MOLDAVIA (romeno Moldova; A. T., 79-80)
Regione della Romania, compresa tra i Carpazî e il Prut e confinante a nord con la Bucovina, a ovest con la Transilvania, a sud con la Valacchia (Muntenia) e per brevissimo tratto con la Dobrugia, a est con la Bessarabia. Ha una superficie di 38.058 kmq. (un po' meno della Svizzera) e comprende un ampio tratto del versante orientale dei Carpazî Moldavi (v. carpazî) e la sezione più occidentale, tra i Carpazi e il Prut, del tavolato di rocce paleozoiche e mesozoiche, ricoperte da una coltre potente di sedimentazioni cenozoiche, che forma anche la Bessarabia ed è un lembo della cosiddetta piattaforma russa. Il Siret e il Prut, tributarî del Danubio, e i loro numerosissimi affluenti, fiumi tutti diretti nel complesso verso il sud, hanno inciso il tavolato con ampie vallate, dal fondo spesso paludoso, e col modellamento lo hanno ridotto a una regione di dolci colline, alte raramente più di 400 m., e di molli ondulazioni, coperte qua e là da belle foreste, ma in gran parte occupate da colture di cereali. Solo nella Moldavia centrale il rilievo si presenta piuttosto accidentato, con valli profonde e alture che giungono anche a un'altezza di 600 m. circa (a nord di Pascani, 593 m.). Qui la foresta ha ancora il predominio, e le colture si estendono su meno della metà del paese.
Il versante orientale dei Carpazî Moldavi, che fa parte appunto della Moldavia, mentre quello occidentale rientra nella Transilvania, è costituito da una serie esterna di dorsali formate prevalentemente da arenarie scistose del Nummulitico medio e da conglomerati, molasse e marne neogeniche, con forme relativamente dolci e soggette a intensa erosione, soprattutto sulle pendici più ripide; e, internamente, da una fascia di pieghe di calcari del Cretacico (affiora specialmente il Cretacico superiore) e da una serie di dorsali e di gruppi montuosi costituiti da antichi scisti cristallini, da rocce massicce e da calcari cristallini, dove la morfologia si presenta assai aspra. Nei gruppi montuosi più elevati (Budacu, 1864 m.; Ceahlău, 1904 m., ecc.), nelle zone superiori ai 1800 m., e particolarmente sui versanti volti a nord, si rinvengono forme glaciali (circhi, valli a truogolo glaciale, ecc.). Il passaggio dei Carpazî è relativamente facile, perché i valichi sono numerosi e bassi: i più frequentati sono quelli di Tulghef, a 645 m., di Ghimeṣ, a 720 m., e di Oituz, a 865 m. Più che veri passi, sono solchi trasversali incisi dai fiumi per aprirsi un varco attraverso i terreni arenacei. Il passo di Ghimeş è percorso dalla ferrovia Ad) udu Nou-Petru Rareş, che collega le ferrovie moldave a quelle transilvane.
Il clima della Moldavia è prettamente continentale, con fortissime escursioni annue e diurne, con piogge scarse nella zona collinare, dove non superano i 600 mm. annui e vanno diminuendo da O. a E. (nella parte orientale, 400-500 mm. soltanto); abbastanza copiose, invece, sui Carpazî, dove si superano pure i 900 mm. L'estate è la stagione più piovosa.
