MONALDESCHI DELLA CERVARA, Monaldo
– Nacque da Camillo di Luca (III) e da Costanza Monaldeschi «della Montagna» (esponente del medesimo ramo familiare del marito) tra il 1522 e il 1530, probabilmente a Trevinano o a Torre Alfina, i castelli posseduti dalla famiglia paterna nel territorio orvietano.
Il M. fu il sesto o il settimo dei figli della coppia arrivati all’età adulta; ebbe sei fratelli: Sforza, che fu il primogenito, Annibale, Luca, Pietrogiacomo, Clemente e Giovanfrancesco, tutti militari di professione, e una sorella, Faustina, che sposò Montino dei marchesi del Monte Santa Maria, esponente della più importante stirpe signorile insediata nell’area di confine tra l’Umbria e la Toscana. Nei decenni centrali del Cinquecento la famiglia Monaldeschi era la principale, ancorché non la più ricca, delle casate orvietane: protagonista della scena politica cittadina dei secoli XIII e XIV, si era in seguito divisa in quattro rami, denominati sulla base delle rispettive insegne (Cervo, Cane, Aquila, Vipera), che avevano animato le locali lotte di fazione fino alla metà del XV secolo. Anche sucessivamente alla definitiva incorporazione di Orvieto nello Stato pontificio, i Monaldeschi conservarono uno status sociale eminente, imperniato sui possessi nel territorio e le relative giurisdizioni, sugli incarichi militari e sulla partecipazione alle cariche pubbliche municipali.
Il M. studiò logica e filosofia nell'Università di Perugia nel 1546; nel 1550, dopo un breve soggiorno a Roma per partecipare ai riti giubilari, si recò allo Studio di Padova per frequentare i corsi di diritto e si addottorò in utroque iure presso l’Università di Bologna nel 1554. Dopo la laurea visse tra Roma, Trevinano e Torre Alfina.
Inseritosi nelle reti di patronato della famiglia Farnese – la quale, oltre a vantare lontane origini nell’area compresa tra Orvieto e Bolsena, in passato aveva concluso alleanze matrimoniali con i Monaldeschi –, il M. entrò a far parte della numerosa familia che componeva la corte del cardinale Alessandro Farnese. Nel 1552 divenne canonico della basilica Vaticana, rinunciando alla prebenda nel 1572. Nel corso di quegli anni, strinse rapporti con alcuni esponenti della cerchia del cardinale, quali Onofrio Panvinio e Annibal Caro. Il primo gli dedicò il breve trattato De ritu sepeliendi mortuos apud veteres christianos et eorundem coemeteriis (Colonia, Maternus Cholinus, 1568, p. 3), mentre Caro compose la lirica S’alla mia mente vaga, signor Monaldo, d’honorarvi, edita quattro volte in testi eruditi e raccolte, di cui il M. fu dedicatario e patrocinatore tra 1570 e 1586.
Altre informazioni rinviano al coinvolgimento del M. nella gestione del patrimonio di famiglia. Tra il 1556 e il 1558, la divisione ereditaria dei beni comuni, sancita dopo la morte del padre Camillo, assegnò al primogenito Sforza il possesso del castello di Torre Alfina, mentre a tutti i fratelli maschi, pro indiviso, spettò il possesso del castello di Trevinano (che una sentenza della Rota romana riconobbe nel 1566 come giurisdizione autonoma da Orvieto), nonché i beni paterni e materni esistenti nella città di Orvieto e nella zona circostante detta «della Montagna», unitamente ai giuspatronati esercitati dalla famiglia sulle chiese di questi territori. La nuova posizione sociale del M. fu celebrata in una medaglia coniata in suo onore nel 1561, attualmente conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, che lo ricorda con il duplice titolo di signore di Trevinano e di canonico di S. Pietro. Il M. si interessò, in particolare, dell’amministrazione dei luoghi sacri che rientravano nell’eredità di famiglia: fu rettore della chiesa di S. Felice a Torre Alfina; nel 1562 si recò al Sacro Convento di Assisi per ricevere la conferma del beneficio annesso alla chiesa di S. Giovanni, anch’essa sita a Torre Alfina; curò i restauri di una terza chiesa di Torre Alfina, quella di S. Maria (come attestano due iscrizioni datate 1555 e conservate in loco). Allo stretto legame tra il M. e il fratello Sforza allude, invece, un’annotazione, risalente al 1567, riportata sul registro del catasto di Orvieto, che segnala un accordo relativo all’allibramento dei beni di Sforza, concluso a Roma tra due ambasciatori della città e il M., che agì in qualità di procuratore del fratello.
