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La Moldavia è una repubblica parlamentare, indipendente dal 1991 dall’Unione Sovietica. Tra il 1918 e il 1940 la Bessarabia, cioè quella regione del paese oggi sotto l’effettivo controllo del governo, era stata sottratta alla Russia e annessa alla Romania. L’invasione sovietica nel 1940 portò alla creazione della Repubblica socialista sovietica (Rss) moldava, alla quale fu attribuita competenza giurisdizionale anche sull’attuale Transnistria.
Nell’agosto 1989 la Rss di Moldavia iniziò il cammino che l’avrebbe portata all’indipendenza: adottò l’alfabeto latino e sostituì la lingua ufficiale, il russo, con il romeno (lingua poi ufficialmente rinominata ‘moldavo’). Fu durante il tentativo di golpe dell’agosto 1991 nell’ex Urss che la Moldavia sfruttò l’instabilità creatasi a Mosca per dichiararsi indipendente. Nella fase di transizione, il Fronte popolare moldavo, il partito democristiano favorevole all’annessione alla Romania, assunse un ruolo importante. Il forte nazionalismo e le correnti unioniste filo-rumene suscitarono le reazioni dei separatisti russofoni di Transnistria, che sfociarono in una vera guerra civile (marzo-luglio 1992). In seguito alla sconfitta moldava, la Transnistria è divenuta un’entità di fatto indipendente.
La questione transnistriana condiziona profondamente i rapporti diplomatici con la Russia. Sebbene la Moldavia sia parte integrante della Comunità degli stati indipendenti (Cis), le sue relazioni con Mosca sono generalmente tese. Da un lato l’acuirsi della crisi in Ucraina – che ha rinfocolato i sentimenti secessionisti in Transnistria e in Gagauzia (regione autonoma turcofona a maggioranza russa) – e dall’altro la firma del Dcfta (Deep and Comprehensive Free Trade Area) – avvenuta a Vilnius il 29 novembre 2013 in occasione del terzo vertice sul Partenariato orientale e parte integrante di un accordo di associazione con l’Unione Europea, firmato il 27 giugno 2014 – hanno avuto pesanti ricadute nelle relazioni tra Chișinău e Mosca. Già dalla fine del 2013 il vice primo ministro russo Dimitri Rogozin aveva minacciato ritorsioni commerciali (tagli a forniture di gas e prodotti alimentari) e l’apertura di consolati in Transnistria, nonché un irrigidimento della posizione russa sulla risoluzione dello status del territorio. Mosca può esercitare nei confronti della Moldavia importanti leve economiche, data la dipendenza di Chișinău dalle forniture energetiche e commerciali russe, capaci di influenzare il corso politico moldavo. Parimenti strategiche sono le relazioni con la Romania. I rapporti reciproci sono cordiali, ma in Moldavia resistono forti tensioni tra gli annessionisti, favorevoli all’unificazione con la Romania, e gli indipendentisti.
Il Partito comunista moldavo (Pcrm), storicamente legato da affinità ideologiche a Mosca, è stato a lungo molto influente sulla politica moldava, divenendo nel 1998 il primo partito del paese. Una volta al potere, è andato lentamente mutando le sue posizioni e oggi non pone più eccessiva enfasi sul ritorno alla nazionalizzazione e collettivizzazione dell’economia, dimostrandosi anzi favorevole a un eventuale ingresso nell’Eu. I risultati delle elezioni anticipate di luglio 2009 hanno portato alla guida del governo la coalizione filo-occidentale, Alleanza per l’integrazione europea (Aei), confermatasi alla testa del paese anche alle consultazioni parlamentari del novembre 2010. Nel novembre 2014 nuove elezioni hanno nuovamente assicurato la maggioranza parlamentare ai partiti europeisti: Partito liberal democratico (Ldp, 20,2%), Partito democratico (Dp, 15,8%) e Partito liberale (Lp, 9,7%). I partiti filorussi hanno ottenuto invece complessivamente il 38%. Il governo ha avuto tuttavia durata breve e la coalizione ne ha formato un secondo nel luglio 2015, guidato dal liberal-democratico Valeriu Strelet, anch’esso sfiduciato nell’ottobre 2015. Anche l’attuale formazione governativa, guidata da Gheorghe Brega, si presenta strutturalmente fragile e sembra destinata a non portare a termine il mandato istituzionale.
