FARINA, Modesto
Nacque ad Oria Valsolda (od. prov. di Como), sul lago di Lugano, il 18 marzo 1771 da Iacopo, figlio di Domenico di Urio, e da Maria di Giovanni Battista Casanova di Gravedona. Il 19 marzo venne battezzato col nome di Giuseppe Maria Modesto nella chiesa di S. Lorenzo di Lugano (diocesi di Como). Dalla famiglia fu mandato a studiare grammatica e retorica presso i somaschi a Milano. Fin da giovane si distinse per la fervente difesa della dottrina cattolica. Entrato nelle grazie di G. Bertieri, noto esponente della scuola agostiniana e di un regalismo moderato (nel 1789 Giuseppe II lo nominò vescovo di Como e nel '92 Leopoldo II lo trasferì a Pavia), a lui "attribuì l'immatricolazione all'università di Pavia, il sacerdozio, l'avvio all'insegnamento e al pubblico impiego e soprattutto la passione e l'entusiasmo per la riforma della Chiesa secondo gli ideali del clero illuminato di Vienna e di Pavia" (Gambasin, Un vescovo…, p. 25). La formazione del F. avvenne in un ambiente culturale intriso di illuminismo, giurisdizionalismo, giuseppinismo e pervaso dall'anelito giansenista di purificazione della Chiesa escludendola da ogni ingerenza temporale. Dopo aver frequentato per un quadriennio le lezioni dei maestri della scuola giansenista lombarda P. Tamburini, G. Zola, A. Mussi, F. Alpruni, il 1° apr. 1794 venne proclamato dottore in teologia e diritto ecclesiastico dal rettore L. Mascheroni, dal decano della facoltà teologica P. Tamburini e dal Bertieri, il quale, il 19 marzo, consacrò sacerdote il ventitreenne allievo nella cappella del palazzo vescovile. Nell'anno accademico 1795-96 il F. iniziò ad esercitare l'ufficio di lettore e di ripetitore di dogmatica per una quarantina di studenti iscritti al "Portico teologico". Con la soppressione della facoltà, nel 1797 divenne professore di dogmatica per i chierici del collegio "Castiglione", tenendo la cattedra fino al 1802. Per tutto questo periodo approfondì l'analisi del pensiero moderno, dell'ateismo e della miscredenza, raccogliendo le sue riflessioni nell'opera Il filosofo cristiano (3 voll., Pavia 1799-1802), una confutazione delle tesi dei sensisti e razionalisti intorno alla religione positiva e ai dogmi cristiani.
Il periodo di insegnamento a Pavia si concluse nel 1802 con la nomina - su proposta del ministro G. Bovara a F. Melzi d'Eril - ad impiegato pubblico presso il ministero del Culto creato da Napoleone a Milano. Nella scelta degli uomini per il nuovo ministero il conte Melzi d'Eril privilegiò maestri e discepoli del "Portico teologico" pavese, esperti di diritto ecclesiastico e di affari amministrativi e convinti sostenitori dei diritti del sovrano in materia politico-religiosa.
Nel 1821 il F. avrebbe dichiarato ai consultori romani ostili alla sua nomina a vescovo che era entrato nell'amministrazione pubblica non senza perplessità, seguendo i consigli dei vescovi Bertieri (Pavia) e C. Rovelli (Como), preoccupati di attenuare i mali della miscredenza e di far fronte ai problemi politici sottesi alle trattative che avrebbero portato al concordato del 16 sett. 1803 tra Pio VII e la Repubblica italiana. Nel ministero del Culto il F., insieme con gli abati G. Giudici e F. Alpruni, si trovò ad eseguire più che ad ideare i piani di riforma della Chiesa in parte attesi dai circoli giansenistici e giurisdizionalistici, in parte imposti da Parigi. L'opera in due tomi (Milano, 1808 e 1813), Decreti, regolamenti, istruzioni generali sopra gli oggetti appartenenti alle attribuzioni del Ministero pel culto del Regno d'Italia, evidenziava l'oscillazione del ministero tra regalismo neogallicano napoleonico e giansenismo lombardo. Il F. operò per oltre un decennio nella prima e più importante sezione del ministero, che si occupava di istruzione sacra, seminari, disciplina, polizia del clero e delle corporazioni religiose; dal 24 giugno 1802 al 1805 come aggiunto presso l'ufficio del giudici, assessore e capo della sezione; dal 1805 al 1° ag. 1814 prima come capo sezione, poi come capo divisione. Nel suo incarico dovette affrontare la questione della soppressione dei "corpi regolari", trattare col ministro delle Finanze il problema dell'incameramento dei beni "delle congrue parrocchiali e coadiutoriali, dei legati e simili" (Arch. d. Curia vesc. di Padova, M. Farina, b. 4, Personali e varie, minuta a P.A. Foscolo, arcivescovo di Corfù, 18 giugno 1821) e partecipare al concilio di Parigi. Dal suo osservatorio poté seguire il complesso avvicendamento politico-religioso a Milano, Parigi e Roma, acquisendo competenze nelle riforme dei piani di studio e della disciplina degli istituti di studi superiori per il clero. Il 17 genn. 1812, giunto al vertice della carriera, Napoleone I lo fece cavaliere della Corona.
