipi di Azes II, ma contenenti nelle loro iscrizioni kharoṣṭhī importanti dati circa l'appartenenza sociale e la genealogia dei sovrani. La scoperta di una nuova iscrizione kharoṣṭhī di Vijayamitra Apracarāja (ossia «re di Apraca»), datata all'anno 77 dell'èra dell'ormai defunto Azes (cioè al 20 d.C.), dimostra l'esistenza di rāja locali nel periodo finale dell'impero indo-scitico. I successori di Vijayamitra emisero tetradrammi di biglione a proprio nome; si conoscono monete di Indravarman (figlio di Vijayamitra) e di Aspavarman, il «generale vittorioso» (figlio di Indravarman). In una emidramma d'argento del Sind, Sasan definisce se stesso «figlio del fratello di Aspa». Che si tratti di una relazione di sangue o di tipo onorifico, è in ogni caso evidente l'intenzione del grande re indo-partico Sasan di proclamare una sua connessione con i discendenti del raja locale di Apraca, anteriore di tre generazioni, attraverso le leggende delle sue m. in caratteri kharoṣṭhī.
Indo-Parti (v. vol. IV, p. 155). - La caduta della dinastia indo-scitica consentì ai c.d. re indo-parti di fondare un impero nella valle dell'Indo e nelle provincie limitrofe a E e O. I re indo-parti non diedero mai vita a un sistema monetario uniforme comune all'intero territorio da essi governato; si limitarono invece a conservare i nominali e i tipi già circolanti nelle varie provincie conquistate, aggiungendovi semplicemente i loro nomi. Nell'Ariana e nel Sistān (v. supra, Sakastān) essi emisero dramme d'argento di tipo partico, che forniscono interessanti informazioni sui varî sovrani. Gondofare vi è definito autokràtor, ossia «colui che proclamò se stesso re», senza ereditare il trono. Sui nuovi rovesci introdotti è riecheggiato il motivo della «vittoria». Su una m. di Gondofare, una Nike è rappresentata in volo con una ghirlanda, dietro il re a cavallo. Su un'altra m. di rame, il re a cavallo riceve una ghirlanda da una Nike che lo saluta. Lo stesso nome Gondofare deriva dall'iranico vindapherna, «portatore di vittoria», e potrebbe trattarsi in realtà di un titolo più che di un nome personale. Una Nike alata con ghirlanda e palma della vittoria è l'unico tipo di rovescio attestato nei tetradrammi di rame circolanti nel Sistān e in Arachosia. Nelle provincie dell'Indo, gli Indo-Parti conservarono le rappresentazioni del re a cavallo sul dritto, e di Zeus e Posidone sul rovescio, ereditate dai successori di Azes II. Nel Panjab Gondofare emise una serie di piccole dramme di biglione, il cui rovescio presenta una stilizzata rappresentazione di Atena, copiata piuttosto meccanicamente dalle dramme d'argento scadente dei successori di Stratone II e del satrapo śaka Rājuvula. Dall'attento studio di un cospicuo ripostiglio rinvenuto di recente, è stato possibile stabilire che queste piccole dramme di biglione furono coniate a nome di altri sovrani indo-partici, quali Sasan, Abdagase, Sapedane, ecc., noti dalla monetazione partica di altre provincie. Nel I sec. d.C., come già nel Gandhāra e a Taxila, gli Indo-Parti furono a loro volta sostituiti dai Kuṣāṇa. In verità uno dei primi re kuṣāṇa, noto come Sotèr Mègas, fece nel Gandhära fedeli imitazioni del dritto e del rovescio dei tetradrammi di biglione di Sasan. In Arachosia è attestata una più duratura serie di tetradrammi di rame del tipo con Nike, riproducenti realistici ritratti di Orthagne e Pacore. Tale monetazione perdura fin quando non verrà soppiantata dalle emissioni di Arda Mitra, uno dei primi governatori sasanidi dell'epoca di Ardašīr I.
Kusäna: ν. kusana, arte.
Bibl.: In generale: M. Mitchiner, Indo-Greek and Indo-Scythian Coinage, 9 voll., Londra 1975-1976; id., Oriental Coins and Their Values. The Ancient and Classical World 600 BC-AD 650, Londra 1978.