A margine di tali impegni, il M. intraprese alcuni viaggi nella penisola, che egli ricordò nei propri Comentari: nel 1562, passando per Ferrara, si recò a Venezia; nel 1579 andò in pellegrinaggio a Loreto e, pochi mesi dopo, visitò Bologna, Milano e di nuovo Venezia (forse anche per via dei suoi interessi di mecenate musicale); nel 1581 volle conoscere Napoli, «per vedere et imparare» (Comentari historici, l. XX, f. 204).
Alle esigue notizie sulla vita del M. fanno riscontro, viceversa, nutrite informazioni riguardanti i suoi interessi culturali. Intenso fu il suo impegno di patrono musicale: nel 1558 e nel 1563, rispettivamente, fu il dedicatario di due edizioni stampate a Roma dal tipografo Antonio Barré: l’antologia madrigalistica Il secondo libro delle muse, che conteneva anche tre composizioni di G. Pierluigi da Palestrina, e la prima edizione de Il terzo libro de madrigali di Orlando di Lasso.
Nel 1561, il musicista fiammingo Jacob van Kerle, maestro di cappella della cattedrale orvietana, dedicò al M. il proprio Liber psalmorum ad vesperas cum quatuor vocis e il Magnificat octo tonum ... liber primus (entrambi: Venezia, A. Gardano). Nel 1570 fu dedicato al M. Il primo libro de madrigali a cinque et a sei voci di Marcello Tortora (Venezia, G. Scotto). Nel 1568, inoltre, il M. aveva fatto dono di un corposo manoscritto contenente il Canticum B. Mariae Virginis del maestro di cappella della basilica Vaticana Giovanni Animuccia (edito a Roma, presso V. e L. Dorico, lo stesso anno) all’Opera del Duomo di Orvieto, che ancora oggi lo conserva: il codice, che reca sulla coperta lo stemma Monaldeschi della Cervara e il monogramma MM, si apre con la dedica autografa del M., datata Roma, 17 apr. 1568.
Tra il 1580 e il 1584 gli interessi e l'impegno del M. in campo culturale s'indirizzarono verso la celebrazione delle passate glorie della propria stirpe e, per conseguenza, della città che essa aveva dominato in età comunale. Nel 1580 Alfonso Ceccarelli pubblicò Dell’historia di casa Monaldesca libri cinque (Ascoli, G. de Angelis), seguita due anni più tardi dalla sempre sua Breve historia sopra l’albero et vite delli signori Monaldeschi d’Orvieto (Perugia, P.G. Petrucci, 1582).
Nei due testi, il celebre falsario Ceccarelli ricostruisce le vicende della famiglia Monaldeschi a partire dalle presunte origini, rimontanti al tempo di Carlo Magno, fino alla generazione del M. e dei suoi fratelli. Notizie inventate di sana pianta sono mescolate a documenti autentici, provenienti dagli archivi orvietani e soprattutto dall’archivio familiare dei Monaldeschi (in seguito andato perduto). In occasione delle ricerche, il M. passò a Ceccarelli due manoscritti contenenti le antiche cronache medievali di Orvieto. Tali cronache, edite da L. Fumi (Ephemerides Urbevetanae dal Codice Vaticano Urbinate 1745, in Rerum Ital. Scriptores, XV, 5, Città di Castello 1920, fasc. 1; Bologna 1922-29, fasc. 2) e in seguito utilizzate da tutti gli studiosi di cose orvietane, attendono ancora una compiuta analisi filologico-documentaria, che chiarisca se Ceccarelli abbia soltanto utilizzato i testi, oppure li abbia anche interpolati, come era solito fare.