La popolazione della Moldavia, è risultata, nel censimento del 1930, di 2.413.000 ab., in maggioranza agricoltori e in assoluta prevalenza Romeni; relativamente numerosi sono gli Ebrei nella Moldavia settentrionale e in tutte le città principali; piccole isole etniche di Magiari si trovano poi nei dipartimenti di Bacău e di Roman. La valle del Siret, dove sboccano i passi carpatici e dov'è attivissima la circolazione, rappresenta l'asse di popolamento della Moldavia. La densità media per tutta la regione è di 63 ab. per kmq.; i dipartimenti relativamente più popolati sono quelli di Iaşi (85 abitanti per kmq.), Roman (81), Covurlui (79), Dorohoi (73) e Botofani (70). Solo due dipartimenti (Baia e Fălciu) hanno meno di 50 ab. per kmq. L'insediamento rurale nella regione collinosa è in prevalenza misto, cioè in case sparse e piccoli villaggi; nella zona carpatica prevale l'insediamento nei cosiddetti villaggi frazionati. Le città principali sono Iaşi, capitale storica della Moldavia e suo maggiore centro culturale (università), con 103.000 ab. (per quasi la metà Ebrei) e Galaţi (101.000 ab.), con attivissimo porto sul Danubio (esportazione di cereali soprattutto, poi di legname e petrolio). Seguono Botoşani (32.100 ab.), Roman (29.000 ab.), Piatra-Neamţ (30.200 ab.), Bacău (31.300 ab.), Focşani (32.800), Bârlad (26.200 ab.).
La Moldavia è una regione essenzialmente agricola, e costituisce una delle maggiori zone cerealicole della Romania (le colture di cereali occupano circa il 40% della superficie totale). Vi si coltiva soprattutto granoturco, in media su 680.000 ettari, che dànno annualmente oltre 7 milioni e mezzo di quintali di prodotto; poi grano (circa 250.000 ettari, 2 milioni di quintali), avena (280.000 ettari, 2,4 milioni di quintali), orzo (300.000 ett., 2,3 milioni di q.). Notevoli pure le colture delle patate, dei legumi (fagioli), delle barbabietole da zucchero, del tabacco (nei dipartimenti di Fălciu, Tutova e Vaslui), e importante la coltivazione della vite (51.000 ettari di vigneti), specialmente nei dipartimenti di Putna (il primo dipartimento della Romania per la percentuale di terreno occupata da vigneti: 5,4%), Tecuci e Covurlui.
Ragguardevole l'allevammento del bestiame (289.000 equini, 794.000 bovini, 2.255.000 ovini e 437.000 suini nel 1927), che dispone di pascoli naturali e di prati artificiali per un complesso di 528.000 ettari (il 14% della superficie della Moldavia). Le foreste coprono ancora oltre la metà (50,6%) della zona carpatica, ma rappresentano soltanto il 12% della superficie della zona collinare; l'estensione della superficie della zona forestale è di 1.125.000 ettari (30% della superficie della regione). Lo sfruttamento di esse è in via di sviluppo.
La maggiore ricchezza mineraria della Moldavia è il petrolio, che si rinviene in abbondanza ai piedi dei Carpazî, nelle valli della Bistriţa e del Siret; questi giacimenti, tuttavia, non possono neppure lontanamente competere con quelli valacchi. Il giacimento di salgemma di Târgul Ocna (dip. di Bacău) è uno dei maggiori della Romania.
Tra le industrie della regione, assai varie, ma in prevalenza agricole, sono da ricordare: l'industria molitoria (Galaţi, Focsani, Iaşi), l'industria dello zucchero (Botoşani, Roman, Bacău), della carta (Bacău, Piatra) e del legno (Bacău), le industrie chimiche (Maraşeşti), e tessili (cotonifici e linifici a Iaţi). A Galaţi, infine, vi sono cantieri navali.
Le vie di comunicazione principali sono rappresentate dalle due linee ferroviarie longitudinali Bucarest-Focşani-Bacău-Roman Cernăuţi e Galaţi-Tecuci-Bârlad-Iaişi, alle quali s'innestano varie linee trasversali che mettono in comunicazione la Moldavia con la Transilvania e la Bessarabia. La maggior parte del commercio estero della Moldavia passa per il porto di Galali.
