MODO
Filosofia. - Termine filosofico (dal lat. modus, corrispondente al gr. τσόπος), designante in generale la qualificazione non essenziale, che una data realtà può assumere nel suo divenire, o comunque nella sua natura. In questo senso il termine fu usato soprattutto nella scolastica, e acquistò poi il massimo interesse nella scuola cartesiana e in Spinoza. Questi chiama infatti col nome di modi (o di modificationes) tutte le particolari forme in cui si presenta l'unica substantia, secondo i due attributi essenziali (ma non esclusivi) dell'estensione e del pensiero, e ammette anche l'esistenza di "modi infiniti e necessarî" accanto a quelli finiti e (almeno relativamente) contingenti. Senso diverso aveva avuto invece il termine di τσόπος nella logica aristotelica, e parallelamente quello di modus nella tradizione medievale e latina di tale logica: esso aveva servito, infatti, a designare i varî tipi sillogistici che, in seno a una data "figura", si potevano ottenere a seconda che ciascuna delle premesse fosse affermativa o negativa, universale o particolare. Cfr. per ciò sillogistica.
Musica.
Al termine modo corrispondono - nella terminologia musicale - le seguenti accezioni: 1. La successione di toni e semitoni musicali disposti secondo uno speciale ordine prestabilito e formanti una serie di suoni successivi (scala), che si ripete uniformemente di ottava in ottava. Poiché molte sono le maniere con le quali i toni e i semitoni possono essere disposti l'uno dietro l'altro nell'ottava, molti possono essere i modi; e ognuno di essi può avere un carattere e un colore suoi proprî che lo distinguano nettamente dagli altri. Così il sistema musicale greco-romano usava di svolgere i suoi canti in sette maniere diverse; e così il sistema musicale tuttora vigente nella chiesa cattolica si vale di non meno di otto modi. Altri sistemi hanno, poi, dato vita ai più diversi modi, sia che essi abbiano usato i soli toni diatonici, sia che abbiano adoperato i semitoni cromatici, sia che abbiano messo in azione intervalli ancor più piccoli del semitono, quali il terzo e il quarto di tono. Nella musica moderna due soli sono, però, i modi ufficialmente riconosciuti e adottati; il modo di terza maggiore e quello di terza minore. Nel primo, i toni e i semitoni sono disposti nel seguente ordine, invariabile, nella successione regolare delle quinte: 1 tono, 1 tono, 1 semitono, i tono, 1 tono, 1 tono, 1 semitono.
Nel secondo, i toni e i semitoni possono, invece, essere disposti nelle seguenti due maniere:
Dando alla scala naturale di Do maggiore ed a quella di La minore il privilegio di rappresentare l'uno e l'altro modo, questi presentano le seguenti successioni di suoni:
le quali, essendo formate da un pentacordo e da un tetracordo congiunti da una nota comune (la dominante), sono fondate sulle tre consonanze perfette di 4ª, di 5ª e di 8ª:
e sono, dove occorra, agevolmente trasportabili su ogni altro grado della scala generale dei suoni diatonici e cromatici formando un vasto sistema di 24 scale o toni trasportati, ognuno dei quali si plasma esattamente sulle scale o modi fondamentali di Do maggiore e di La minore.
Numerosi sono i sistemi di modi, fioriti nelle varie epoche della storia musicale e presso le varie nazioni, dal pentatonico usato negli antichi canti della Cina all'esatonico dell'epoca guidoniana, dal sistema dei modi greci e da quello dei modi ecclesiastici gregoriani ai modi, svariatissimi, orientali che sono tuttora in uso in India e nell'Arabia. Di essi e della loro varia applicazione si veda ai capitoli relativi.
2. Nome dato, nella teoria medievale della misura (v. mensuralismo), ai valori della maxima e della longa, e ai segni di misura corrispondenti. Si diceva modo maggiore perfetto e modo maggiore imperfetto, quando il valore della massima era, rispettivamente, ternario o binario. Parimenti, le espressioni modo minore perfetto e modo minore imperfetto si riferivano al valore ternario o binario della longa.
I segni di misura riguardanti i due modi erano i seguenti:
Alle espressioni suddette facevano, poi, seguito quelle di tempo perfetto o imperfetto o di prolazione maggiore e minore, con le quali veniva indicato il valore ternario o binario delle breve e della semibreve.
