MOJO
. Tribù di lingua aruaca, che occupava, quando la descrisse D'Orbigny, il sud della provincia boliviana di Mojos, fra le pianure, spesso inondate, poste tra i fumi Guaporé e Mamoré e i boschi digradanti dalle Ande. Già da gran tempo convertite al cristianesimo, queste tribù ebbero in origine grandi villaggi di capanne fisse, e ordinamento a granfamiglia. Vivevano di agricoltura e inoltre di caccia e pesca, praticate mediante arco e frecce. Abitanti di distretti pantanosi, usano per lo più come mezzo di trasporto il canotto. Le donne eccellono ancora come tessitrici e fabbricanti di terrecotte. Tuniche senza manica, di cotone o corteccia battuta di ficus, costituivano il vestito; superbi ornamenti di piume, in origine bottone labiale e capelli lunghi legati sulla nuca e cadenti sulle spalle a guisa di coda di cavallo, ne completavano il costume. Uccidevano i gemelli e seppellivano vivi i lattanti cui veniva a morire la madre. I villaggi sono indipendenti, con a capo un cacicco assoluto; la monogamia vige di regola, ma è ammessa la poligamia. I Mojo hanno notevole tendenza musicale: gli strumenti più usati sono sonagli, tamburi con pelli tese, e zampogne (sirinx) della lunghezza sino a m. 1,80.