Indo-Greci: A. D. H. Bivar, The Sequence of Menander's Drachmae, in JRAS, 1970, pp. 123-146; R. Audouin, P. Bernard, Trésor de monnaies indiennes et indo-grecques d'Aï Khanoum, in RevNum, XVI, 1974, pp. 7-41; D. W. Mac Dowall, The Copper Denominations of Menander, in Monumentum H. S. Nyberg (Acta Iranica. Hommages et opera minora, 1-4), Teheran 1975, pp. 39-52; K. W. Dobbins, A Schema of Indo-Bactrian Coinage (Numismatic Society of India, Notes and Monographs, 18), Benares 1980; F. Holt, The Euthydemid Coinage of Bactria, in RevNum, XXIII, 1981, pp. 7-44; E. V. Zejmal', Drevnye monety Tadžikistana («Antiche monete del Tajikistan»), Dušanbe 1983; P. Bernard, Fouilles d'Aï Khanoum, IV. Les monnaies hors trésors, Parigi 1985; O. Bopearachchi, Ménandre Sôter, un roi indo-grec. Observations chronologiques et géographiques, in Studia Iranica, XIX, 1990, I, pp. 39-85; id., Monnaies gréco-bactriennes et indo-grecques. Catalogue raisonné, Parigi 1991.
Indo-Sciti e Indo-Parti: D. W. Mac Dowall, The Azes Hoard from ShaikhanDheri, in N. Hammond (ed.), SAA 19JI, Londra 1973, pp. 215-230; K. W. Dobbins, Saka Pahlava Coinage (Numismatic Society of India, Memoirs, 5), Benares 1975; A. M. Simonetta, The Chronology of the Gondopharean Dynasty, in East West, XXVIII, 1978, pp. 155-187; A. D. H. Bivar, Maues at Taxila, in JCA, VII, 1984, I, pp. 5-15; J. Cribb, New Evidence of Indo-Parthian Political History, in Coin Hoards, VII, 1985, pp. 282-300.
(D. W. MacDowall)
India. - Monete punzonate. - M. punzonate (punch marked coins) d'argento circolavano nelle provincie gangetiche a partire dal VI sec. a.C. Esse divennero il mezzo circolante corrente dell'impero maurya e restarono in circolazione sotto le successive dinastie fino al I sec. d.C. e oltre. I loro tondelli d'argento, di varie dimensioni e forme, erano contrassegnati da una gamma di punzoni che avevano di solito disegni e simboli molto caratteristici. I punzoni erano impressi uno alla volta, ma nello stesso momento, dalle autorità che emettevano le monete. A sistema pienamente evoluto, i varî simboli sembrano indicare la dinastia, il governante, la zecca e forse l'emissione e lo zecchiere. Col procedere delle analisi sui depositi e sulla distribuzione dei reperti numismatici in siti noti è stato spesso possibile individuare località in cui circolavano determinati tipi di punzoni. Il rinvenimento di m. punzonate in associazione con m. greche d'epoca ellenistica, con m. di sovrani indo-greci e con m. romane del I sec. d.C. ha consentito di stabilire la notevole estensione della loro cronologia e l'arco di tempo nel corso del quale esse circolarono.
L'ambiziosa opera di M. Mitchiner, The Origin of Indian Coinage (Londra 1973), fornisce ampie informazioni sui tipi e sulle varietà delle più antiche serie punzonate; inoltre le parti dedicate alla monetazione punzonata nel compendioso primo volume, a lui dovuto, di Oriental Coins and Their Value (Londra 1978) estendono l'analisi a tutte le serie punzonate, con buone fotografie di m. in collezioni private. Il Mitchiner attribuisce ogni tipo a una zecca e a una data molto precise, fornendo tuttavia ben pochi argomenti dettagliati a sostegno delle sue asserzioni, a volte contrastanti con quelle di altri studiosi, quali Gupta, Hardaker e Lahiri, ai quali si deve la pubblicazione di studi analitici su determinati depositi e serie. Tra i recenti studi specialistici il più significativo è da considerare la monografia congiunta di P. L. Gupta e T. R. Hardaker sulle serie di kārṣāpaṇa maurya del Magadha, che rappresenta un fondamentale punto di riferimento per ciò che concerne le m. kārṣāpaṇa a cinque marchi.