Storia. - Il territorio che venne occupato verso la metà del secolo XIV dai fondatori del principato di Moldavia non racchiudeva, come quello che costituiva già il vicino principato di Valacchia, un numero definito di distretti (Judeţe, giudicarie), ognuno governato da un giudice (jude) e riuniti sotto l'autorità di un duca (chiamato con termine slavo voevod): i villaggi erano senza unità, senza organizzazione. E la cosa si spiega col fatto che al disopra di queste forme embrionali di aggruppamento per villaggi, stava un potere sovrano straniero, quello dei Tatari, che occupavano tutta la parte orientale dell'Europa, già dalla metà del sec. XIII. Occorreva che questa dominazione, già indebolita dalle rivolte dei Russi, scomparisse, perché sorgesse la possibilità di creare il secondo degli stati romeni. E ciò avvenne per le campagne contro i Tatari intraprese dal re Luigi il Grande d'Ungheria. La storia di queste campagne, per mancanza di fonti, non è nota; ma si sa che Luigi volle consolidare il risultato della sua conquista, stabilendo nel territorio sottomesso un capo militare e politico che non poteva essere che uno dei voivodi romeni, gente avvezza a combattere contro i Tatari, a impiegare, accanto alla spada occidentale, l'arco di questi nomadi. Di essi v'era buon numero non soltanto nella Transilvania (dove poi l'istituzione era già decaduta), ma soprattutto nel comitato di Maramureş e nelle parti vicine, dove molti erano allora i Romeni. Re Luigi si servì pertanto di queste forze di avanguardia, di questi militi, avidi di gloria e di ricompense, i cosiddetti viteaz.
La missione d'impedire il ritorno offensivo dei Tatari fu affidata al voivoda Dragoş. Nel momento in cui egli fu mandato a oriente dei Caroazî, la corona di Ungheria possedeva già nelle vallate della futura Moldavia una vecchia colonia che l'invasione tatara aveva rovinata, ma che era stata ricostruita. Gruppi di contadini ungheresi erano stati trapiantati intorno alle miniere di sale di Slănic e nella vicina borgata di Ocna, nonché a Bacău, che fu poi residenza di un vescovo cattolico, assistito da francescani di origine transilvana (i nomi della località mostrano la presenza di tali colonie a Agiud, a Sascut e altrove). Ma per Dragoş fu scelta un'altra posizione, più adatta agli scopi militari che si avevano in vista: la cittadina di Baia (dall'ungherese banya "miniera"), dove già dal principio del sec. XIII i Sassoni avevano stabilito una colonia. Per i Sassoni stessi, i cui discendenti possono essere facilmente riconosciuti dalle loro chiome bionde tra i contadini dei dintorni, la località si chiamava Mulda; per gli Ungheresi Moldvabanya, perché era posta sulla riviera di Moldava che scende fino a Roman - che non esisteva allora -, dove entra nel Sereth. Dragoş fu dunque principe romeno della terra moldava ("moldvana", come dicono le fonti contemporanee). La sua opera, di semplice difesa, ci è rimasta assolutamente sconosciuta. Si sa soltanto che ebbe un figlio, a cui fu affidato lo stesso compito, Sas, e che questi dovette abbandonare la "terra moldava" per l'inaspettata ribellione all'autorità regia del voivoda di Maramuneş, Bogdan, sceso anche lui nella Moldavia (metà del sec. XIV).
Verso il 1360, quando la crociata contro pagani e altri infedeli rifioriva con novello vigore, il voivoda Bogdan era diventato domn (dominus) assolutamente autonomo: una dinastia nuova era sorta, la quale doveva resistere a tutte le minacce e a tutti i pericoli. Il re d'Ungheria fu costretto a difendere, contro il nuovo stato moldavo, i suoi possessi, concedendo alla fmmiglia di Sas nuovi territorî nel comitato di Maramuref e organizzando una marca orientale che conteneva il comitato sassone di Bistritz (Bistriţa) e il paese dei Siculi.
