MONDINO da Cividale
MONDINO da Cividale. – Nacque a Cividale tra il 1275 e il 1280.
Il padre, il magister Guglielmo da Bergamo, come molti altri lombardi, era giunto in Friuli al seguito del patriarca Raimondo Della Torre. Stabilitosi a Cividale, sposò Osanna di Dionisio del fu Nicoluccio di Nodino, con la quale, oltre a M., ebbe due figlie. Guglielmo morì il 14 sett. 1300, come riportato nel libro degli anniversari del convento di S. Domenico di Cividale.
Dopo la scomparsa del padre, M. decise di trasferirsi presso lo Studio patavino per completare la sua formazione: in questo periodo molti giovani friulani intraprendevano la stessa strada, favoriti dalla presenza a Padova di Pagano Della Torre (nipote di Raimondo e un tempo decano di Aquileia), dal 1302 vescovo della città e cancelliere dello Studio, che continuava a mantenere strettissimi rapporti con il Patriarcato. Nel 1305 M. risulta essere ancora studente. Due anni più tardi cominciò a insegnare physica presso lo Studio patavino, come dimostra la sua presenza al dottorato in medicina del polacco Aimerico. Suoi colleghi erano Pietro d’Abano e Dino Del Garbo. Nello stesso periodo M. intrattenne buone relazioni anche con altri friulani trapiantati a Padova, come il professore di logica Pace da Gemona.
Nel 1308 ritornò temporaneamente a Cividale per dirimere alcune questioni sorte in merito all’eredità paterna con la madre e le sorelle e, probabilmente, per prendere moglie. La sua scelta cadde sulla conterranea Mattiussa, figlia di Pellegrino del fu Giacomo da Chiavris. La famiglia della sposa, trasferitasi a Cividale da un paio di generazioni, era una delle più importanti della città ducale: il padre di Mattiussa, Pellegrino, esercitava la professione di notaio; i suoi zii Giovanni e Lorenzo, medico, erano canonici di Aquileia e di Cividale, e tra i principali collaboratori della curia patriarcale. Il matrimonio di M. con Mattiussa denota la crescente considerazione di cui egli godeva in Friuli, terra alla quale rimase legato anche negli anni successivi, pur recandovisi solo saltuariamente.
Tornato a Padova, M. continuò la sua attività d’insegnamento presso lo Studio, integrandosi pienamente nel tessuto sociale della città, favorito in questo anche dal rapporto di stima e collaborazione con il vescovo Pagano. Nel febbraio 1314 fu incaricato dal canonico Ermanno di Buttrio, suo conterraneo, di richiedere un parere al giureconsulto Taddeo Pocaterra, che insegnava a Padova. Due anni più tardi lo stesso canonico fece nuovamente ricorso a M. per riscattare da Pocaterra un suo libro di Decretali. Questi documenti sembrano aprire uno spiraglio su interessi poliedrici di M., sebbene l’arte medica rimanesse al centro della sua attenzione.
Nel 1316 terminò il commento al primo libro del Canone di Avicenna, opera che a Padova godeva già di una lunga tradizione di studio. Essa si rivela, infatti, come una delle fonti principali della Chirurgia magna (1252) di Bruno da Longobucco e del De conservatione sanitatis (ante 1298) di Zambonino da Gazzo, professori a Padova nel XIII secolo. Anche Pietro d’Abano e Dino Del Garbo si erano occupati in passato del primo libro del Canone. Nessuno di loro però aveva operato un commento sistematico, come quello di M., che nella stesura del testo fu sicuramente rassicurato dalla presenza e dal sostegno dei più anziani colleghi.
Il commento al primo libro del Canone di M. è tradito da un unico testimonio cartaceo, risalente alla seconda metà del XV secolo (El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, Mss., K.I.2). Nella sottoscrizione M. afferma che il suo commento è super totum primum canonem, cioè su tutte e quattro le fen che lo compongono. In realtà il testimonio non presenta la prima fen, che al momento è ritenuta perduta. In più punti dell’opera M. si riferisce al proprio lavoro come a una expositio brevis: tale definizione si adatta perfettamente al commento delle fen II e III – dove la brevità sembra legata alla facilità del testo e alla conseguente eliminazione di alcuni capitoli ritenuti secondari – non altrettanto alla fen IV (De divisione modorum medicationis secundum egritudines universales), a cui il M. dedica lo spazio maggiore. La sua scelta sembra corrispondere a consuetudini consolidatesi negli anni all’interno dello Studio padovano, ma è legata anche alla possibilità per M. e per i suoi studenti di ricorrere ai Synonima (1296) di Simone da Genova, a cui M. spesso rimanda per risolvere eventuali dubbi interpretativi. Per quanto riguarda le fonti utilizzate, frequenti sono i rimandi all’Articella, che M. dimostra di conoscere molto bene. Da una prima analisi del testo condotta da Pesenti emergono citazioni da diverse opere di Galeno, tra cui molte di quelle prescritte per il curriculum medico a Montpellier nel 1309 (Tegni, De complexionibus, De medicinis simplicibus, De morbo et accidenti, De crisi, De ingenio sanitatis). M. aveva a disposizione anche altre opere e traduzioni di Galeno, in uso a Bologna sin dal secolo precedente (Terapeutica, De interioribus, De regimine sanitatis, De elementis, De naturalibus virtutibus) e dimostra di conoscere, oltre ai libri naturales di Aristotele, diversi autori arabi ed ebrei, come Averroè, ‘Alī ibn al-‘Abbās, Maimonide.
