MONALDESCHI, Monaldo
– Nacque in data imprecisata della seconda metà del XII secolo da Pietro di Cittadino. L’attività del M. è documentata tra il 1199 e il 1230.
Se il M. è senz’altro il primo personaggio dei Monaldeschi di cui è possibile seguire le sorti con una certa continuità e dal quale derivò il nome della dinastia, va tuttavia chiarito che, per il suo caso, ci si misura ancora con una documentazione intermittente, comunque scarsa e, soprattutto, facente parte di un insieme di estremo interesse ma ancora ben lontano dall’essere compiutamente analizzato, cioè il corpus delle scritture orvietane di fine secolo XII e inizio XIII.
Se già Fumi, alla fine dell’Ottocento, sottolineava le necessarie prudenze per un utilizzo corretto delle informazioni provenienti da un insieme di fonti così eterogeneo, allo stato attuale delle ricerche è ancora da precisare una metodologia capace di delineare una corretta stratificazione all’interno di quel corpus documentario. Per comprendere la difficoltà di tracciare un profilo biografico del M., a tale quadro si aggiunga che anche l’immagine dei Monaldeschi, come quella di altri protagonisti del secolo XIII, è segnata da una citazione dantesca che finisce per cristallizzare la lettura delle vicende della famiglia su un singolo aspetto: la rivalità tra famiglie tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, che necessiterebbe di una più articolata lettura. Il riferimento è alla famosa terzina della Commedia: «Vieni a veder Montecchi e Cappelletti / Monaldi e Filippeschi, uom senza cura: color già tristi, e costor con sospetti» (Purgatorio, VI, vv. 106-108); si è così finito per leggere prospettivamente vicende che meriterebbero, invece, un’interpretazione ben calata dentro la fase cronologica in cui ebbero luogo.
Tali premesse sono necessarie per tratteggiare la parabola del M. a fronte dell’avarizia e della scarsa affidabilità delle fonti: avarizia, se si considera che le attestazioni documentarie sono scarsissime e quelle letterarie offrono un apporto anche quantitativamente minore; poca affidabilità per quanto già detto, tanto più considerando che Orvieto, nei secoli XI-XIII, si trovava in un’area strategicamente di grande interesse tanto per il potere papale, che formalmente aveva a più riprese ottenuto dagli imperatori il controllo territoriale sulla città, quanto per lo stesso potere imperiale, appena al di là dei confini cittadini. Di ciò danno testimonianza le fonti, nelle quali non si possono escludere manipolazioni: gran parte del materiale orvietano precedente la fine del primo quarto del secolo XIII è giunta in copia nei famosi Instrumentari.
Risulta, per esempio, non attendibile il documento più antico, del 1171, che attesterebbe il Monaldeschi. Si tratta di un atto con cui il vescovo di Chiusi, Lanfranco «de Metula», avrebbe nominato un sindaco per la vertenza con il Comune di Acquapendente. In esso viene appunto nominato come testimone un «Munaldus Petri Ciptadini» riconducibile al M., ma il documento è altamente sospetto di manipolazioni. La seconda attestazione relativa al M., del 1199, proviene da una fonte narrativa, la Chronica potestatum, ben più solida anche se, per la sua natura non strettamente documentaria, comunque da usare con una certa prudenza: in tale anno, il M. compare come console, insieme con un certo «Ranutius Berardini». Anche Cipriano Manenti, di cui è stata più volte rimarcata la scarsissima affidabilità, attesta il M. in tale ruolo e aggiunge a «Ranutius» la dinastia di provenienza, cioè quella dei Filippeschi. Ciò potrebbe testimoniare la coscienza già viva al suo tempo di un affiancamento al vertice del potere locale di nuove famiglie accanto alle vecchie discendenze comitali orvietane, anch’esse di ardua definizione ma con molta probabilità da ascriversi a un’origine dinastica di funzionari pubblici in grado di tenere buoni rapporti tanto con il potere imperiale quanto con quello papale e riconducibili al patronimico di Farolfo, attestato anche nella forma aggettivale di «farolfengo». In tale fase, però, ancora non si erano prodotte le rivalità tra Monaldeschi e Filippeschi, così virulente in seguito: tali dinastie emergenti si muovevano con strategie simili, confrontandosi con le vecchie aristocrazie. Il successivo documento riguardante il M. lo presenta come testimone alla promessa del conte Aldobrandino di aumento del censo che la casata comitale tributava annualmente al Comune. Insieme con lui testimoniava anche Pietro «Monaldi», molto probabilmente il figlio. Segue cronologicamente un’attestazione della casa del M., che doveva trovarsi presso un luogo detto «Pantano», dove il 25 maggio 1215 il Comune di Orvieto acquistò una vigna dai signori di Bisenzio.
