Modernità
Sebbene il concetto di m. abbia fatto la sua prima comparsa nel discorso sociologico solo alla fine del 19° sec., lo studio delle caratteristiche della struttura e dei processi della società moderna ha avuto inizio assai prima nell'ambito delle indagini sulla società civile. In diversi stadi del loro sviluppo le singole discipline umanistiche si sono poste il problema di individuare ciò che è nuovo nella società moderna. Ciò vale per l'economia politica di A. Smith nel 18° sec., per la storiografia di G.B. Vico e per la sociologia di fine Ottocento. In particolare, gli sforzi della sociologia per imporsi come una disciplina autonoma spesso hanno coinciso con la sua pretesa di offrire un'analisi del presente (Gegenwartsanalyse), un'esplorazione e una diagnosi dei tratti distintivi e nuovi della società moderna. Così come è accaduto in altre discipline che si proponevano anch'esse di investigare gli aspetti, i processi o l'esperienza della società moderna, tale diagnosi ha assunto spesso la forma della proclamazione di uno stato di crisi. Il dibattito sulla m. sembra dunque destinato a riaccendersi in periodi di crisi sociale e intellettuale, diventando particolarmente vivace in quei momenti storici in cui si crede di ravvisarne l'emergere oppure il declino. Di 'fine della modernità' parlano appunto alcune delle teorie della fine del 20° sec., secondo le quali a essa sarebbe subentrata una condizione postmoderna.
Differenze concettuali: modernità, modernizzazione e modernismo
Tutte le scienze sociali hanno elaborato una propria teoria della modernizzazione: un'analisi ai vari livelli - sociale, economico, politico, psicologico e culturale - delle modalità e dei processi attraverso i quali è emersa quella che viene definita società moderna. Si è trattato spesso di analisi formulate in termini etnocentrici, in quanto si proponevano di indicare il percorso che le altre società avrebbero dovuto seguire per modernizzarsi, portandosi al livello delle società 'avanzate' già modernizzate e proposte quindi come modello. Queste teorie etnocentriche si basavano su una contrapposizione tra società moderne e tradizionali, ricercando i fattori storici di cambiamento responsabili della transizione verso la modernità. Spesso, inoltre, vi è stata la tendenza a considerare lo stadio attuale della società come una condizione finale e definitiva, come il punto d'arrivo di un processo di sviluppo o di un progresso la cui dinamica era confinata esclusivamente nel passato. Una concezione di questo tipo ignora inevitabilmente la natura transitoria del presente attuale e della società moderna. Ogni teoria della m. in cui questa è intesa come configurazione radicalmente nuova dell'esperienza analizza anch'essa i processi di transizione verso la società moderna, senza peraltro ridursi a una teoria della modernizzazione. Così, le teorie estetiche della transizione verso la società moderna e la m. sviluppatesi a partire dalla seconda metà del 19° sec. hanno dato luogo a una serie di modernismi estetici, spesso accompagnati da manifesti delle avanguardie artistiche che annunciavano la comparsa di movimenti modernisti radicalmente nuovi e miravano a esplorare sul piano estetico lo 'shock del nuovo'. Quelle teorie che indagano la m. intesa come nuova configurazione dell'esperienza, anziché studiare la società moderna in generale nel complesso dei suoi rapporti economici, sociali e politici, privilegiano in genere la dimensione estetica. Quando con modernità ci si riferisce a un percorso temporale e strutturale che occorre seguire per acquisire le caratteristiche delle società 'moderne', ossia quelle del mondo occidentale industrializzato, il significato del concetto viene di fatto a coincidere con quello di 'modernizzazione'. Quando invece il concetto di m. viene riferito al complesso delle modalità o delle qualità dell'esperienza sociale moderna, il suo significato viene di fatto a coincidere con quello di 'modernismo' estetico. Un terzo, più recente significato del concetto di m. è quello di 'progetto storico' proposto da J. Habermas. Tutte queste accezioni della nozione di m. - modernizzazione, modernismo e progetto storico - pongono problemi di ordine analitico e metodologico (Osborne 1992).