Il quadro generale della monetazione ben si adatta a quanto è noto sul corso degli eventi politici - lo sviluppo dell'urbanizzazione nella valle del Gange, la formazione e l'ascesa dell'impero del Magadha (successivamente maurya) e la sua caduta. La chiave che permette di collegare la sequenza monetaria agli avvenimenti storici conosciuti sembra trovarsi nelle m. punzonate del deposito di Mir Zaka, presso Gardez in Afghanistan, dove lo stampo predominante è il crescente lunare su colle. Dal momento che Aśoka fu l'unico sovrano indiano che esercitò un'effettiva autorità politica sull'Afghanistan sud-occidentale, è probabile che questo gruppo di m. sia da attribuire a lui.
Prima dell'adozione generalizzata delle m. punzonate il mezzo circolante d'argento del Nord-Ovest indiano, tra il VI e il IV sec. a.C., consisteva in barrette d'argento ricurve, lievemente concave, con il simbolo della ruota stampigliato su ciascuna estremità. Importanti ripostigli di m. di questo tipo sono stati rinvenuti a Taxila, Cārsada e nel Bajaur, nel Pakistan settentrionale, e a Gardez, Jalalabad e Kabul, in Afghanistan. Caratterizzate da un peso doppio rispetto a quello del siglos persiano (la m. d'argento ufficiale dell'impero achemenide), corrispondente cioè a c.a il g, le barrette. ricurve costituivano, nelle; regioni orientali dell'impero achemenide, il mezzo circolante d'argento d'uso corrente. Nell'impero achemenide, prima dell'invasione di Alessandro Magno, l'argento costituiva, sotto varie forme, il normale mezzo di scambio. Tra i reperti vicino-orientali sono da annoverare non soltanto m. greche consunte di datazione ben più antica, ma anche argento lavorato in altre forme - anelli, barrette, tavolette e monili. Lo studio di Bivar sul ripostiglio di lingotti d'epoca meda venuto alla luce nel corso degli scavi di Tepe Nuš-e Jān (Iran) ha dimostrato che in Iran, molto prima che i Greci inventassero la monetazione, l'argento costituiva un mezzo di scambio.
La monetazione a barrette ricurve dal Gandhāra si rifa probabilmente agli assemblaggi degli «argentieri» iranici. Gli stampi a raggiera rappresentano un'innovazione che, nella regione della valle dell'Indo, indica la presenza di un'autorità influenzata in qualche misura dai simboli a sei raggi delle m. punzonate. Si è ipotizzato che le barrette ricurve siano il prototipo delle m. punzonate, che possono dunque essere datate sulla base del ripostiglio di Čaman-e Hazuri. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi indiani si mostra giustamente discorde, obiettando che i comuni tipi di m. punzonate d'argento si sono evoluti a partire dalle più antiche emissioni indiane proprie dell'antica fase locale della monetazione punzonata.
Il quadro generale dello sviluppo della monetazione punzonata, e la sua cronologia relativa, è ora sufficientemente chiaro e ampiamente accettato. Le m. più antiche - provenienti da ripostigli, rinvenimenti fortuiti o scavi - presentano stampi relativamente semplici e sono caratterizzate da una diffusione spiccatamente locale; difatti m. provenienti da località diverse differiscono tra loro in maniera notevole. Esse sono attestate in varie forme - oblunga, ovale, circolare - e rivelano marcate differenze nella fattura e nei pesi. Nella valle del Gange le m. locali di Kāśi (Benares) sono caratterizzate da un tondello ovale, largo e lievemente scifato, presentano in genere quattro stampi e il loro peso si aggira sui 2,75 g; le m. locali del Kośala sono scifate, ma molto più compatte, e il loro peso è di c.a 2,5 g; nel Magadha circolavano m. piatte e più pesanti, di c.a 5 g; le emissioni del Kaliṅga, nel Deccan orientale, sono di formato largo, spesso squadrato, con quattro stampi e un peso di c.a 3,5 g; quelle di Avanti sono m. caratterizzate da un tondello compatto e tozzo del peso di c.a 4,5 g, con un solo stampo dall'impronta profonda.
Totalmente differenti nello scopo, nel peso e nella distribuzione sono le m. punzonate piatte con cinque simboli il cui peso standard si aggira sui 3,35 g. Esse sono attestate in quantità enormi in svariati siti di tutto il subcontinente e sono pertanto da considerare emissioni di una forte autorità centrale, destinate a circolare in tutti i territori dell'impero.