Cessate dal 1° ag. 1814 le funzioni del ministero del Culto, il F. fu subito designato dal conte Bellegarde consigliere della reggenza per gli affari del Culto a Milano. Il 13 dicembre dell'anno dopo, per sovrana risoluzione di Francesco I, venne trasferito a Venezia presso il governo generale quale consigliere imperiale per gli affari ecclesiastici. Con J. A. Jüstel, consigliere aulico a Vienna, si trovò per sei anni al centro delle relazioni diplomatiche tra Venezia, Vienna e Roma autorevole interlocutore tra la corte di Roma e la Hofburg di Vienna per i progetti di riforma della Chiesa e fedele interprete delle sovrane risoluzioni di Francesco I. Si adoperò a favore del clero veneto, delle corporazioni religiose, del seminario patriarcale di Venezia e della facoltà teologica di Padova, procurandosi notorietà e consensi presso le autorità civili e in parte ecclesiastiche. Quando, per la morte, il 6 ott. 1819, di F. S. Dondi Dall'Orologio, si rese vacante la sede vescovile di Padova, Francesco I decise di premiare lo zelo del F. per gli interessi della Chiesa e dello Stato, nominandolo vescovo, ma la promozione non incontrò il favore di Pio VII e del Consalvi. Dati i pubblici uffici ricoperti dal F. con prestazione di giuramento dì fedeltà a Napoleone I e a Francesco I, il F. venne sottoposto ad un rigoroso esame sulla dottrina e sul costume. Francesco I, però, si mantenne fermo nella propria linea e, ad accertamenti ancora in corso, il 21 nov. 1820, trasmise a Pio VII il decreto ufficiale di nomina alla sede vescovile di Padova.
Da questa data all'agosto dell'anno seguente Pio VII e il Consalvi attivarono ugualmente commissioni di teologi e cardinali per vagliare l'ortodossia dottrinale del vescovo, per accertarne il comportamento politico e il costume privato. Il F. dovette andare di persona a Roma per precisare e difendere il credo politico-religioso cui si sarebbe attenuto anche dalla cattedra di S. Prosdocimo. Di fronte ai consultori romani, che lo accusavano di essere passato, negli anni del servizio pubblico, dal "mestiere del tamburino" all'arpeggio "giuseppino" (Arch. d. Curia vescov. di Padova, ibid., minuta all'arciduca Ranieri, 31 ag. 1821), il F. sostenne una linea di equidistanza tra la Hofburg di Vienna e la corte romana. Da un lato, riteneva che allo Stato competessero diritti e doveri dì intervento negli affari religiosi per la riforma del culto e il bene materiale e morale delle popolazioni, anche se dichiarava di diffidare della burocrazia statale per la tendenza ad asservire gli ufficiali del culto alla pubblica amministrazione. Dall'altro, non "giudicava corretto nemmeno l'indirizzo teoretico e pratico di quei curialisti di Roma che, approfittando della confusione esistente tra i diritti primaziali di origine divina e i diritti temporali di natura contingente e storica del papato, pensavano e operavano come se lo Stato fosse nella chiesa" (Gambasin, Un vescovo..., p. 33). Il F. neppure auspicava la separazione tra Stato e Chiesa, che avrebbe aperto la via all'emarginazione e all'irrilevanza della religione nella società. Nell'opera giovanile Il filosofo cristiano l'opzione d'intesa col Bertieri per la concordia tra Stato e Chiesa si era tradotta in un netto rifiuto della divisione della ragione dalla fede, con la conseguente riduzione della