Lo stato moldavo si stendeva da Baia fino alla borgata di Siretiv. Perché si ampliasse verso il sud, fino a includere Suceava, seconda e diuturna capitale, bisognava che un altro ramo della famiglia di Bogdan giungesse al potere: il ramo proveniente dal matrimonio di Margherita, figlia ed erede di Laţco (figlio di Bogdan), probabilmente con un voivoda Stefano, di origine sconosciuta. Da esso nacquero Pietro, Romano e Stefano; e si originò la dinastia dei Musat, discendenti di Margherita (detta in romeno Muşata "la bella"). Con Romano lo stato moldavo giungeva già alla confluenza del fiume Moldava col Siret, e lì Romano edificò la città che porta il suo nome, stabilendovi un vescovo, un preteso metropolita del "Paese Inferiore", della Ţara. Sotto lo stesso Romano la difficile opera di sopprimere gli ultimi resti della dominazione tatara era compiuta. Il principe si poteva gloriare, dopo il 1390, di possedere tutto il paese "dai monti al mare" (Nero). Sotto Alessandro, figlio di Romano, si potevano portare a Suceava dal vecchio Moncastro genovese, le reliquie del santo trapezuntino S. Giovanni il Nuovo; poi i Genovesi abbandonavano al principe possente e ricco l'amministrazione di Moncastro.
Il paese rimase come prima un insieme di villaggi autonomi, in quelle condizioni tradizionali che si possono chiamare la "Romanie": cioè i territorî abbandonati dall'impero ma non occupati dai barbari, che si organizzano da sé e vivono senz'altra dipendenza che quella, lontana e formale, dell'imperatore, ormai sostituito da un'autorità vicina e presente, quella del Domnè, del voivoda. L'antico diritto orale si mantenne immutato (le liti erano giudicate dagli "uomini buoni e vecchi" - o ameni buni şi bǎtrâni -; la contribuzione dovuta al conquistatore era ripartita dagli anziani del villaggio; alla guerra si andava in compagnia, tra parenti (perché gli abitanti del villaggio erano tutti discendenti dello stesso avo) sotto il comando di un capo che più tardi è intitolato vătăman (da Hauptmann, per trascrizione slava). Al disopra erano i nobili, a cui erano state concesse terre del principe, dopo che questi aveva stabilito il suo dominio; nei pochi documenti dell'epoca si trova la menzione di un boiar di Şomuz (leggi Sciomus), di Ciartoroaia (come i Czartoryski polacchi) e di Dorohoiu ("la borgata della gran via" in slavo). Questi nobili rivestivano la dignità del nuovo stato e figuravano come testimonî e come mallevadori del principe negli atti di donazione. La grande arteria commerciale che passava per Dorohoiu si era formata in quel momento stesso dopo che due avvenimenti decisivi si erano succeduti nel sud-est europeo: da una parte la creazione della Gazaria genovese sul Mar Nero, nella Crimea e su tutto il territorio circostante, dalle foci del Danubio fino al Caucaso sulla vecchia terra tatara; dall'altra la riunione alla corona di Polonia di quelle terre di Halicz (v. galizia), già dominate da signori o signorotti russi, frammenti politici dell'antica Russia Rossa di Cracovia e di Leopoli, diventata ora per quasi un secolo un paese lituano. Infatti, subito dopo questi eventi, Tedeschi e Armeni di Galizia, altri Armeni da Caffa, rifugio degli esuli asiatici dopo la conquista turca, vennero in Moldavia e diedero una vita attiva alle borgate di Suceava e di Siretiu, poi anche a Botoşani e a Iaşi (v.).
Il principe conservava il senso della sua prima situazione: era voivoda, capo di esercito. Il suo primo dovere fu di creare cittadelle, fino a Roman, poi anche al di là fino a Milcov, antico vescovado cattolico rovinato dai Tatari, dove sorse la fortezza di Crociuna. Per i suoi nobili, (i boiari) era il capitano della conquista e il signore degli eserciti, con diritto di dare e togliere donazioni di terre, di pronunziare sentenze capitali. Per il resto della popolazione era il padrone assoluto, quasi un cesare bizantino riapparso sulle sponde del Danubio.