Sussistono tuttavia opinioni fortemente discordi circa le origini e la cronologia della monetazione punzonata, sebbene sia ormai ampiamente accettata la distinzione in tre fasi fondamentali: la prima fase in cui la monetazione ha diffusione locale, l'importante fase intermedia in cui essa assume la funzione di un mezzo circolante nazionale e la fase finale di degenerazione, nel corso della quale emergono nuovamente alcune varianti locali. All'interno di ciascuna fase gli studiosi hanno individuato, in maniera convincente, ulteriori stadi evolutivi: il progresso tecnologico nella realizzazione dei tondelli, i mutamenti di ordine metrologico, i dettagli nel disegno degli stampi e nella loro applicazione, sono tutti fattori che contribuiscono a definire per ciascuna serie una ragionevole cronologia relativa, nella quale in teoria dovrebbero rientrare tutti i tipi di m. punzonate. Nella fase imperiale e «universale» della monetazione punzonata, nel momento culminante della dinastia dei Maurya, gli stampi presentano un gran numero di simboli e riproducono ogni genere di disegni, moduli decorativi, animali e figure umane, queste ultime attestate sia isolatamente sia in gruppo. Realistiche le raffigurazioni di animali - uccelli, rinoceronti, tori, lupi, lepri, serpenti, pesci. Si incontrano rappresentazioni più stilizzate del colle dal profilo arcuato, dell'albero all'interno di un recinto e di altri oggetti quali la ruota, l'arco e le frecce, nonché motivi geometrici e simbolici, quali il simbolo solare e il simbolo taurino. Di per sé molti dei disegni degli stampi sono di elevata qualità tecnica e combinano forme lineari e rilievo, ma sono frequentemente impressi in maniera non accurata sul tondello, spesso non centrati e in modo da sovrapporsi l'uno all'altro; nonostante ciò, in essi risiede la chiave ultima per ricomporre il quadro della monetazione in questione, una volta che gli studiosi saranno riusciti a decifrarne il codice. Sono state distinte più di cinquecento varietà di gruppi di simboli, classificate a loro volta secondo sei serie cronologiche fondamentali sulla base dello spessore dei pezzi, poiché si passa da esemplari molto sottili a esemplari di medio spessore e più spessi con fasi intermedie.
Nel trattato sull'arte del governo (Arthaśāstra) di Kautilya troviamo riferimenti a m. in rame, probabilmente introdotte in epoca maurya. Tuttavia le m. punzonate in rame sono rare e sembra siano da considerare emissioni locali del Magadha, di Ujjain e del Mewar di epoca postmaurya. Ben più cospicua è la quantità di monete di rame prodotte per fusione; attestate estensivamente nei siti dell'India settentrionale, esse sono all'origine di gran parte dei piccoli cambiamenti che interessarono le m. punzonate d'argento più tarde.
Bibl.: J. Alian, Catalogue of the Coins of Ancient India in the British Museum, Londra 1936; P. L. Gupta, The Amaravati Hoard of Silver Punchmarked Coins, Hyderabad 1963; M. Mitchiner, The Origins of Indian Coinage, Londra 1973; Μ. Κ. Dhavalikar, The Beginning of Coinage in India, in WorldA, VI, 1975, 3, pp. 330-338; P. L. Gupta, T. R. Hardaker, Ancient Indian Punchmarked Coins of the Magadha - Maurya - Karshapana Series, Nasik 1986.
(D. W. MacDowall)
Cina. - La monetazione in Cina ha rappresentato sin dalla sua origine un complesso problema che ha investito aspetti economici, tecnologici e sociali: la m. fu emblema del potere e, nella sua forma definitiva (circolare con un foro quadrato al centro), anche simbolo dell'Universo. Ciò le ha dato un ruolo molto importante nella storia cinese, tanto che tra le prime misure prese da un imperatore che saliva al trono, o da un ribelle che avocava a sé il potere, o per segnare il passaggio da una dinastia all'altra, c'era il conio di monete.