Nel 2000 una riforma costituzionale ha modificato la forma di governo del paese, mutandola da sistema presidenziale a parlamentare. Il parlamento è composto da 101 membri, in carica per quattro anni. Il presidente viene eletto ogni quattro anni a maggioranza parlamentare qualificata. Tra i suoi poteri rientra la nomina del primo ministro, il quale, però, deve ottenere il consenso della maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale. Creare maggioranze più ampie possibili in parlamento è fra l’altro necessario per evitare che si creino pericolose crisi istituzionali, come quella che dal giugno 2009 al marzo 2012 ha lasciato il paese senza un capo di stato, a causa dei veti politici incrociati. Così, dopo il mandato presidenziale retto ad interim dall’uscente Marian Lupu, nel marzo 2012 si è superata l’impasse con l’elezione di Nicolae Timofti, magistrato e figura indipendente che ha contribuito con il suo mandato alla normalizzazione della vita politica nazionale e all’apertura delle relazioni internazionali con l’Eu.
Il paese è stato fortemente scosso nel 2014 da uno scandalo bancario che ha coinvolto tre dei principali istituti di credito nazionali: Banca de Economii (Bem), Banca Sociala e Unibank, al momento poste sotto sorveglianza speciale da parte della Banca centrale moldava. Attraverso transazioni irregolari verso il Regno Unito e Hong Kong sono stati sottratti dai conti di questi istituti circa 1 miliardo di dollari. L’intervento di salvataggio da parte della Banca centrale ha avuto dei costi altissimi (il 16% del pil) sulle finanze nazionali. Proprio la spesa per il tentativo di salvataggio delle banche è stato uno dei fattori che hanno portato all’aumento delle tariffe energetiche, decisione molto impopolare e che ha contribuito al diffondersi di una serie di manifestazioni contro il governo. Le proteste del settembre 2015 contro la corruzione dilagante e le conseguenze dello scandalo hanno portato alle dimissioni del governatore della Banca centrale. In attesa di un’accurata inchiesta sull’accaduto l’Unione Europea (Eu) e la Banca Mondiale (Wb) hanno interrotto l’invio di aiuti verso il paese, mentre il Fondo Monetario Internazionale (Imf) ha dichiarato necessaria la chiusura dei tre istituti di credito per evitare nuove truffe.
La Moldavia è tra i più piccoli paesi emersi dalla dissoluzione sovietica, con una popolazione di poco più di 3.500.000 abitanti. Dal punto di vista etnico, nel territorio controllato dal governo centrale i moldavi sono il 75,8% della popolazione, gli ucraini l’8,4% e i russi il 6%. Il russo è parlato come prima lingua dal 16% della popolazione totale, ma è conosciuto dalla maggioranza degli abitanti ed è spesso utilizzato come lingua franca. La ‘russificazione’ forzata del periodo sovietico ha tuttavia provocato gravi contrasti tra russi e moldavi.
Oltre alla Transnistria, vi è un altro caso analogo a poco più di cento chilometri a sud dalla capitale Chișinău: la Gagauzia – abitata da una popolazione turcofona di religione cristiano-ortodossa – che, dotata di ampia autonomia, ha rivendicato sull’onda della crisi ucraina la sua indipendenza dalla Moldavia.
Una serie di riforme varate dal governo nel 2010 hanno permesso al paese di migliorare la condizione della stampa e dei media, facendo avanzare la Moldavia da stato “non libero” a stato “parzialmente libero” nella classifica mondiale di Freedom House sulla libertà di stampa. Importanti ostacoli, finanziari e politici, permangono tuttavia ancora oggi per lo sviluppo di una stampa libera e indipendente nel paese.