Le teorie classiche della modernità
Baudelaire e il concetto di 'modernité'
Introducendo il nuovo concetto di modernité nel suo saggio del 1863, Le peintre de la vie moderne, Ch. Baudelaire definì la m. come ciò che è "transitorio, fugace, fortuito, la metà dell'arte di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile", accentuando in tal modo la contrapposizione di vecchia data tra antico e moderno. È la grande metropoli, secondo Baudelaire, il luogo per eccellenza, in cui l'esperienza moderna si presenta in queste nuove dimensioni. La m. è concepita sia come una 'qualità' della vita contemporanea sia come un nuovo oggetto estetico. Sebbene Baudelaire fosse interessato preminentemente alle forme di rappresentazione estetica della m., il suo discorso sulla dimensione transitoria, fugace e fortuita dell'esistenza moderna può essere ampliato e trasposto a un livello più generale di rilevanza sociologica. Se la m. viene concepita come esperienza discontinua e disgregatrice di un tempo transitorio, di uno spazio fugace e di costellazioni fortuite o arbitrarie di eventi non più legati da nessi causali, tale concezione ha delle implicazioni significative anche per quanto attiene alla sfera dell'individualità, del soggetto; il rapporto tra m. e identità soggettiva è appunto uno dei temi dominanti del dibattito sulla m. della fine del Novecento (Giddens 1992; Modernity and identity, 1992).
Razionalità e modernità in Weber
Lo sviluppo del moderno razionalismo occidentale e le sue conseguenze, tra cui il capitalismo razionale, costituiscono il punto focale della teoria weberiana della modernizzazione e della modernità. La razionalità strumentale - le cui origini vengono individuate da M. Weber nell'applicazione sul piano pratico di alcuni aspetti della dottrina protestante (Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, 1904-05; trad. it. 1945) - ha affermato la propria superiorità in quanto si caratterizza come una razionalità puramente formale, basata su un preciso calcolo dei mezzi più efficaci per raggiungere un determinato fine. L'organizzazione razionale del lavoro salariato, delle aziende, dell'amministrazione, dei sistemi giuridici e dei sistemi di legittimazione dello Stato, della religione ecc., e il predominio dell'azione razionale orientata allo scopo sugli altri tipi di azione (orientata al valore, all'affettività, alla tradizione) possono essere visti come un processo universale globalizzante. La creazione di una serie di sistemi e di sottosistemi dell'azione razionale orientata allo scopo in tutti gli ambiti sociali si accompagna secondo Weber a un progressivo 'disincanto' (Entzauberung) del mondo, in cui la razionalità formale ha affermato la propria superiorità su altri tipi di attribuzione di senso e ha condotto a una perdita di libertà e di significato dell'individuo in quelle sfere (burocratica, economica, giuridica, politica) in cui domina l'organizzazione razionale. Allorché il dominio della razionalità formale produce una situazione in cui i processi del mondo 'accadono' o 'sono' in modo del tutto oggettivo e impersonale, l'individuo può reagire cercando rifugio in una visione del mondo rassicurante, ossia con un ritorno alla mitologia e all'irrazionalità. Allorché la razionalità formale minaccia di colonizzare tutti gli ambiti della vita, l'uomo può reagire alla 'gabbia di ferro' della razionalizzazione e all'assenza di forze dinamiche facendo appello a una leadership carismatica in grado di superare questo stato di fossilizzazione.
La Teoria critica
La 'preistoria della modernità' di Benjamin
Le critiche alla m. contenute nelle teorie sociologiche di fine Ottocento sono state riformulate in forma più radicale ed estrema dagli esponenti della Teoria critica, che continua a influenzare in modo significativo il dibattito sulla modernità. Il primo e, sebbene incompiuto, più coerente tentativo di sviluppare una teoria critica della m. è quello di W. Benjamin in Das Passagenwerk (elaborato a partire dalla fine degli anni Venti, pubblicato in Gesammelte Schriften, 1982; trad. it. Opere complete, 9. I passages di Parigi, 2000). Due delle 'definizioni' della m. date da Benjamin - "il mondo dominato dalle sue fantasmagorie [...] questa è modernità", e "il nuovo nel contesto di ciò che è sempre