Dopo il 1316 M. acquisì la cittadinanza padovana: nel 1320 abitava in una casa presso porta S. Giovanni delle Navi, dove risulta risiedere ancora nel 1327. Probabilmente nel 1321 terminò la sua epitome ai Synonima di Simone da Genova, come gli era stato chiesto dallo Studio patavino, che aveva bisogno di uno strumento di agile consultazione per un’opera di medicina pratica. I Synonima con i loro 6500 lemmi ordinati alfabeticamente, ricavati da autori classici e arabi e arricchiti dalle conoscenze botaniche, farmaceutiche e mediche dell’autore, non presentavano di certo il carattere di brevitas richiesto. M. ridusse, quindi, l’opera a un glossario, dove ogni lemma presenta solo il suo significato immediato: aggiunge, inoltre, alcune parole relative alla misurazione del peso e al condimento dei cibi e altre ricavate dal primo libro del Canone, da lui commentato.
L’epitome ai Synonima di Simone da Genova, considerata un tempo l’unica opera conosciuta di M., presenta una tradizione manoscritta più ricca di quella del commento al primo libro del Canone di Avicenna. Testimoni sono oggi conservati nella Biblioteca apost. Vaticana (Pal. lat. 1100), All'Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo (A.IV6) e a Parigi, Bibliothèque nationale (Fonds lat. 7057).
A M. sono probabilmente da attribuire altre due opere, su cui però non tutti gli studiosi sembrano essere concordi. Per la prima, De accidentibus, si rimanda al manoscritto del XVI secolo conservato a Padova, Biblioteca universitaria, Mss., 1933. Della seconda, Physiognomica, rimangono oggi solo la citazione del titolo e l’indicazione che una copia dell’opera è andata distrutta durante l’incendio della biblioteca di S. Antonio Abate a Castello.
Nel 1328 M., artis medicinalis professor, fece redigere le sue ultime volontà. Non si conoscono le motivazioni di questa decisione. Il testamento offre alcune notizie interessanti sulla sua famiglia. Morta, infatti, la moglie Mattiussa, che gli aveva dato diversi figli, M. si era risposato con la padovana Bartolomea di Scaltenigo, mentre la figlia Chiara era monaca nel monastero di S. Pietro a Padova. L’11 nov. 1329 morì a Cividale la madre di M., Osanna. La presenza di M. in Friuli, nel corso del 1329, potrebbe essere collegata proprio alla scomparsa della madre.
M. morì poco prima del 1340, anno in cui la vedova Bartolomea chiese la tutela dei due figli avuti con lui, e il figlio maggiore Giacomo Michele fu investito, insieme con i suoi fratelli, di una decima detenuta in passato dal padre.
L’opera di M. sia nei suoi aspetti esegetici sia in quelli più propriamente pratici, segna profondamente la medicina padovana del primo Trecento, rivelando come in questo periodo anche lo Studio veneto rientrasse a pieno titolo nella stessa prospettiva innovatrice che, attraverso la riflessione sul Canone, animava la ricerca e lo studio di Università come Montpellier, Parigi e Bologna.
Fonti e Bibl.: Monumenti dell’Università di Padova, a cura di A. Gloria, I-II, Padova-Venezia 1884-88, pp. 438-441, 708; Le note di Guglielmo da Cividale (1314-1323), a cura di L. Gianni, Udine 2001, pp. 103 s.; I libri degli anniversari di Cividale del Friuli, I-II, a cura di C. Scalon, Udine 2008, pp. 683, 723; F.M. Colle, Storia scientifico-letteraria dello Studio di Padova, IV, Padova 1825, pp. 156-161; V. Joppi, Notizie e documenti su M. da C., Udine 1873; C. Scalon, Produzione e fruizione del libro nel Basso Medioevo. Il caso Friuli, Padova 1995, pp. 74 s., 157 s.; T. Pesenti, Studio dei farmaci e produzione di commenti nell’Università di arti e medicina di Padova nel primo ventennio del Trecento, in Annali di storia delle università italiane, III (1999), pp. 61-78; S. Bortolami, M. da C., professore di medicina, in Nuovo Liruti, I, Il Medioevo, a cura di C. Scalon, Udine 2006, pp. 551-553.