La Moldavia è il paese più povero d’Europa. Negli anni successivi all’indipendenza sfiorò il collasso economico: all’interruzione dei legami commerciali e delle tariffe agevolate sull’energia dell’era sovietica si sommarono le difficoltà legate alla questione transnistriana, il cui territorio ospitava la maggior parte dell’industria pesante moldava. Oggi la Moldavia resta un paese prettamente agricolo e dipendente dalle esportazioni di prodotti alimentari (in particolare vino e ortofrutta) soprattutto verso la Russia. Questo fattore spiega in parte il passaggio da un’economia in crescita del 5% nel 2014, al segno negativo nell’andamento del pil per il 2015 (-1%): la svalutazione del rublo e il diminuito potere d’acquisto russo hanno pesato gravemente sul sistema delle esportazioni moldavo, penalizzato anche dallo stop all’acquisto di prodotti alimentari Eu da parte di Mosca (che ha contribuito a ridurre la richiesta di prodotti moldavi in Europa).
Dal 2003 al 2008 l’economia ha registrato una crescita sostenuta (oltre il 6% del pil annuo) e, alla recessione del 2009 (-6,1%), ha risposto con una netta ripresa nel biennio 2010-11 (5,7% e 6,4%). Nel 2012 c’è stato un nuovo pesante calo del pil (0,8%), causato dalla flessione della domanda europea nei prodotti agricoli e dalla contrazione della produzione industriale. La ripresa dei consumi interni e delle esportazioni ha sostenuto un rilancio dell’economia nazionale nel 2014, seguito da un rallentamento nel 2015. La posizione fiscale moldava è stata sostenuta negli ultimi anni anche da un forte aumento delle rimesse estere che nel 2014 hanno fatto confluire oltre due miliardi di dollari nel paese, ovvero quasi un terzo del pil. Proprio il flusso delle rimesse, affiancato agli alti prezzi energetici, ha sostenuto una forte inflazione annuale, sospinta per il 2015 anche dall’urgenza di battere moneta per rifinanziare le tre banche coinvolte in una grande truffa di portata nazionale.
Le importazioni di gas naturale provengono quasi interamente dalla Russia. Come accaduto in passato anche per altri ex paesi sovietici dipendenti dagli approvvigionamenti energetici russi, la posizione di forza di Mosca è stata spesso utilizzata per ottenere più ampie concessioni politiche o strategiche. La Russia rimane un partner fondamentale per la Moldavia. Nell’ottobre 2011 i due paesi hanno siglato un accordo di libero scambio che ha indotto Mosca a rimuovere le restrizioni sulle importazioni di vino moldavo e ad accordare al paese uno sconto sui prezzi del gas praticati nel 2012: misure reintrodotte nell’agosto 2013 dopo che Chişinău ha costruito un gasdotto (Ungheni Iaşi Pipeline) che collega la Moldavia alla rete di trasmissione romena e, quindi, al network europeo. Questo progetto rappresenta sia una svolta nella politica degli approvvigionamenti energetici moldavi, sia un rafforzamento dei legami con Bruxelles in funzione anti-russa.
La Costituzione moldava sancisce la neutralità permanente del paese. Per questo motivo, Chişinău non partecipa all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) e non è un membro della Nato, nonostante cooperi con quest’ultima nel programma ‘Partnership for Peace’ e abbia negoziato due ‘Individual Partnership Action Plan’ (2006 e 2010) che stabiliscono le linee guida della cooperazione bilaterale. Benché le forze di difesa moldave si basino sul principio dell’autosufficienza da potenziali partner esteri, nell’ottobre 2012 il paese è entrato a far parte della Global Peace Operations Initiative statunitense, programma finalizzato a sostenere le capacità operative in operazioni di peacekeeping. A dimostrazione della stretta relazione con le istituzioni occidentali, Moldavia e Romania – quest’ultima membro della Nato – hanno sottoscritto nell’aprile 2012 un accordo di cooperazione militare.
La Moldavia mira alla restaurazione dell’integrità nazionale e al ritiro delle forze russe dal territorio separatista. In secondo luogo, obiettivo strategico di Chişinău è quello di difendersi da possibili minacce di coercizione internazionale (attraverso leve economiche, militari o energetiche), rafforzando l’ integrazione con l’Eu e l’Alleanza atlantica.
L’esercito moldavo oggi versa in gravi difficoltà: la spesa militare è molto limitata (0,36% del pil nel 2014), più di un quinto degli ufficiali inferiori ha lasciato l’esercito dopo il 2005. La Dottrina di riforma militare, adottata nel 2004, ha avviato la ristrutturazione e la modernizzazione dell’esercito: l’ammodernamento dell’arsenale militare e una migliore organizzazione delle forze moldave permetterebbero di effettuare operazioni congiunte con i partner occidentali.