Instabile era però ancora la sua situazione di fronte ai sovrani vicini, di cui più di uno si considerava vero e solo padrone della terra moldava.
L'Ungheria cercò sotto Luigi di riprendere un territorio che riteneva fosse suo; il genero di Luigi, il re Sigismondo, tentò una invasione, mentre era voivoda Stefano I, ma fu sconfitto. Dal lato ungherese non si tornò a guerra che nel 1467, quando Mattia Corvino, che credeva di avere già conquistato questa sua provincia, fu battuto da Stefano il Grande (1457-1504) e costretto a ritirarsi fra le casucce dei Sassoni di Baira. Dopo l'insuccesso, il re Mattia cercò di trattare il voivoda Stefano come un alleato necessario; e gli diede anche possessi transilvani, come il dominio di Ciceu (ungh. Csicsó) e l'importante mercato di Cetatea-de-Baltă (Kükülövár), nel bel mezzo della Transilvania. Il successore di Mattia intervenne anche come mediatore tra Stefano e i Polacchi. Negli ultimi anni del regno d'Ungheria, i Moldavi non presero però nessuna parte alla lotta disperata contro i Turchi di Ludovico II, che doveva morire a Mohács, nel 1526.
Altri pretendenti alle terre moldave erano i re di Polonia. Questi non avevano nessun diritto sulla Moldavia in sé, mai conquistata, mai occupata; ma divennero sovrani dei voivoda moldavi quando questi si spinsero verso il nord, per varî dei territorî di nuovo acquisto. Re Casimiro di Polonia era infatti diventato signore della Galizia, erede di principi russi che erano forse scesi giù nelle vallate del Prut e del Siret; ora i primi sovrani moldavi vollero acquistare anche le sorgenti dei fiumi che bagnavano il loro stato, cioè avvicinarsi ai territorî ormai dominio dei re polacchi. Così Pietro ottenne il territorio della futura Bucovina, con la fortezza di Ţeţina o Ţiţina (leggi: Zezina, Zizina) sul Prut, dove oggi è la città di Cernăuţi, di Hotin (russo Chotin, polacco Choczym) sul Dnestr e di Chmelov, scomparsa. Si ottenne anche, per un prestito di 3000 monete "franche" genovesi, fatto al nuovo re polacco Ladislao Jagellone, la zona di Pokucie, con le borgate di Kołomyia e Śniatyn, nella Galizia. Il prestito era, come nel caso analogo dell'imperatore Sigismondo di fronte agli Hohenzollern nella marca di Brandeburgo, soltanto il mezzo per evitare al re di Polonia il discredito di una cessione territoriale pura e semplice. Per questa nuova provincia i principi moldavi dovettero rendere omaggio al re di Polonia: nel 1387 Pietro si presentò dunque dinnanzi al suo signore, a Leopoli e, sotto Alessandro il Buono, suo nipote, più di una volta questi legami furono rinsaldati. Ma i re polacchi li considerarono come riguardanti tutto il principato di Moldavia, e non solo la terra di Halicz. Alessandro mandò anche un suo contingente in aiuto al re di Polonia contro l'Ordine Teutonico, e, sposando lui stesso una parente di Ladislao, diede in moglie al figlio Elia un'altra principessa lituana. Elia consentì anche a mandare un presente annuo, in denaro e oggetti, al re di Polonia. Così i re di Polonia, ritenendosi signori della Moldavia, giunsero sino a preparare l'annessione alla Polonia della Moldavia marittima col vecchio porto genovese di Moncastro (Cetatea-Albă) dove risiedeva come principe di una metà della Moldavia, divisa dalle discordie civili, Alessandro il Giovane, figlio della principessa lituana Marynka. Ma ogni progresso polacco verso il sud fu fermato dall'offensiva ottomana. Una sola volta il re Giovanni Alberto, figlio di Casimiro II, consigliato dal fiorentino Filippo Buonaccorsi suo precettore, fingendo di voler aiutare il voivoda Stefano il Grande riprese il progetto di avanzare fino al Mar Nero, dove già dominavano i bey turchi, ma fu costretto ad abbandonare l'impresa e nel ritorno perdette nei boschi della Bucovina la maggior parte del suo esercito.