stato" - suggeriscono una possibile affinità con il pensiero di due autori precedenti: K. Marx e F. Nietzsche. La prima definizione sembrerebbe infatti riecheggiare la nozione marxiana di illusione socialmente necessaria, di mondo illusorio creato dalla forma di merce e dal suo feticismo. La seconda definizione potrebbe essere ricollegata anch'essa al discorso marxiano del volto sempre nuovo della merce, ma richiama del pari la teoria nietzschiana dell'eterno ritorno dell'eguale. Il tratto distintivo della 'preistoria della modernità' di Benjamin risiede nel fatto che la sua esplorazione di Parigi, capitale del 19° sec. - con le sue strutture architettoniche, immagini, rappresentazioni, mezzi di comunicazione ecc. - intende gettare luce sulla m. attuale. Benjamin si serve inoltre di una serie di figure dialettiche - moderno e antico, masse e città, nuovo e sempre eguale - al fine di costruire una costellazione di dimensioni interrelate della modernità. Egli rinuncia volutamente all'idea di uno sviluppo, di un progresso lineare, riconoscendo l'irruzione del passato nel presente, dell'antico nel seno della m. stessa. Nel corso di questa ambiziosa ricostruzione della Parigi di metà Ottocento - dai passages ai panorami, ai grandi magazzini, alle stazioni ferroviarie, ai caffè ecc. - Benjamin cerca di cogliere i mutamenti essenziali dell'esperienza e della percezione nella realtà urbana del capitalismo moderno, attraverso una ricognizione delle immagini e dei mezzi di rappresentazione della m. (panorami, specchi, mode ecc.), delle strutture architettoniche e delle strade della metropoli moderna, di certe figure - il flâneur, il giocatore d'azzardo, la prostituta, lo sfaccendato - che esemplificano alcune dimensioni chiave della m., e, infine, di ciò che egli definisce "il mondo estinto delle cose". L'esistenza fenomenica della merce come cosa avrebbe dovuto costituire il tema centrale dell'ultima parte, mai scritta, di quest'opera. Benjamin cerca di costruire la sua 'preistoria della modernità' partendo dai frammenti, dalle immagini, dalle rovine della modernità. Il mondo della grande città moderna è un testo non ancora decifrato, un testo che può essere un sogno (che richiede un risveglio), un puzzle (che richiede una soluzione), o un geroglifico (che richiede una decifrazione). La m. è esplorata anche dal punto di vista delle tecniche di riproduzione del nuovo, del continuo shock del nuovo (che nasconde il vecchio, il sempre eguale). La merce, che diventa via via il punto focale del discorso di Benjamin, esprime sia il carattere fantasmagorico della m. (il suo effetto allegorico), sia il presentarsi del nuovo nel contesto del vecchio, di ciò che è sempre stato.
La Dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno
Il rapporto problematico tra razionalità, mitologia e m. era stato messo in luce già in precedenza da alcuni pensatori all'interno della tradizione filosofica tedesca, in particolare da I. Kant, G.W.F. Hegel e Nietzsche, ma sono stati M. Horkheimer e Th.W. Adorno nella Dialektik der Aufklärung (1947; trad. it. 1966) a offrirne l'analisi più devastante. In quest'opera, nel quadro di una filosofia discorsiva della storia e del soggetto, i due autori sottopongono a una critica radicale la natura 'totalitaria' della ragione illuministica, l'intreccio tra illuminismo e mitologia, la progressiva alienazione dell'uomo borghese (spesso presentato da una prospettiva esclusivamente maschile) e la natura assolutamente illusoria del progresso scientifico (positivista). Questo approccio critico, in cui sono evidenti le influenze di Hegel e di Nietzsche, impronterà le successive riflessioni sulla m. di Adorno e, successivamente, le teorie di Habermas. L'identificazione tra illuminismo e m. si basa su un'interpretazione della filosofia kantiana quale luogo in cui si compie la dissociazione formale della ragione. Già la distinzione tra ragione pura (cognitiva, strumentale) che attiene alla sfera della verità scientifica, la ragione pratica (morale) che attiene alla sfera dell'etica, e il giudizio (estetico, espressivo) che attiene alla sfera dell'autenticità e della bellezza, preannuncia la frammentazione della ragione e la separazione e l'autonomizzazione delle sfere della scienza oggettiva, dei concetti morali e del giudizio estetico.