Negli anni Ottanta la celebrazione delle glorie familiari trovò prosecuzione nel patrocinio di alcune raccolte poetiche, che contenevano liriche di vari autori, riconducibili agli ambienti di Acquapendente, Valentano, Farnese e Bolsena, legati per storia e probabilmente per relazioni clientelari alla protezione dei Monaldeschi, oltre che a quella farnesiana: Sonetti et altre rime di diversi autori nuovamente raccolte et date in luce (Orvieto, R. Tintinassi, 1582); A. Donzellini, De gli huomini illustri Monaldeschi della Cervara. Trionfo della fama (Orvieto, R. Tintinassi, 1583) e Rime di vari autori nuovamente raccolte et date in luce (Orvieto, B. Salviani, 1586). Nel medesimo 1583 il geografo Ignazio Danti disegnò e fece incidere, dedicandola al M., una pianta del territorio orvietano che riprendeva la corrispondente area della Tuscia che il medesimo Danti aveva fatto realizzare per la Galleria delle carte geografiche in Vaticano. La stampa riproduce la geografia dell’area orvietana con notevoli inesattezze, finalizzate a valorizzare la centralità della città di Orvieto e l’ampiezza del suo territorio; essa intendeva tratteggiare la massima estensione raggiunta dallo «stato» di Orvieto al tempo della signoria di Ermanno Monaldeschi (prima metà del XIV secolo). L’anno successivo, l’architetto e scultore orvietano Ippolito Scalza, spesso adoperato dai Monaldeschi per le loro committenze artistiche, disegnò e incise a rame una stampa della città di Orvieto, parimenti dedicandola al M.: la stampa di Scalza, ripubblicata nel 1610, servì in seguito da modello a L. Holstenius per la rappresentazione della mappa di Orvieto nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano.
L’acme di questa valorizzazione del passato della famiglia fu raggiunto proprio nel 1584. In quell’anno, infatti, il M. pubblicò a Venezia, presso Francesco Ziletti, la propria unica prova d’autore: i Comentari historici ne’ quali oltre a’ particolari successi della città d’Orvieto et di tutta l’antichissima et nobilissima provincia della Toscana, anticamente descritti, si contengono anco in modo di Annali le cose più notabili che sono successe per tutto il mondo, dall’edificatione di detta città d’Orvieto insino all’anno della Salute nostra MDLXXXIIII (rist. an. Bologna 1984), destinati a divenire una delle fonti erudite più utilizzate per ricostruire la storia orvietana. Nello stesso anno il pittore Cesare Nebbia e i suoi collaboratori terminarono la decorazione pittorica del palazzo Monaldeschi sito a Orvieto.
Nei Comentari, il M. affermò di essersi deciso a scrivere l’opera perché insoddisfatto dello scarso spazio che F. Sansovino aveva riservato ai Monaldeschi nelle sue Famiglie illustri (1582) e perché, nel 1583, era venuto a conoscenza del vasto progetto editoriale elaborato da Aldo Manuzio il Giovane. Questi aveva ideato la realizzazione di una grande Descrittione d’Italia, che intendeva qualificarsi come aggiornamento dell’omonima, fortunatissima opera di Leandro Alberti, sebbene non trovasse compimento. Se questo fu il contesto, il M. tacque però un particolare fondamentale: nel medesimo 1583 Ceccarelli era stato processato a Roma e condannato alla pena capitale in quanto imputato di falsificazioni documentarie. La condanna del falsario delegittimava, per conseguenza, anche le ricostruzioni della storia dei Monaldeschi da lui pubblicate. Al fine di evitare che la celebrazione in chiave genealogico-erudita della storia familiare andasse in fumo, al M. non rimaneva che una soluzione: assemblare, in pochi mesi, un nuovo testo, che riprendeva da vicino quelli allestiti da Ceccarelli, e farlo circolare sotto il proprio, e socialmente autorevole, nome d’autore. In tal maniera, probabilmente, nacquero i Comentari.
Molto meno accurati e più riepilogativi degli scritti di Ceccarelli, i Comentari ne riprendono il tracciato in maniera pedissequa, pur con l’inserimento di talune aggiunte. Il testo alterna blocchi narrativi a lunghe citazioni tratte da una pluralità di autori (Giovanni Villani, Carlo Sigonio, ma anche Annio da Viterbo), sforzandosi, in maniera in verità poco brillante, di inserire le vicende locali nelle più generali vicende storiche, e particolarmente in quelle belliche, della penisola e dell’area toscana. Pur con i suoi limiti, l’opera riuscì a illuminare i due elementi che il M. aveva più a cuore: il plurisecolare radicamento dei Monaldeschi nel territorio orvietano e la loro identità aristocratica di milites, ripercorsa tanto nei secoli medievali quanto nelle più recenti vicende delle guerre d’Italia.