Nei primi tempi dell'espansione turca, la Moldavia era veramente al di là della zona che interessava i sultani: solo una volta, e questo in relazione con gli avvenimenti politici della Valacchia, alla fine del regno di Alessandro il Buono si giunge a un conflitto tra la Moldavia e i Turchi. Ma vent'anni dopo, quando Maometto II era già padrone di Costantinopoli, nel 1455, Pietro Aarone, uno dei figli illegittimi di Alessandro, riscattò con un tributo la libertà del suo paese. Da allora il principato fu ritenuto dai Turchi come obbligato a un annuo tributo, per una somma fissa. Stefano il Grande lo pagò e partecipò all'attacco turco contro il vicino di Valacchia Vlad Ţepeş (leggi Zepesc) sperando di poter tenere per sé Chilia (Licostomo) sul Basso Danubio. Ma in breve Maometto gli richiese la cessione di Chilia e anche di Moncastro. Stefano, che aveva già invaso il principato valacco dove regnava Radu il Bello, vinse il beglerbey Solimano nel 1475, ma fu vinto nell'anno seguente; riuscì a tenere per allora le due preziose città di commercio, ma nel 1484 un improvviso assalto di Baiazet II, figlio di Maometto, gli tolse i due emporî che furono riuniti ai possessi dell'impero. Invano Stefano cercò una rivincita. Ritornato sotto la protezione del sultano, si servì anzi dei Turchi per vendicarsi contro la Polonia, il cui re Giovanni Alberto aveva voluto scacciarlo dalla sua eredità.
Sempre più s'impose la prepotenza ottomana. I Tatari, sottomessi già al primato del sultano, furono impiegati contro la Moldavia (all'inizio del sec. XVI una parte dei nogai della Crimea fu stabilita nella Bessarabia meridionale e nella Dobrugia contro Pietro Rareş, ambizioso e irrequieto figlio di Stefano); poi il sultano Solimano aggiunse Tighina, diventata Bender, con tutti i dintorni, ai dominî turchi (1538). Nel 1575 sotto Giovanni il Terribile, poi nel 1595 sotto il principe Aarone, si tentarono rivolte contro i Turchi, troppo ingiusti ed esigenti.
I Polacchi, guidati dall'energico cancelliere e atamano Giovanni Zamojski, cercarono bensì di far giungere la loro frontiera fino al Danubio: la famiglia principesca dei Movilă, che governò la Moldavia nella prima metà del sec. XVII, fu impiegata a tale scopo. Ma il disastro di questa dinastia fece svanire tali arditi progetti; e quando l'avventuriero principe Gaspare Graziani volle rinnovarli nel 1620, un esercito polacco intero perì sulla terra moldava. Da allora, i principi moldavi furono ubbidienti al sultano. Solo quando Murad IV impiegò in Asia, contro Baghdād, tutte le forze dell'impero, il principe Basilio Lupu regnò quasi vent'anni come un re indipendente, proteggendo la chiesa orientale e cercando anche di sottomettere alla sua dinastia il principato valacco. Trascorsero più di cinquant'anni fino alla nuova rivolta moldava, capitanata da Demetrio Cantemir alleato dello zar di Russia (1711). Come per la vicina Valacchia, il sec. XVIII significò anche per la Moldavia il governo dei Fanarioti, soprattutto greci ma anche romeni che, dopo essere stati grandi interpreti della Porta, diventavano principi sul Danubio per un certo periodo d'anni; e, come per la Valacchia, significò il sorgere di un movimento nazionale che tendeva alla libertà.