religione all'ambito della superstizione e dell'irrazionalità. A suo giudizio, la ragione illuminata dalla fede era in grado di costruire un discorso rigorosamente scientifico in teologia, di svelare i destini ultimi dell'uomo, di offrire principi e parametri etici per il buon governo della cosa pubblica. Ai dubbi e alle riserve dei consultori romani sulla liceità degli uffici ricoperti il F. obiettò che durante i dodici anni di servizio sotto i Francesi si era attenuto al principio "d'impedire il male e di promuovere il bene della Chiesa". Circa le contestazioni dottrinali relative al tema della grazia, dichiarò di essere "sempre stato alieno dai partiti teologici e dagli spiriti novatori", asserendo di aver sempre professato "in materia di grazia... la dottrina di s. Agostino, di s. Prospero, di s. Fulgenzio e di s. Tommaso" e di essere sempre stato interiormente coerente con le costituzioni papali da Innocenzo X a Pio VI (Arch. d. Curia vesc. di Padova, M. Farina, b. 4, Personali e varie, minuta all'arciduca Ranieri, 31 ag. 1821). Sulle competenze della sovranità temporale e della Chiesa nei loro rapporti aveva fatto propria, quale antidoto al persistente curialismo, la distinzione data nell'Enchiridion di G. Recliberger (posto all'Indice nel '20) tra giurisdizione temporale e giurisdizione spirituale, tra prerogative di diritto divino e prerogative di diritto positivo del papa, al quale riconosceva il primato spirituale, cioè della sua piena giurisdizione e indipendenza da ogni autorità terrena nell'ambito suo proprio di pastore universale. Il F. dovette rendere, comunque, una duplice dichiarazione scritta di assenso esterno ed interno al magistero papale e di piena sottomissione a tutte le costituzioni dei pontefici sul giansenismo, dopo di che fu preconizzato da Pio VII vescovo di Padova. Il presule si sentì subito obbligato a chiarire pubblicamente che, se gli incarichi rivestiti nell'amministrazione pubblica non avevano mai fatto venir meno l'obbedienza alla S. Sede, "altro è chiesa cattolica, altro è curia romana" (ibid., minuta a V. De Grimm, 24 giugno 1821).
Il passato e la notorietà del F. negli ambienti civili ed ecclesiastici lo distinsero fra tutti i vescovi lombardo-veneti della Restaurazione, ma gli procurarono anche accuse d'essere "straniero", "non nobile", estraneo alla cura d'anime diretta (La visita pastorale..., 1983, p. XVIII). Divenne titolare della diocesi il 4 nov. 1821; sarebbe rimasto vescovo di Padova, fino alla morte. In 35 anni di cura pastorale si trovò ad affrontare profondi cambiamenti nel contesto politico e sociale, polemiche temporaliste e antitemporaliste, mutamenti nella politica ecclesiastica viennese dal neogiuseppinismo alla fase concordataria di metà secolo.
Il 15 ag. 1821, due giorni dopo la preconizzazione a vescovo di Padova, fece conoscere da Roma i suoi progetti per una "pastorale illuminata", imperniati sul rinnovamento della teologia per vincere la miscredenza dei ceti borghesi e la superstizione delle popolazioni rurali. Il giorno della sua consacrazione episcopale precisò in una lettera pastorale gli orientamenti della propria azione: riordino della disciplina del clero, riorganizzazione della catechesi, riassetto economico della diocesi, impegno per la ripresa della vita religiosa e monastica, visita pastorale.