Habermas e la modernità come progetto
Una difesa critica della m. definita come progetto è al centro del pensiero di Habermas (in opere come Die Moderne. Ein unvollendetes Projekt, in Kleine politische Schriften, 1981; Der philosophische Diskurs der Moderne, 1985, trad. it. 1987) che ha illustrato il discorso filosofico sulla m. (con riguardo al presente) e della m. (con riguardo al compito della filosofia), nonché lo sviluppo storico di essa (visto in larga misura in termini di sviluppo di sistemi e sottosistemi dell'agire razionale orientato allo scopo). Sul piano sociologico l'analisi del ruolo della razionalizzazione nella m. condotta da Habermas rivela una forte influenza weberiana, in quanto la razionalizzazione viene considerata un processo universale che finisce per trascendere i confini dell'organizzazione razionale della produzione, dell'amministrazione, della tecnologia e di altri sistemi dell'agire razionale orientato allo scopo - sistemi che sono essi stessi lontani dall'ermeneutica della comunicazione quotidiana nel mondo della vita (Lebenswelt). Il processo di autonomizzazione e di specializzazione della scienza, della morale e dell'arte è del tutto compatibile con il mancato verificarsi di una sufficiente differenziazione nello sviluppo di queste sfere. La colonizzazione del mondo della vita da parte della ragione strumentale minaccia inoltre di annullare la 'sfera pubblica' borghese e la sua funzione critica, in quanto gli accumulatori di capitale cercano anche di accumulare e di controllare le sfere di rilevanza culturale. Per quanto riguarda ciò che Habermas definisce m. estetica, la sua analisi si incentra sul mutamento della coscienza del tempo. Il nuovo, il futuro, il presente e il passato sono le quattro dimensioni fondamentali evidenziate da Habermas a questo proposito. Il moderno costituisce un'espressione di contemporaneità, una manifestazione di ciò che è nuovo (sebbene si tratti di una novità destinata a essere distrutta). La m. implica anche la trasformazione della coscienza del tempo, specialmente nell'ambito delle avanguardie artistiche che si avventurano in universi ignoti orientandosi verso un futuro non ancora realizzato. Tuttavia, la sopravvalutazione di ciò che è fugace, contingente ed effimero, l'esaltazione del suo carattere dinamico sono anche espressione del desiderio di un presente coerente e integro. Questo anelito segreto a un presente armonioso coincide con un'opposizione astratta alla storia e di conseguenza favorisce un presente non più ancorato al passato. È stata comunque la connessione tra m. e illuminismo istituita da Habermas nella sua teoria della m. a suscitare le discussioni e le polemiche più vivaci (Habermas and modernity, 1985). In particolare, J.-F. Lyotard ha affermato che Habermas si limita a creare un altro grand récit storico, che però è stato reso obsoleto dalla impetuosa proliferazione dei giochi linguistici e dall'erosione di ogni forma di pensiero fondativo. Questo è diventato uno dei temi centrali del dibattito tra i teorici della m. e i teorici del postmoderno.
Nuovi sviluppi del dibattito sulla modernità
Il dibattito sulla m. sviluppatosi alla fine del 20° sec. spesso si è configurato come una ripresa e un ampliamento di temi già presenti in autori precedenti. Alcuni hanno messo in luce la natura fondamentalmente ambigua e contraddittoria della m. come progetto (Bauman 1989; Cascardi 1992), illustrandone le importanti implicazioni per la possibilità di una sopravvivenza della funzione critica, nonché per la sfera del soggetto e dell'identità personale (Giddens 1992; Modernity and identity, 1992). Altri hanno criticato le tendenze globalizzanti di alcune teorie della m. (che insistono sulla razionalizzazione totale, sulla riduzione a un'unica dimensione ecc.), respingendo tali generalizzazioni sul terreno della politica (esemplare al riguardo è la riformulazione della nozione di potere e delle sue strategie attuata da M. Foucault). Analogamente, è stato messo in discussione l'assunto del carattere universale e inevitabile della m. e della modernizzazione alla base di alcune di queste teorie della globalizzazione, che finiscono per ignorare la diversità dei percorsi verso la m., le differenti esperienze della modernizzazione anche all'interno delle formazioni economico-sociali capitalistiche (Wagner 1994), nonché il divario che sussiste tra il Nord e il Sud del mondo per quanto attiene all'esperienza della modernità. La necessità di adottare un approccio più differenziato emerge in modo particolarmente evidente per quanto riguarda il rapporto tra m. e differenze legate al sesso, all'appartenenza etnica e alla classe sociale, che richiederebbe un'indagine storica specifica. La transizione alla m. e il divario o la frattura tra società moderne e società tradizionali sono stati esplorati dalla sociologia sin dai suoi inizi. L'idea della m. come esperienza discontinua del tempo, dello spazio e della causalità è stata sviluppata in nuove direzioni con riguardo al distanziamento spazio-temporale (Giddens 1992; Now here space, time and modernity, 1994). Lo sviluppo dei luoghi cruciali della m. - la grande città, lo Stato, l'impresa - caratterizzati da un mutamento dei rapporti spazio-temporali e dalla loro trascendenza, continua nel contesto della globalizzazione. Ciò implica un ripensamento del concetto di territorialità e dell'idea della società come temporalmente condizionata che vada al di là delle riflessioni sulla trascendenza dello spazio e del tempo sviluppate da Marx e G. Simmel a proposito di media come il denaro (Harvey 1985).