Con la Valacchia i rapporti del principato moldavo dovettero essere sul principio assai difficili. Il principato del Nord (moldavo) sottraeva a quello del Sud (valacco), che s'intitolava: "di tutto il paese romeno" una gran parte dei suoi territorî. La Moldavia era considerata dai Valacchi vecchio territorio tataro, e nuova provincia ungherese, ribelle verso uno stato come il valacco di lenta formazione secolare, basato sulla vita, di origine antichissima, delle diverse judṭe, delle giudicature già autonome. Ma ben presto, anche per l'influsso degli stessi pericoli, relazioni di famiglia riunirono le due Romanie (i Moldavi chiamavano la loro creazione "principato romeno della Moldavia"). Già verso il 1390 questa pacificazione era compiuta: nei problemi politici dell'epoca gli uni e gli altri dovevano avere una sola attitudine, formare una sola fronte. Nel sec. XV, mentre la Valacchia decadeva sotto la sempre più pesante sovranità turca, la Moldavia, che si era estesa fino alla Pokucie al nord e al sud fino al Dnestr e al Mar Nero, diventò il primo degli stati romeni. Il vicino rimaneva di carattere piuttosto rurale e mentre in Valacchia una nobiltà povera e numerosa, divisa in partiti, costituiva un pericolo per lo stato, il rigido regime monarchico imposto da Alessandro il Buono, mantenuto e sviluppato dall'energia geniale di Stefano il Grande, teneva tutta la Moldavia stretta intorno al principe, capo assoluto.
Questo primato moldavo durò fino ai primi anni del Seicento. Nelle guerre contro i Turchi la Valacchia ebbe un capitano di straordinario talento militare, Michele il Bravo, mentre i contemporanei moldavi di questo, un Aaron, uno Stefano Răzvan appaiono figure di second'ordine. Poi intervennero le lunghe guerre civili tra i membri della nuova dinastia Movilă imposta e sostenuta dai Polacchi. La Moldavia ne fu essenzialmente indebolita: ma bastava che un uomo ambizioso e intelligente, ricco e intraprendente come Basilio Lupu ne prendesse lo scettro, perché di nuovo il principato passasse in primo piano. Quel che decise l'inferiorità della Moldavia furono le lunghe lotte fra Turchi e Polacchi sul suo territorio: trent'anni di eccidî e di rovine portarono il loro immancabile frutto. I principi, spesso cambiati secondo le vicende della guerra, non poterono rimediare al male. Al contrario il quarto di secolo della dominazione continua di un Costantino Brancoveanu diede alla Valacchia, con la calma, anche quella forza che doveva avere per atteggiarsi a principale rappresentante della razza romena. Il tentativo sbagliato di Demetrio Cantemir di neutralizzare la prepotenza turca facendo un'alleanza con lo zar Pietro il Grande, ebbe come conseguenza un terribile saccheggio da parte dei Turchi e dei Tatari contro la Moldavia nel 1711.
Con questo i guai del principato non erano finiti. Dopo le sofferenze, spartite con la Valacchia, delle occupazioni straniere fino al trattato russo-turco di Küciuk-Kainarge (1774) la Moldavia dovette perdere i distretti settentrionali, Suceava, Câmpulung, Cernăuţi, una parte del territorio di Hotin, diventata città turca, territorî che costituirono, in virtù della convenzione di Palamutca nel 1775, la Bucovina passata all'Austria. Nella nuova guerra scoppiata nel 1789, gli Austriaci speravano di poter acquistare anche il vasto territorio che si stende tra le montagne e il Siret fino alla città di Roman, mentre i Russi del generale Potemkin comandavano a Iaşi. Ma la pace di Iaṣi (1792) lasciava la Moldavia intatta. Non fu così invece nel 1812, alla pace di Bucarest, quando i Russi, che avevano sperato di avere tutto il principato, si annessero le terre tra il Prut e il Dnestr, chiamandole - per ingannare i Turchi - col nome di Bessarabia che aveva un vero senso soltanto da Reni ad Akerman (Cetatea-Albă in romeno).