Gli strumenti dell'indagine statistica e della visita pastorale, impiegati a supporto di tali linee, si tradussero in un informatissimo e penetrante rapporto inviato in originale a Vienna e in copia a Roma. L'efficacissimo quadro degli elementi di continuità e di rottura della tradizione religiosa delle 322 parrocchie della vasta diocesi spaziava dalla cultura dei parroci al crescente divario socio-religioso tra città e campagna, dal ribellismo antiaustriaco diffuso anche tra i parroci per i nuovi oneri non compensati - scuola elementare e ufficio di anagrafe - alla moderna azienda agricola fino al pauperismo di massa. La "religione del principe" impacciava la libertà della Chiesa e l'iniziativa pastorale del vescovo, rischiando di unire insieme l'opposizione al regime straniero e la lotta contro la religione protetta. Il F. non era insomma "disposto a pagare il prezzo della sudditanza politica con la perdita delle popolazioni rurali ed urbane" (Gambasin, Un vescovo, p. 55). Così, mentre all'inizio dell'episcopato rivelò una marcata dipendenza dalla corte di Vienna, dagli anni '30 si sbilanciò sempre più da Vienna verso Roma, cioè verso una linea di libertà e indipendenza della Chiesa dal giogo regalista, quale condizione indispensabile per la riforma religiosa della cura d'anime.
Avvertendo il progressivo sfaldamento dei tradizionali rapporti con le classi superiori e l'emergere di una borghesia meno legata alle tradizioni ecclesiastiche, il F. - in sintonia con la tendenza diffusasi nell'episcopato italiano - mirò a valorizzare il popolo come asse portante della restaurazione morale e disciplinare della società. Di qui il suo prioritario impegno per l'istruzione religiosa del popolo, per la promozione di scuole private di grammatica nelle parrocchie delle foranie e per l'apertura di scuole elementari pubbliche nei Comuni (qui la sua pastorale si distinse rispetto a quella degli altri vescovi veneti). Per rispondere alle esigenze delle famiglie povere e al calo delle vocazioni, nel 1836 fondò il "seminarietto", capace di 40 allievi filosofi e teologi, affinché quanti provenivano dagli strati più umili ma erano ricchi di doti, di qualità morali e intellettuali, potessero godere dei vantaggi della formazione spirituale e culturale del seminario centrale. Appena un anno dopo il suo ingresso a Padova fissò obiettivi e metodi nel "piano organico per la dottrina cristiana" e organizzò la congregazione della dottrina cristiana per garantire maestri preparati, aumentare la presenza alla catechesi domenicale e favorire la sua estensione anche ai momenti di vita sacramentale. Per fondare l'insegnamento su testi sicuri e approvati, prescrisse a tutti i parroci l'uso del Catechismo tridentino, stampato nella tipografia del seminario. Per la ripresa culturale e spirituale del clero già incardinato nelle parrocchie ed esposto al nuovo clima sociale, il vescovo richiamò l'obbligo degli esercizi spirituali, ripristinò la congregazione per la decisione dei casi, ricompaginò i beni patrimoniali incamerati o manomessi e precisò accuratamente i doveri della cura pastorale.
Già da consigliere di Stato il F. aveva collaborato con gli organi centrali di Vienna per formulare e applicare piani di riforma dei seminari. L'esperienza di Pavia e Milano influì in maniera determinante sull'organizzazione del seminario centrale e della facoltà teologica di Padova, dal 1816 definitivamente inquadrati da Francesco I nell'apparato statale. Il seminario centrale era un istituto superdiocesano, sottratto alla giurisdizione del vescovo, gestito e controllato dalla pubblica amministrazione per raccogliere gli studenti iscritti alla facoltà teologica. Presso la sede del seminario nel 1818 venne istituito anche il ginnasio vescovile che funzionò secondo le norme del codice scolastico austriaco fino al 1850-51. Nel 1833 i secolari che frequentavano in numero crescente il ginnasio vescovile vennero riuniti dal F. nel collegio dei nobili, soppresso nel '40 per eliminare i permanenti attriti con i chierici ginnasisti e teologi. Il F. era convinto che si dovesse rinnovare la teologia "per elevare la cultura del clero e dei fedeli" (Al venerabile clero…, 15 ag. 1821, p. 23). La teologia d'Oltralpe, rinnovata e scientificamente motivata su basi storico-razionali, rimase in vigore a Padova fino alla riforma dei vescovi programmata tra il 1849 e il 1859. La formazione pavese faceva apprezzare al F. gli aspetti positivi del riformismo viennese e praghese tendente a conciliare villaggio e parrocchia, Municipio, Stato e Chiesa, codice civile e codice canonico, diritto naturale e diritto positivo ecclesiastico, filosofia e dogmatica, etica naturale e morale cristiana, scolarizzazione e catechizzazione delle masse. Il F. impresse un forte dinamismo agli studi per dare la massima efficacia operativa alla riforma.