I cauri marini furono il primo tipo di m.; le iscrizioni sulle ossa oracolari o sui bronzi databili tra la fine della dinastia Shang e l'inizio del dominio Zhou (c.a XII sec. a.C.) riportano che venivano utilizzati cauri in doppie legature (peng), costituite da 20 pezzi, per ricompensare prestazioni d'opera o per acquisire beni materiali. I tipi più comuni sono la Cypraea moneta e la Cypraea annulus; dimensione e peso delle conchiglie variano da esemplare a esemplare: per quelle più comuni si va da 1 g a 4 g c.a e la lunghezza, generalmente, non è inferiore a 15 mm né superiore a 30 mm; alcune presentano fori sul dorso per permettere la legatura. Non è ancora stato chiarito se i cauri più grandi avessero anche maggior valore, né vi è un'ipotesi attendibile sul perché proprio i cauri fossero stati scelti come oggetto di valore di scambio; probabilmente, com'è stato ipotizzato anche per altre antiche civiltà, la loro forma vulvare è in relazione con i riti di fertilità e quindi con la ricchezza in senso lato. Numerosi cauri sono stati ritrovati nei coeredi funerari Shang e Zhou. Il cauro ebbe grande importanza negli scambi economici della Cina pre-imperiale; quando la sua fragilità e non sempre facile reperibilità rischiarono di limitarne diffusione e controllo, si ricorse a cauri artificiali. Per la verità, gli esemplari più antichi emersi dagli scavi del tardo periodo Shang, in bronzo, erano utilizzati esclusivamente nelle sepolture; in un primo tempo, dunque, si ricorse a cauri artificiali per fini rituali e a cauri naturali per gli scambi economici veri e proprî. Nel periodo delle «Primavere e Autunni» (722-481 a.C.) appaiono cauri in pietra, in osso e in madreperla, anch'essi usati nei corredi tombali; nello stato di Zhou appaiono i c.d. naso di formica (yibì), piccole placche di bronzo forate, ovoidali e bombate, con un verso piatto con caratteri incisi. Nel III sec. a.C., a scopo di riserva monetaria, vengono fabbricati cauri in giada, oro e argento.
Nel frattempo, con i progressi nel campo della metallurgia, altri oggetti, oltre ai cauri, assurgono a valore di scambio come, p.es., le lame e le vanghe; le une e le altre, già connotate da un grande valore d'uso, rappresentano i due settori più importanti della società: quello militare e quello agricolo, il cui controllo determinava la concreta possibilità di governare. Nelle fonderie dove prendono forma questi importanti utensili inizia la produzione di m. di bronzo foggiate «a coltello» (dao) o «a vanga» (bu o qian), che riproducono, in scala ridotta, proprio lame e vanghe. Gli scavi archeologici hanno restituito un gran numero di m. di questo genere; esse, oltre che per il loro valore intrinseco e l'importanza che hanno rivestito per lo studio dell'economia cinese antica, sono fondamentali come fonti storiche per i contributi che i caratteri sopra raffigurati hanno fornito alla ricerca filologica.
Il modello cui si ispirano le prime vanghe Zhou, e quindi le prime m. a vanga, è l'aratro Shang. Le vanghe, del tipo di quelle funerarie ritrovate ad An‛yang e a Zhengyang (VIII-VI sec. a.C.), hanno la parte superiore modellata per ricevere un manico di legno; la lama larga ha uno spessore sottile ed è leggermente arcuata, le superfici recano iscrizioni (nomi geografici, caratteri araldici, date). Le m. sono del tutto simili e vanno caratterizzandosi nel tempo con l'accentuazione dell'arco della lama, che diviene trapezoidale. Le prime m. a vanga appaiono tra il VII e il V sec. a.C. negli stati agricoli centrali (Zhou, Zheng, Wei, Song, Jin); la parte superiore che imita il tenone è piatta, da cui il nome «vanga a testa piatta» (pingshou bu)·, i piedi determinati dall'arco trapezoidale sottostante assumono una forma che varia (appuntita, oppure quadrata o arrotondata). Le dimensioni delle m. a vanga sono mediamente regolari: 80 x 46 mm; il peso, invece, varia in media tra 20 e 32 g, ma il loro valore era identico. Tra i casi particolari, le m. con i piedi a punta erano utilizzate in due differenti specie di cui la più piccola, recante il carattere ban («metà»), valeva metà valore della più grande. Per quanto riguarda i valori di scambio, si nota su alcune m. il carattere huo che corrisponderebbe a una legatura di 20 cauri; c'erano m. da 1, da 4 e da 6 huo che avevano pesi del tutto svincolati dal loro valore nominale (p.es., quelle da 4 huo pesavano tra 4,5 e 10,5 g, e quelle da 6 huo pesavano da 9 a 10 g). Sulle monete a vanga provenienti dai due stati confinanti Wei (attuale area centrale della Cina) e Qi (attuali Shanxi e Shandong) si trova, a partire dal IV sec., il carattere jin, che è un'unità di misura ponderale (c.a 15 g). In questo caso, il peso delle monete ne determinava il valore: le più comuni erano monete da 1 jin (yi jin) e 2 jin (er jin). Nel tempo, jin designerà sia la m. che la vanga vera e propria, e non più il peso.