Ma quello che la Moldavia perdeva come territorio guadagnava come valore intellettuale e influenza morale. In Moldavia erano state scritte le prime cronache in lingua slava; ivi ai tempi di Pietro Rareş, sotto l'influsso della colta moglie serba Elena, si era imitata la storiografia bizantina per trasformare la semplice cronaca in storia rettorica; ivi erano stati tradotti i cronografi slavobizantini; ivi un Eustazio Logoteta tradusse Erodoto verso il 1600; ivi l'idea della discendenza latina fu proclamata da Gregorio Ureche, compilatore critico dei vecchi annali, poi da Miron Costin. E moldavo era stato Demetrio Cantemir, autore della storia dell'impero ottomano e della razza romena, miracolo di erudizione per l'Oriente di quell'epoca. Malgrado le difficoltà dell'era fanariota, la Moldavia seppe rimettersi, nella seconda metà del sec. XVIII, alla testa della vita intellettuale dei Romeni. Un Costantino Conachi poteva verso il 1780 tradurre il Saggio sull'uomo dell'inglese Pope e Alessandro Beldiman il Florian e il Gessner. Il romanticismo letterario s'affermò con le due personalità di Mihail Kogălniceanu (v.) e di Vasile Alecsandri (v.). Tutta una pleiade stava loro d' intorno preparando la Dacia letteraria, l'Archivio romeno, la Rivista romena. Lì, malgrado gl'interessi della classe dei boiari nella loro gran parte si agita per prima l'idea di spartire le terre per dare ai contadini il mezzo di garantirsi almeno il pane quotidiano. Ed è perciò che i dibattiti del Divano moldavo, convocato a Iaşi nel 1857 per decidere la sorte del principato, ebbero un'importanza più grande che quelli dell'assemblea di Bucarest. Ma la Moldavia non poteva rifiutare a Bucarest l'onore di essere la capitale dei principati danubiani riuniti, del nuovo stato unitario che sorgeva allora, i Principati Uniti di Moldavia e di Valacchia (v. romania). Della creazione di questo stato, accentrato su Bucarest e la Valacchia, la Moldavia risentì danno; e da quel momento il suo indebolimento non fece che accrescersi.
La riunione della Bessarabia al regno, nel 1919, fece nascere speranze che non si avverarono che in parte. La nuova riforma amministrativa poi le tolse quest'ultima provincia; dal corpo della Moldavia furono strappati distretti per darli a unità vicine. Il concetto moldavo stesso sta per perdersi: tracce dell'antica individualità moldava rimangono soltanto in particolarità dialettali.
Bibl.: Oltre alle seguenti opere generali sulla Romania: C. G. Rommenhoeller, la Grande Roumanie, L'Aia 1926; S. Mehedinţi, Le pays et le peuple roumain, Bucarest 1927; R. Riccardi, la Romania, Bologna 1928; E. de Martonne, La Roumanie, in Géographie Universelle, IV, parte 2ª, Parigi 1931, pp. 699-810; cfr.: M. David, O schiţa morfologicà a podişului sarmatic din Moldova, in Bul. Soc. Reg. Rom. de Geogr., 1920, pp. 331-381; id., Formes caractéristiques dans la morphologie du plateau moldave, in Ann. sc. de l'univ. de Iasi, 1921, pp. 81-184; id., Cercetǎri geologice i podisul moldovenesc, Bucarest 1923; V. Mihǎilescu, Podišul inalt din West Botošanilor, in Bul. Soc. Reg. Rom. de Geogr., 1929, pp. 135-183; G. Gheorghiu, Contribuţiuni la climatologia Iaşilor, in Mem. Sect. Stiinţ. Ac. Româna, 1924; A.C. Dimitrescu, Die Bevölkerungsdichte der Moldau, Bucarest 1909. Per la parte storica, v. romania: Storia.