mollities
La m. è per D. caratteristica, negativa, propria di un linguaggio o di certi aspetti di esso eccessivamente femminei, muliebria. In VE I XIV 2, in contrapposto all'esagerata, rude asprezza della vicina parlata di coloro che dicono magara, D. giudica il dialetto romagnolo in tantum muliebre... propter vocabulorum et prolationis mollitiem, quod virum, etiam si viriliter sonet, feminam tamen facit esse credendum (in cui prolatio varrà " pronuncia ", latamente).
Questa caratterizzazione è ripresa in XV 3, dove si dice che i Bolognesi assumono dalla vicina Romagna, e precisamente dagl'Imolesi, lenitatem acque mollitiem (v. BOLOGNA: Lingua; lenitas). Infine in VE II VII 4 è ribadito il nesso tra m. ed effeminatezza di linguaggio: fra i vocaboli che il poeta ‛ tragico ' deve evitare, in quanto non nobilissima, ci sono anche i muliebria propter sui mollitiem, ed è caratteristico che D. esemplifichi questa categoria con termini (dolciada, placevole) strutturalmente del tutto affini a quelli che comparivano appunto nel passo sul romagnolo (XIV 3): ma v. meglio ROMAGNA: Lingua; vocaboli, Teoria dei.
Indubbiamente nell'accostamento fra m. e muliebre avrà agito per D. la connessione etimologica di mulier con mollis, tradizionale e diffusissima (cfr. R. Klinck, Die Lateinische Etymologie des Mittelalters, Monaco 1970, 77-78): tale derivazione di mulier da mollities o da mollis, risalente secondo Lattanzio a Varrone, è attestata puntualmente, oltre che nella trattatistica religiosa ed etica, nei testi canonici dell'etimologismo medievale, da Isidoro da Siviglia (Etym. XII II 18 ss.), a Papias Vocabulista, Uguccione da Pisa e Giovanni da Genova, con diverse possibilità di variazioni concettuali e morali sull'etimo (v. ad es. Isidoro, cit.: " Mulier vero a mollitie, tamquam mollier, detracta littera vel mutata, appellata est mulier ", ecc.).