Intanto i Monaldeschi assumevano un ruolo sempre più importante: un Napoleone di Ranaldo «de comite Manoaldi» otteneva dall’imperatore Ottone IV, il 21 nov. 1211, i diritti sul castello di Coccorone e, a un mese di distanza (22 dicembre) quelli sul «castellum S. Marie de Laurentio», nel comitato di Todi. A tali atti era presente il conte Ildebrandino degli Aldobrandeschi, a riprova dello stretto legame con la realtà orvietana. Questo esponente dei Monaldeschi è assente dalle fonti e dagli studi di taglio territoriale e dalla monografia di Waley, ancora oggi ineludibile punto di riferimento per gli studi su Orvieto, nonostante la spia della presenza di un discendente di nome Napoleone.
Dopo aver agito per stringere una pace con il Comune tuderte (6 sett. 1215), il M. torna in un atto molto importante con cui il conte Ildebrandino riconobbe il 24 giugno 1216 il dominio del Comune di Orvieto nelle terre poste a sud dell’Albegna e sul quale giurava ulteriori impegni. Il M. fu testimone dell’atto insieme con altri cittadini di Orvieto, tra cui il figlio e Rimbotto da Sarteano. E proprio al castello di Sarteano, posto sulla dorsale montuosa tra Val di Chiana e Val d’Orcia, cioè nell’area di contrasto tra Siena e Orvieto, potrebbero portare le ultime attestazioni riferibili al Monaldeschi: sebbene in una confusa tradizione, le fonti cronachistiche orvietane tramanderebbero di un «dominus Monaldus Petri de Monaldensibus dux Urbevetanorum» (Monaldeschi della Cervara) fatto prigioniero dai Senesi nel 1229, quando il conte Rimbotto passò con il fratello Bolgarello ad allearsi con i Senesi, mentre altri esponenti della famiglia rimanevano fedeli alleati di Orvieto. Il «dominus Monaldus», «captus, obiit Senis», potrebbe essere il M., anche se per Fumi (Annales..., p. 143) si tratta del figlio Pietro.
Sempre a una fonte cronachistica si deve un sintetico ed efficace ritratto del M., definito «nobilis civis urbevetanus, sapiens, humilis, potens et divitiis perhabundans» (Natalini, p. 181).
Fonti e Bibl.: Annales Urbevetani, a cura di L. Fumi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XV, 5, pp. 138, 143; Luca di Domenico Manenti, Cronaca, ibid., p. 279; A. Ceccarelli, Dell’historia di casa Monaldesca, Ascoli 1580, p. 21; M. Monaldeschi della Cervara, Commentari historici, Venetia 1584, p. 41; Codice diplomatico della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1887, pp. 30, 65, 69, 74, 127-129; Il Caleffo vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini et al., I, Firenze 1931, pp. 73, 158, 321, 324, 326-330, 348; V. Natalini, S. Pietro Parenzo. La leggenda scritta dal maestro Giovanni canonico di Orvieto, Roma 1936, pp. 180 s.; G. Pardi, Comune e Signoria a Orvieto, Todi s.d., pp. 56 s.; D. Waley, Medieval Orvieto. The political history of an Italian city-State, 1157-1344, Cambridge 1952, p. 152; E. Carpentier, Orvieto à la fin du XIIIe siècle. Ville et campagne dans le cadastre de 1292, Paris 1986, pp. 244, 261.