Le monete a forma di coltello (dao bi) si ispirano agli utensili a lama delle popolazioni nomadi di cacciatori e pescatori delle regioni a Ν e NE dell'attuale Cina (Mongolia e Manciuria); le prime apparvero tra la fine degli Shang e l'inizio dei Zhou proprio in quest'area geografica, avevano una forma «ad ago» (zhengshou dao) e furono diffuse tra l'VIII e il V sec. a.C. Tipologicamente queste m. ricordano una scimitarra, col manico e la lama pressoché di uguale lunghezza (alla fine del manico c'è un foro ad anello per la legatura). Le forme cominciano a diversificarsi verso la fine del periodo delle «Primavere e Autunni», quando nel regno di Yan (attuale Hebei) appare quello che diverrà il modello più diffuso di m., cioè un coltello più corto dei precedenti. Quest'ultimo tipo porta iscritto il carattere ming (un pittogramma formato dal Sole e dalla Luna), che secondo la più recente interpretazione sarebbe il blasone dello stato di Yan e indicherebbe ricchezza; per questo motivo essa, chiamata ming dao, è la più diffusa; se ne sono classificati oltre 400 tipi che differiscono nelle iscrizioni (numeri, nomi geografici, marchio di fabbrica). Le m. più grandi a forma di coltello sono quelle del potente stato di Qi; sono le più pesanti, e se ne conoscono quattro tipi accomunati, però, dalla stessa leggenda che recita «moneta legale» (fa hua)·, le grandi m. vengono chiamate Qi dao («coltelli dello stato di Qi»). Quanto alle dimensioni e alla specie, i molto diffusi ming dao hanno una lunghezza quasi costante (c.a 140 mm) ma un peso variabile (da 12 a 19 g); i Qi dao sono lunghi tra 180 e 190 mm e il loro peso si aggira attorno a 45-50 g.
Nel IV sec. a.C. compaiono negli stati centrali dell'area cinese le prime m. circolari in bronzo (sapeco); esse portano al centro un foro rotondo o quadrato (per la legatura) e in breve tempo si diffondono negli stati più potenti (Qi, Qin, Wei, Yan) convivendo con gli altri tipi di monete metalliche. La loro origine è da rintracciare nel disco di giada bi, un oggetto rituale che veniva utilizzato nelle cerimonie più importanti, quelle che coinvolgevano la massima autorità statale; i dischi bi, in gran numero, venivano posti nel corredo tombale giacché si credeva che la giada inibisse la putrefazione dei cadaveri. La m., dunque, sarebbe stata modellata sul disco bi e come esso testimoniava la presenza vigile del potere. Quanto al foro quadrato, esso dava alla m. una tipologia cara alla più antica cosmologia tradizionale cinese; infatti, la teoria Gai Tian (emisfero celeste) rappresentava l'universo come formato dalla terra quadrata su cui, come una ciotola capovolta, era poggiato il cielo emisferico; la m., dunque, condensava nella sua forma l'intero universo, e ciò le dava un efficace valore simbolico.
Sulla maggior parte delle m. circolari sono rappresentati due caratteri che si leggono da destra a sinistra o, più raramente, dall'alto in basso; essi riportano l'era imperiale e, a volte, sono associati ad altri due caratteri che specificano la natura della moneta; in tal caso si leggono «a croce» o in senso orario. Nel 221 a.C., quando Qin Shi Huangdi unificò la Cina diventandone il primo imperatore, fra le misure più urgenti unificò anche il conio monetario. Da allora in poi la m. cinese è stata sempre rotonda con foro quadrato, e tale modello si è imposto in buona parte dell'Asia orientale (Corea, Vietnam, Siberia, Giappone, ecc.). Già dal III sec. a.C., la penuria di rame portò a diminuire il valore metallico della lega lasciando inalterato il valore di scambio (valore monetario) mediante contrassegni (caratteri di scrittura): in altri termini, le m. erano più leggere del peso che la dicitura dichiarava; ciò aprì la strada alle contraffazioni.