La Transnistria, o nella dizione russa Pridnestrovie, è uno stato indipendente de facto dal 1992, non riconosciuto a livello internazionale poiché considerato ufficialmente come parte della Moldavia. La regione, delimitata a occidente dal fiume Nistro e a oriente dall’Ucraina, si è data un governo e un parlamento con sede a Tiraspol, una propria moneta, una banca centrale e dogane autonome. La Transnistria occupa circa un decimo del territorio della Moldavia odierna e ospita poco più di mezzo milione di abitanti. Rispetto alle regioni moldave controllate da Chișinău, la popolazione è urbanizzata (circa il 70%) e una maggioranza relativa di persone parla l’ucraino come prima lingua. Etnicamente la composizione è mista: il 32% della popolazione è moldava, il 30% russa e il 29% ucraina. L’economia transnistriana è sostenuta dall’industria pesante: il 60% delle sue esportazioni e quasi un terzo dei redditi del paese provengono dal comparto siderurgico.
Nel periodo sovietico precedente al 1940, la Transnistria faceva parte della Rss di Ucraina con il nome di Repubblica di Moldavia e godeva di una forte autonomia. In seguito all’occupazione sovietica della Moldavia romena, la costituzione della Rss di Moldavia riunì sotto un’unica giurisdizione i due territori, che tuttavia restarono molto diversi da un punto di vista etnico. A differenza del resto del paese, in cui i moldavi erano già preponderanti, dal censimento del 1989 risulta che in quel periodo la Transnistria fosse abitata da una maggioranza di russi e ucraini (54%) e solo per il 40% di moldavi. Le ragioni di questo squilibrio demografico risiedono soprattutto nella presenza in Transnistria degli stabilimenti industriali sovietici, presso cui le autorità comuniste inviavano prevalentemente lavoratori di altre regioni dell’Urss. Fin dal 1991 le forze della Transnistria, che aveva dichiarato la propria indipendenza l’anno precedente, si sono scontrate con la polizia moldava. Nel 1992, le ostilità si trasformarono in una guerra aperta. Nel corso del conflitto, la 14° armata sovietica di stanza a Tiraspol, composta da circa 14.000 soldati e coadiuvata da quasi 5000 volontari russi e ucraini, protesse la Transnistria fino al definitivo ritiro dell’esercito moldavo. Mosca non agì di nascosto: il vice presidente russo Aleksander Ruckoj incoraggiò apertamente i separatisti e lo stesso fece il governo ucraino. Il cessate il fuoco, firmato da Russia e Moldavia al termine delle ostilità, prevedeva lo schieramento di un contingente di forze di peacekeeping lungo il fiume Nistro (per una fascia di 255 km di lunghezza e 12-20 km di larghezza).
Oggi queste forze sono composte da 403 soldati moldavi, 411 della Transnistria e 385 russi, mentre un contingente di circa mille truppe russe resta ancora sul territorio, sebbene l’accordo imporrebbe la loro smobilitazione. La Russia rimane l’attore principe per la risoluzione del conflitto, date anche le notevoli leve politiche ed economiche da esercitare su entrambe le parti. La crisi in Ucraina e l’annessione della Crimea alla Russia hanno dato nuova forza alle tendenze secessioniste della regione che, nel marzo 2014, ha chiesto ufficialmente di essere annessa a Mosca.
Dal marzo 2014 gli incontri a Vienna per negoziare la risoluzione del conflitto congelato hanno ripreso a verificarsi con una certa frequenza: avviati nel 2005 dal cosiddetto 5+2 (ovvero Moldavia, Trasnistria, Osce, Ucraina e Russia unitamente a Unione Europea e Stati Uniti come osservatori), hanno per oggetto lo status giuridico della Transnistria, le garanzie sulla neutralità del Paese, il ritiro delle truppe russe, la tutela delle minoranze russofone e i diritti di proprietà acquisiti da parte russa. Un incontro si è tenuto all’inizio di giugno 2015, facendo però registrare pochi passi avanti rispetto all’attuale status quo.