I medesimi temi, e in specie il secondo, trovarono rappresentazione visiva nei cicli affrescati di palazzo Monaldeschi, il cui programma iconografico va ricondotto alla paternità del M.: prendendo a modello la decorazione del palazzo Farnese a Caprarola, la complessa figurazione affrescata celebrava, tra le altre cose, le più significative tappe della carriera militare di Sforza Monaldeschi, tutta dedicata al servizio della famiglia Farnese e altresì alla difesa della religione cattolica (come nel caso della partecipazione alle guerre in Germania contro i principi luterani).
Le ultime due attestazioni documentarie concernenti il M. risalgono al 1589. In quell’anno egli finanziò con 3000 scudi l’erezione, a Torre Alfina, della chiesa e dell’annesso convento dei frati minori; nello stesso torno di mesi compare per l’ultima volta citato nei registri parrocchiali della medesima località.
Il M. morì in data ignota, dopo il 1589, probabilmente a Torre Alfina.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Archivio storico comunale, Catasti, reg. 433, c. 13r; Orvieto, Archivio dell’Opera del Duomo, Camerarii, regg. 154, c. 1r; 170, c. 1r; Ibid., ms. privo di segnatura contenente il Canticum B. Mariae Virginis di G. Animuccia; Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1738, 1745; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Mss., II-VIII-122; L. Fumi, Notizie di scrittori orvietani per il sig. conte Mazzucchelli di Brescia estese dal sig. abate Gio. Battista Febei nel 1751, in Archivio storico per le Marche e per l’Umbria, III (1886), p. 402; Id., Statuti e regesti dell’Opera di Santa Maria di Orvieto. Il Duomo di Orvieto e i suoi restauri (1891), a cura di L. Riccetti, Orvieto-Perugia 2002, pp. 147, 417 s.; Id., L’opera di falsificazione di Alfonso Ceccarelli, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, VIII (1902), pp. 223, 228, 230, 250, 254, 260, 267; P. Perali, Orvieto… dalle origini al 1800, Orvieto 1919, ad ind.; C. Stornajolo, Codices Urbinates Latini, III, Codices 1001-1779, Romae 1921, pp. 657 s., 668; Annali tipografici di Orvieto, a cura di L. Tammaro Conti, Perugia 1977, pp. 5 n. 9, 8 n. 17; A. Petrucci, Ceccarelli, Alfonso, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, p. 200; A. Satolli, La pittura dell’eccellenza, in La pittura a Orvieto dal Rinascimento al manierismo, in Bollettino dell’Istituto storico-artistico orvietano, XXXVI (1980), pp. 17-222, in particolare p. 139; M. Rossi Caponeri, Orvieto e i Farnese (secc. XIII-XV), in I Farnese nella storia d’Italia. Atti del XXII Congresso dell'Associazione nazionale archivistica italiana, Piacenza… 1986, a cura di C. Vela, Firenze 1988, pp. 123-129; Orvieto. Una cattedrale e la sua musica (1450-1610), a cura di B. Brumana - G. Ciliberti, Firenze 1990, pp. 50-54; S. Manglaviti, Urbeveteris antiquae ditionis descriptio: la prima rappresentazione grafica a stampa del territorio orvietano nell’anno giubilare 1583, in Bollettino dell’Istituto storico-artistico orvietano, L-LVII (1994-2001), pp. 375-431, passim; La Galleria delle Carte geografiche in Vaticano, a cura di L. Gambi - A. Pinelli, Modena 1994, Testi, pp. 217-219; R. Pepparulli, I Monaldeschi a Torre Alfina, Trevinano e Acquapendente, in I Monaldeschi nella storia della Tuscia, Atti della Giornata di studio… 1994, a cura di A. Quattranni, Bolsena 1995, pp. 89-101; A. Satolli, Palazzo Monaldeschi, in Orvieto. Interventi per il consolidamento ed il restauro delle strutture di interesse monumentale e archeologico, Roma 1996, pp. 165-185; M. Montalto, Vicende storiche di Torre Alfina (dalle origini al XIX secolo), Torre Alfina 2000, pp. 106 s.; D. Rezza - M. Stocchi, Il Capitolo di S. Pietro in Vaticano dalle origini al XX secolo, Città del Vaticano 2008, pp. 366, 478, 481, 490, 499, 511.