MOIRE (da μείρομαι "ho in parte, in sorte")
Sono le dee del destino (μοῖρα), ossia di quella potenza incontrollabile, la quale regola la sorte, buona o cattiva, della vita d'ogni uomo, dalla nascita alla morte. In Omero la Moira, detta anche αἴσα, è concepita come una sola (ma in Il., XXIV, 49, si parla di Moire che filano per l'uomo lo stame della vita e sono perciò in Od., VII, 197, dette κατακλῶϑες "filatrici") e il suo rapporto con Zeus non è ben chiarito perché mentre talora questo sembra il distributore dei fati (Od., IV, 234; Il., XXIV, 527) talaltra libra il destino sulla bilancia per vedere da quale parte piegherà (Il., VI, 69; X, 209). In Esiodo le Moire hanno già il numero ternario e un nome che corrisponde alla loro funzione; si chiamano: Κλωϑώ) la "filatrice" che svolge il filo della vita; Λάχεσις la "fissatrice" della sorte o qualità di vita toccata all'uomo; "Ατροπος l'"irremovibile" fatalità della morte.
Come dee del destino, le Moire presiedono ai tre momenti culminanti della vita umana: nascita, matrimonio e morte.
Questo concetto di ineluttabilità cieca, rimasto immutato nella coscienza popolare, si affina col tempo in quanto la Moira comincia a essere concepita come la legge che tiene a freno il potere arbitrario degli dei, ne controbilancia il capriccio ed è l'espressione della fissità delle leggi fisiche che governano il cosmo e delle leggi morali che mantengono l'equilibrio sociale. In questa maniera, mentre si affina il concetto degli dei, i quali non possono operare contro la legge che regola il mondo, si eleva anche la coscienza morale degli individui, i quali sentono di non dovere trasgredire la legge morale che presiede ai rapporti dei singoli, della famiglia, del gruppo, sotto pena di terribili castighi che cadranno sul colpevole e sulla sua discendenza. Questo fatto riceve ormai la sua espressione tangibile dagli oracoli, specialmente da quello di Delfi, e taluni dei assurgono al valore morale di guide del fato: Ζεῦς Μοιραγέτης, Απόλλων Μοιραγέτης (Paus., X, 24, 4; cfr. I, 40, 3; V, 15, 4).
Questo senso terribile, ma, in fondo, altamente morale della Moira si rivela soprattutto nei tragici Eschilo e Sofocle. In Eschilo il triste fato che colpisce la casa degli Atridi è provocato dalla colpa di Atreo, i cui discendenti Agamennone e Oreste divengono insieme vittime e strumenti di una forza ch'è maggiore di loro. Anche in Sofocle il potere della Moira è vivo e religiosamente sentito: ma egli, più umano di Eschilo, fa svolgere l'azione di questo potere più nell'interno della psiche che non nelle costrizioni e violenze esterne. Edipo infatti, che deve scontare la colpa di Laio, viene a conoscenza della sua miseranda situazione familiare a poco a poco, per un lavorio interno della sua anima angosciata, se ne punisce da sé accecandosi, ma non perde mai la sua nobiltà di carattere e merita di finire i suoi giorni, ribenedetto, nel bosco delle Eumenidi.
Lo sviluppo della coscienza morale sottopone sempre più la Moira all'influsso dei valori etici, fa concepire il destino come placabile per mezzo dell'espiazione e della purificazione e dona l'intima certezza che la pietà interna può meritare una migliore sorte in questa vita e nell'oltretomba. Le religioni di mistero, specialmente l'orfismo, hanno molto contribuito a raddolcire la ferrea legge del destino. Il quale nella filosofia diventa la norma sul cui modello il macrocosmo dell'universo e il microcosmo umano debbono regolare il loro moto e la loro azione.
Già Eraclito afferma che tutto nel mondo accade secondo la Necessità (καϑ' ειμαρμένην). Platone nel X della Repubblica (p. 617 c) per bocca di Er, l'armeno, descrive le Moire, figlie della Necessità ('Αναγκη) sedute in trono, biancovestite e coronate, che, accompagnando il canto delle sirene preposte al giro armonico delle sfere celesti, cantano, Lachesi il passato, Cloto il presente e Atropo l'avvenire. Ma soprattutto con lo stoicismo il concetto della legge immutabile che regola l'universo e alla quale conviene inchinarsi con consapevole ammirazione o con rassegnazione cosciente, riceve la sua più alta illustrazione. Zenone identifica il fato con la provvidenza e la natura; Posidonio pone l'uguaglianza tra Zeus, la natura e il fato. Cicerone afferma nel De divinatione (I, 55) la concatenazione delle cause di guisa che nulla è avvenuto che non dovesse avvenire e nulla avverrà le cui cause non siano contenute nella natura. Plutarco, con visuale platonica, svolge questi medesimi concetti nello scritto Περὶ εὶμαρμένης. Per lui il destino è l'anima del mondo, divisa in tre parti, di cui la più alta, fissa e immobile è Cloto; la mediana, errante, è Atropo; l'inferiore, che sta al disotto del cielo, è Lachesi, la quale riceve le operazioni celesti delle due sorelle, le collega e le trasmette alle sostanze terrestri, che le sono sottoposte.
Luoghi di culto delle Moire si sono trovati in Atene, Pireo, Megara, Corinto, Sicione, Sparta, Amicle, Licosura, Olimpia, Tebe, Delfi, Delo, Alicarnasso, ecc.
Nell'arte le Moire sono rappresentate talora come vecchie, più spesso come donne adulte, dall'aspetto severo: di esse Cloto ha il fuso e la conocchia per filare lo stame della vita, Lachesi estrae una sorte con il capo rivolto altrove, Atropo svolge sopra un mappamondo un rotolo su cui sono scritti i destini. Atropo è talora raffigurata più piccola e più vecehia. Talora le Moire sono associate ad altre figure (nascita di Atena, Prometeo, Mercurio psicopompo, ecc.).
La credenza nelle Moire è rimasta viva nel folklore della Grecia moderna. Si crede che esse abitino un antro e che di là volino a fissare il destino del neonato, tre giorni dopo la nascita. Per ciò, in questa circostanza, si prepara loro del cibo e il giorno è chiamato "la visita delle Moire". Per le Moire presso i Romani, v. Parche.
Bibl.: P. Weizsäcker, Moira, in Roscher, Lexikon, II, coll. 3084-3103; S. Eitrem, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, coll. 2449-97; E. Eberhard, Das Schicksal als poëtische Idee bei Homer, Paderborn 1923.