La modernità in una prospettiva postmoderna
Alla fine del 20° sec. il dibattito sulla m. è stato caratterizzato dalla rivalutazione del pensiero dei sociologi di fine Ottocento, da una riscoperta e da una riappropriazione di alcune opere chiave degli esponenti della Teoria critica, in particolare di Benjamin, dalla discussione sviluppatasi intorno alla difesa della m. come progetto incompiuto proposta da Habermas (Habermas and modernity, 1985) e infine dallo sviluppo di varie teorie del postmoderno. Sebbene queste ultime non abbiano proposto alcuna seria 'preistoria del postmoderno' nel senso di Benjamin, la storia della condizione postmoderna va collocata all'interno della m. stessa. Secondo alcuni autori (per es., Calinescu 1987), di fatto essa non sarebbe che un'altra, nuova 'faccia' della m., un'accentuazione o un'accelerazione di dimensioni dell'esistenza già presenti in essa. Questa tesi è stata rifiutata peraltro da quanti vedono nella condizione postmoderna una rottura radicale rispetto alla modernità. Nella misura in cui vi è una stretta correlazione tra m. e capitalismo, la tesi di una rottura radicale presuppone che nell'ultimo quarto del 20° sec. la natura del capitalismo abbia subito sostanziali trasformazioni di ordine qualitativo. Tuttavia l'ipotesi di un passaggio a formazioni economico-sociali postcapitalistiche o postindustriali - o comunque di un passaggio dalla sfera della produzione a quelle della circolazione, dello scambio e del consumo - è in contrasto con la tesi della globalizzazione (inclusa l'idea dell'universalizzazione della forma di merce) che è risultata predominante (Giddens 1990). Inoltre, poiché le teorie della m. e del postmoderno si basano su una determinata concezione della natura e delle trasformazioni del capitalismo, diventa essenziale il modo in cui viene definita la sua evoluzione - come capitalismo maturo, come capitalismo avanzato o come tardo capitalismo. La fine della m. potrebbe allora essere associata alla fine del tardo capitalismo. Se però si parte dall'assunto che la formazione economico-sociale capitalistica è appena ai suoi inizi, è legittimo considerare anche la m. in questa prospettiva. Un analogo ripensamento sembra richiedere la tesi dell'avvento di una società postindustriale, che parte spesso da premesse etnocentriche, ignorando che il capitalismo come sistema-mondo (globale) è in grado di funzionare perfettamente quando la produzione delle merci avviene al di fuori del centro metropolitano. Comunque, sebbene questa connessione tra capitalismo e m. resti problematica, le stesse caratteristiche che alcuni pensatori avevano considerato distintive della m. - il ruolo privilegiato delle sfere della circolazione, dello scambio e del consumo, il passaggio dalla differenziazione alla indifferenziazione (soprattutto nella sfera culturale), il problematizzarsi del rapporto tra significante e significato, il prevalere dell'immagine sulla parola (e la proliferazione di immagini), il passaggio a sistemi autoreferenziali (giochi linguistici, ma anche la sfera della circolazione delle merci), la fine della storia e della società e la centralità della sfera estetica - sono considerate anche dimensioni chiave della condizione postmoderna. Alla tesi secondo cui questa rappresenta una condizione radicalmente 'nuova' si potrebbe rispondere, con Benjamin e Nietzsche, mettendo in evidenza il carattere illusorio dell'assolutamente nuovo, sotto cui si nasconde l'eterno ritorno dell'eguale.
Il concetto di m. non ha perso il carattere problematico che presentava già alla sua comparsa agli inizi del 20° secolo. Entrata in crisi l'ideologia del 'moderno' assoluto (condivisa forse negli anni Cinquanta e Sessanta), basata sull'identificazione tra m. e progresso, l'attenzione tende a incentrarsi sulla specificità storica della modernità. Poiché il concetto di m. continua a essere associato a certe caratteristiche essenziali delle formazioni economico-sociali capitalistiche, molti ritengono che nelle società socialiste non esistano le condizioni della modernità. Il fatto che l'esperienza della m. si svolga principalmente alla superficie quotidiana della vita sociale, e soprattutto la sua collocazione entro le sfere della circolazione, dello scambio e del consumo, finiscono per oscurare le differenze legate al sesso, alla classe sociale e all'appartenenza etnica, che devono invece essere recuperate. Una maggiore differenziazione del concetto di m. si rende necessaria non soltanto al fine di distinguerlo da quelli di modernizzazione e di modernismo, ma anche per evitare che esso diventi una designazione di tutto ciò che è 'presente' e che finisca per dissolversi nella nozione assai più generale di 'moderno'.
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