Le nuove procedure e l'abbandono delle Regole del cardinale G. F. Barbarigo suscitarono resistenze, contrasti e difficoltà, ma la statalizzazione del seminario andò avanti di pari passo con l'assimilazione politico-amministrativa del Lombardo-Veneto all'Austria. Il nuovo regolamento disciplinare ed economico del 1821 inscriveva il seminario centrale nella facoltà teologica universitaria e sottoponeva alunni e professori ad una rigida sudditanza nei confronti delle norme statali; per 35 anni costituì la normativa fondamentale. Dal 1837 al '48 venne però integrato per la parte disciplinare dalla Dichiarazione del F., cioè dal recupero delle regole barbarigiane prescritto dal vescovo in un momento di declino del sistema giuseppinistico, di diffusione dello spirito nazionale, di risveglio della coscienza religiosa e di rivendicazione da parte dei vescovi del pieno e libero esercizio della loro giurisdizione sui seminari. Il F., con la Dichiarazione del '37, "rinvigorì aspetti qualificanti l'ammodernamento teologico introdotto nel seminario di Padova" e "anticipò di oltre un decennio la riforma dei vescovi della monarchia danubiana dopo il '48" (Gambasin, Un vescovo..., p. 156).
Questa data segnò uno spartiacque nella storia del seminario centrale e della facoltà teologica di Padova, accelerando il risveglio della pietas docta, la rinascita dell'umanesimo cristiano e la riforma degli studi teologici ispirata agli indirizzi pastorali di Pio IX, alle conferenze e ai concili dei vescovi. Condizione essenziale della riforma era l'indipendenza del seminario dalla pubblica amministrazione, l'esclusiva competenza dei vescovi sui piani di studio e i regolamenti, sulla nomina di professori e superiori. In quanto organismo divino-umano, la Chiesa, nelle sue strutture essenziali, era pienamente sovrana e indipendente dallo Stato nella sua natura e nei suoi fini. Il F., col patriarca G. Monico e gli altri vescovi veneti riuniti a Venezia il 6 apr. 1850, rifiutando tanto il neogiuseppinismo quanto il separatismo che rompeva l'osmosi tra religione e società, concordò sulla piena indipendenza di Stato e Chiesa ciascuno nella propria sfera d'azione, ma anche sul loro coordinamento per il benessere morale e civile della società: in altri termini, sull'obbligo per il sovrano di tutelare il "libero esercizio della religione cattolica" e "il risorgimento della santa morale".
Il seminario, ristrutturato negli ordinamenti e potenziato nei sussidi culturali e didattici, aveva pareggiato l'università negli studi di teologia e superato il ginnasio pubblico per il prestigio dei suoi professori. Ciò nonostante s'erano infittiti gli interrogativi sul valore pedagogico del sistema austriaco, rispondente più alle esigenze di una cultura organizzata e controllata dallo Stato che dì un'armonizzazione delle facoltà interiori e esteriori, dello studio con l'ascesi e l'orazione. Il rischio di una politicizzazione dei futuri pastori d'anime incentivò, nel clima di indipendenza dallo straniero, le spinte a sottrarre vescovi e parroci da un controllo imperiale, sempre molto forte, ma inasprito col governo luogotenenziale del Radetzky. Tra il 1848 e il '56 il F. si inserì nel nuovo corso tracciato dai vescovi, protesse sacerdoti sospetti o compromessi con i moti liberali e avviò il seminario dì Padova alla piena episcopalizzazione secondo gli indirizzi riformatori di Pio IX.