Le m. circolari cinesi (qian) costituiscono un ricco capitolo della numismatica e della storia dell'arte; come già accennato, ogni periodo dinastico, ogni regolare successione imperiale, ogni usurpazione ha le sue m.; così come ogni qual volta in un'area dell'impero si dichiarava l'autonomia politica, colui che deteneva il potere coniava nuove m. con i suoi contrassegni; inoltre in molti periodi storici, governatori locali, contrabbandieri e funzionari poco fedeli, coniavano m. proprie, a volte in ferro, e ciò causava inflazione. In definitiva, l'antica economia cinese fu caratterizzata da una massiccia circolazione di denaro coniato; ciò comportò in alcuni periodi un grande caos monetario e, nel contempo, provocò una grande attenzione dello stato per la politica monetaria anche se le misure prese per razionalizzare la circolazione delle m. non sempre raggiunsero utili risultati.
Se l'economia monetaria cinese rappresenta un problema complesso per lo storico dell'economia, orientarsi nella selva di sapechi della numismatica cinese, riconoscerli o apprezzarli è assai meno difficile, giacché i caratteri di scrittura che li accompagnano li definiscono nel tempo e nell'area geografica di provenienza in modo sicuro. Va però detto che i numerosi falsi sono difficilmente individuabili; quelli più antichi sono essi stessi dei pezzi importanti. Tra i reperti significativi, vi sono quelli in cui il valore dichiarato dai caratteri scritti è ponderale, riferito cioè a unità di peso locali; tra essi citiamo il ban Hang («mezzo Hang») dello stato di Qin (questa dicitura sui pezzi divenne nel tempo sinonimo di «moneta») e il wu zhu («cinque zhu») dello stato di Han. Tra le m. il cui valore nominale non corrisponde al peso del metallo ma è imposto dall'autorità, citiamo i qian («m. rotonda») dell'epoca di Wang Mang (9-25 d.C.) e il tong bao («tesoro che mette in armonia») apparso nel 621 d.C. nel primo periodo dei Tang. Dalle attestazioni archeologiche, si evidenzia che l'epoca di Wang Mang fu particolarmente ricca di conio monetario giacché tornarono in vigore anche m. a forma di vanga, di coltello e di cauri.
I Cinesi utilizzarono anche i lingotti in metallo prezioso, tesaurizzando così oro e argento che non vennero usati per il conio monetario se non in rarissime occasioni rituali. I lingotti ebbero inizialmente forma di cauri (epoca Zhou) e poi di barrette; durante il periodo Tang (618-907 d.C.) l'argento in barre veniva forgiato e gestito dalle gilde mercantili ma non circolava liberamente come la m. e serviva per transazioni private.
La penuria di rame, la facilità di trasporto e l'intuizione geniale furono alla base dell'invenzione della forma monetaria più sofisticata: il biglietto. La prima m. di carta data all'epoca Sui (581-618 d.C.) e aveva uso funerario al posto delle preziose m. metalliche. Nel tardo periodo Tang apparvero i he quan («biglietti di ricevuta») con i quali le gilde certificavano e garantivano un deposito di lingotti d'argento da parte di commercianti che non volevano portare valori in viaggio; tale certificato fu poi monopolizzato dallo stato. I primi veri biglietti monetari videro la luce nel Sichuan nel 1024 (epoca Song), erano emessi dal governo e si chiamavano guan jiaozi («biglietto ufficiale»); sono questi i progenitori dei biglietti usati in epoca Yuan (1271-1367), che furono il frutto della politica economica dei Mongoli sinizzati, tesa a legare il sistema monetario al valore dell'argento. I reperti dell'epoca sono costituiti da fogli impressi da matrici di bronzo (230 x 150 mm) che recano scritti i caratteri che ne attestano il valore, quelli dell'autorità che li ha emessi, le regole d'utilizzo, le pene per i falsificatori, le ricompense per chi li denuncia, la data d'emissione. Di questi suggestivi biglietti rimane anche la descrizione che ne fa Marco Polo (Il Milione, LXXXI).
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(I. Iannaccone)