3. Nome dato, nel sistema mensurale medievale, a varî schemi ritmici stabiliti dai teorici evidentemente allo scopo di indurre i compositori di musiche polifoniche a ordinare il ritmo delle singole parti di canto. Secondo i varî autori che ne hanno parlato (uno dei primi fu Francone da Colonia), gli schemi stessi potevano essere cinque o sei o sette (lo Pseudo-Aristotele li fa, però, arrivare a nove). In complesso, essi si aggruppavano così:
Schema 1° e 2°. Ogni battuta è formata da una lunga e da una breve o viceversa.
Schema 3° e 4°. Ogni battuta è formata da una lunga e due brevi o viceversa.
Schema 5° e 6°. Ogni battuta è formata da tutte lunghe o tutte brevi.
S'intende che la scelta d'uno schema influiva sull'andamento ritmico di tutto un pezzo.
Diritto.
Il modo è un onere o peso imposto a chi è beneficato con un negozio a titolo gratuito (donazione, legato o istituzione di erede) e consistente o in una prestazione, che può essere varia, a favore di chi ha fatto la disposizione patrimoniale o di un terzo, oppure in un uso determinato della cosa acquistata, o in tutt'altro, anche nell'interesse dello stesso onerato, venendosi a limitare con una disposizione accessoria la disposizione principale, fatta per liberalità. Così agli elementi essenziali del negozio gratuito si aggiunge un elemento caratteristico, in base al quale, accettata che sia la fatta disposizione, sorge un vincolo obbligatorio a carico di chi, trattandosi di un negozio a titolo gratuito, non dovrebbe essere obbligato; e l'onere assume perciò una figura speciale, regolata con norme particolari. Se in un negozio a titolo oneroso si aggiunga a carico dell'acquirente un onere, questo non è configurabile come un modo, ma forma parte del corrispettivo, dovuto in base allo stesso negozio. Nel codice civile italiano si ha riguardo al modo specialmente per quanto riflette la materia delle donazioni, facendosi cenno di pesi o oneri imposti al donatario (articoli 1051, 1077 n. 3°, 1080), e anche per quello che concerne la stipulazione a favore di un terzo, sotto la denominazione di "condizione" di una donazione fatta ad altri (art. 1128).
Il modo differisce dalla causa giuridica del contratto (che è un elemento essenziale), dalla presupposizione (che sarebbe "una condizione non sviluppata" e in generale un elemento giuridicamente irrilevante) e dalla condizione sospensiva, rispetto alla quale si ha la differenza che "il modo costringe, ma non sospende; la condizione sospende, ma non costringe"; il modo si accosta però alla condizione risolutiva, pur restandone differente per la detta esistenza del vincolo obbligatorio. Il modo, che si distingue altresì dal "consiglio" (nudum praeceptum), è un onere coercibile in via diretta o anche indiretta. Se esso consiste in una prestazione a favore del disponente o di un terzo, si ha un rapporto obbligatorio ordinario, in cui creditore è il disponente (o al suo posto, se defunto, gli eredi) o il terzo, debitore il beneficato onerato. Se il modo è nell'interesse dello stesso onerato, o manca una persona che possa pretenderne l'esecuzione, si ha una situazione di cose diversa da quella dei rapporti obbligatorî ordinarî, ma non manca una sanzione: il disponente (o chi per lui) ha il diritto di revoca, trattandosi di donazione, nel caso in cui l'onere non sia adempiuto (cit. art. 1080); e una risoluzione per inadempimento dell'onere si può ammettere trattandosi di disposizione testamentaria, qualora ciò sia stabilito o ci sia una connessione intima dell'uno con l'altra. Poiché di regola tale connessione non esiste e il modo non forma un tutto unico con la disposizione principale, costituendo piuttosto una disposizione accessoria, il modo illecito o impossibile non annulla il negozio principale, pur essendo il modo annullato se nullo sia invece quest'ultimo.
Per il modo in linguistica, v. morfologia; sintassi; verbo.
Bibl.: C. Scuto, Il modus nel diritto civile italiano, Palermo 1909; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, Parte generale, 4ª ed., Milano 1929, par. 141, p. 446 segg.; R. De Ruggiero, istituzioni di diritto civile, I, 4ª ed., Messina 1926, par. 31, p. 286 segg. Sull'efficacia del modus in diritto romano e sul suo trattamento, cfr. A. Pernice, Labeo, 3, i, Halle 1892; C. Ferrini, Pandette, p. 198 segg., Milano 1900; P. Bonfante, ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932.