Alla soglia degli anni Cinquanta, il vescovo si circondò inoltre di nuovi consiglieri - abati, canonici, oratori di vaglia - di origine borghese e popolare, influenti nelle associazioni patriottiche, che alimentarono insieme l'aspirazione all'indipendenza e le rivendicazioni di autonomia e libertà per la Chiesa. Nel clero padovano il neoguelfismo del decennio precedente si frantumò in diverse ed opposte correnti, mentre si facevano più forti le divisioni tra legittimisti e conservatori misoneisti, da un lato, e "novatori" che rifiutavano la religione instrumentum regni, dall'altro. Sullo scorcio dell'episcopato fariniano, mentre il vescovo adottava la riforma del ginnasio liceo di L. Thun dovendo scegliere tra privatizzazione e statalizzazione, nella aule del seminario e della facoltà teologica, già luoghi della massima tutela statale, si infiltrarono le tendenze liberaleggianti impersonate in particolare da A. M. Fabris, rettore del seminario dal 1850 al 1856. Lo schietto patriottismo del gruppo di docenti filoliberali si sfaldò con la morte del F. avvenuta a Padova il 10 maggio 1856 e col nuovo clima creato dal concordato dell'agosto 1855 fra l'Austria e la S. Sede.
La nuova fase concordataria segnò una forte cesura nella storia della Chiesa veneta. Essa coincise con la fine dell'episcopato fariniano e con la nomina a vescovo di Padova del marchese Federico Manfredini, noto per la devozione politica agli Asburgo. Le garanzie assicurate alla Chiesa romana dal concordato rafforzarono il sentimento conservatore e filoaustriaco del gruppo di prelati, che, non avendo goduto in precedenza la stima del F., dopo la sua morte divennero i più influenti collaboratori dei Manfredini.
Fonti e Bibl.: Sul F. manca uno studio d'insieme. Molta documentazione inedita è conservata negli Archivi di Stato di Pavia (Università, Fac. teol., cart. 4), di Milano (Culto, p.m., cart. 15, 16, 26; Aldini, cart. 17; Cancellerie austriache, cart. 6-7, 8-11) e nel Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna. I maggiori studi sul vescovo hanno largamente attinto dai copiosi materiali (specie dai carteggi del F.) depositati presso l'Archivio della Curia vescovile di Padova (Vescovi, b. 4, M. Farina, Personali e varie, oltre a b. Seminario e alla Raccolta di pastorali, avvisivescovili e circolari dall'anno 1822 fino all'anno 1856), integrandone le informazioni don i documenti conservati nella Biblioteca (Carte Andrea Coi) e nell'Archivio del rettore del Seminario vescovile di Padova (Protocollo, Personale, Teologia, Studi, Culto, Varie), nella Biblioteca civica e nell'Archivio dell'università patavina, nell'Arch. segr. Vaticano (Processus Datariae 185; Sacra congregatio concilii, Visitationes, Patavina 626B), nell'Archivio della Curia vescovile di Pavia (Carte Giuseppe Bertieri) e nell'Archivio patriarcale di Venezia. Documenti e testi fondamentali sono pubblicati in appendice allo studio più approfondito finora apparso sul F.: A. Gambasin, Un vescovo tra illuminismo e liberalismo. M.F. e il seminario di Padova (1821-1856), Padova 1987, in particolare il resoconto dello stesso F. al principe Vincenzo von Grimm sugli interrogatori subiti a Roma in occasione della nomina a vescovo (App. n. 3, pp. 205-212).
Per l'ingresso in diocesi e i piani di riforma della Chiesa, si vedano M. Farina, Epistola pastoralis ad clerum et popolum Patavinae dioecesis, Patavii 1821; Id., Al venerabile clero e popolo della città e della diocesi, Roma 1821, e P. Dal Maistro, Il vero vescovo. Sermone pubblicato nell'occasione del solenne ingresso di monsignor M. F. alla sede vescovile Padova, Venezia 1821. Relativamente ad alcuni dei più importanti aspetti nella pastorale del F. si vedano il Piano organico per la dottrina cristiana, Padova 1822; la Dottrina cristiana breve composta per comando del sommo pontefice Clemente VIII, "nuova edizione ordinata da M. Farina vescovo di Padova", Padova 1823 (altre ed., ibid. 1841, 1846, 1848); la lettera Ai molto reverendi parrochi come fratelli ed anco ai rispettabilissimi catechisti della città e della diocesi, Padova, 19maggio 1825; la Lettera pastorale a monsignor arciprete della cattedrale, ai molto reverendi vicari foranei e parrochi della città e della diocesi, 1° sett. 1833, e la Dichiarazione delle regole ai chierici del seminario, Padova 1837 (ora in Gambasin, Un vescovo…, App. n. 6, pp.220-256). Informazioni relative all'episcopato si ricavano anche dall'Almanacco diocesano di Padova (come nell'indirizzo di G. Sorgato, All'ill.... M. F. vescovo di Padova per l'anno 1838, contenuto nell'Almanacco ... per l'anno 1838, Padova 1837, pp. 3 s.). I materiali relativi alla visita pastorale nella diocesi di Padova sono stati pubblicati nel volume La visita pastorale di M. F. nella diocesi di Padova (1822-1832), a cura di P. Pampaloni, Roma 1983.
Cenni biografici sul F. sono in G. Corner, In primo solemni adventu ad cathedrale templum ... M.F. episcopi Patavini et Austriaci Ordinis Ferreae Coronae gratulatio, Padova 1821; F. Corradini, In funere M.F. episcopi Patavini. Oratio..., ibid. 1856. Una fonte per valutare le attese del clero padovano è offerta da P.A. Berti, Ad... M.F. episcopum patavinum ... Congregationis Parochorum gratulatio habita ... in templo S. Francisci, Patavii 1821. Un appunto critico - in morte - sull'opera di vescovo si trova in C. Leoni, Cronaca segreta de' miei tempi, 1845-1874, Padova 1976, p. 506. Molte notizie relative alle riforme del seminario in [L. Todesco-S. Serena], Ilseminario di Padova, Padova 1911, pp. 277-332. Si vedano anche C. Trezzini, F. G. M. M., in Dict. hist. et biogr. de la Suisse, III, Neuchâtel 1926, p. 59, e G. Bellini, Sacerdoti educati nel seminario di Padova distinti per virtù, scienza, posizione sociale, Padova 1951, pp. 175 s . Sul periodo pavese le notizie sono scarse. Per il Portico teologico e la vicenda del seminario pavese, cfr. L. Valle, Ilseminario vescovile di Pavia dalla sua fondazione al 1902, Pavia 1907, pp. 122-153; M. Bernuzzi, La facoltà teologica dell'università di Pavia nel periodo delle riforme (1767-1797), Pavia 1982, pp. 184 ss., X. Toscani, Ilclero lombardo dall'ancien règime alla Restaurazione, Bologna 1979, pp. 305-328. Da fonti viennesi i cenni relativi alle funzioni amministrative in M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo -Veneto (1814-1848), Bologna 1983, p. 113. Sui problemi politico-religiosi del periodo e sugli indirizzi pastorali del F. si vedano A. Stella, Giurisdizionalismo e antitemporalismo del clero padovano (1850-1859), I, Il vescovo M. F. tra filoliberali e intransigenti, in Atti e Mem. dell'Acc. Patavina di scienze, lettere ed arti, LXXVII (1960-1965), 3, pp. 393-459; A. Gambasin, Ilclero padovano e la dominazione austriaca (1859-1866), Roma 1967, pp. 12-15, 75-84, 106 s., 176-179, 258-278; Id., I vescovi e la politica ecclesiastica degli Asburgo nel Lombardo-Veneto dal 1797 al 1866, in Römische historische Mitteilungen, XIX (1977), pp. 109-119; Id., 'Theses' in sacra teologia nell'università di Padova dal 1815 al 1873, Trieste 1984, pp. 1-58; Id., Teologia universitaria a Padova e politica culturale austriaca durante il Vormärz, in Dieci prolusioni accademiche (1975-1985), a cura di A. Lazzaretto Zanolo, Vicenza 1985, pp. 209-224; Id., Un vescovo..., pp. 23-200; La visita pastorale di M. F...., in particolare l'Introd., pp. VII- LXIII. Sulla formulazione del questionario ai parroci in occasione della visita pastorale cfr. F. Agostini, I questionari dei vescovi padovani nel XIX secolo, in Ricerche di storia sociale e religiosa, V (1976), pp. 5-18. E sull'azione del F. a favore delle scuole elementari pubbliche cfr. P. Pampaloni, L'istruzione elementare in diocesi di Padova durante la prima Restaurazione nelle carte del vescovo F., ibid., III (1974), pp. 229-294.