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Modena

di Giorgio Baruffini, Pier Vincenzo Mengaldo - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Modena

Giorgio Baruffini
Pier Vincenzo Mengaldo

La storia di M. nella seconda metà del Duecento e nei primi decenni del secolo successivo non si scosta molto da quella delle città emiliane limitrofe, destinate, dopo una lunga vicenda di reciproco logoramento, a essere assorbite dalle signorie viscontea ed estense in fase di espansione.

Dopo la sanguinosa rotta della Fossalta a opera dei Bolognesi, che riuscirono a imporre ai rivali un loro podestà e resero possibile il successo del partito guelfo, un lungo travaglio di lotte civili portò all'offerta della signoria a Obizzo II d'Este (1288): breve e non felice esperimento, che, in seguito alla discordia tra i suoi due figli, Azzo VIII e Aldobrandino, condusse a un nuovo scontro con Bologna, che sosteneva il secondo, e alla perdita di Bazzano e Savignano (1299). La sconfitta e il malcontento per l'oppressivo governo estense provocarono un'insurrezione generale che portò al ripristino delle libertà comunali (1306). Al tempo della calata di Enrico VII, M. ne accolse i vicari; poi, morto l'imperatore, ripresero le discordie tra le fazioni, che videro il passaggio della città dai Pico ai Bonacolsi, dal Bavaro a Giovanni di Boemia, per tornare definitivamente agli Estensi nel 1336.

L'unica notizia su una presenza di D. nella città proviene da Pandolfo Arfaruoli, erudito pistoiese del '700, il quale afferma che " una volta nella città di Modona " il poeta ricevette " un mostaccione " da Vanni Fucci: ma si tratta di affermazione evidentemente destituita di ogni fondamento.

Scarsi appaiono la conoscenza e l'interesse di D. per M., che viene menzionata soltanto due volte nelle sue opere. La prima è in VE I XV 2-4, ove i Modenesi son ricordati per la ‛ garrulitas ' del loro dialetto. La seconda menzione ricorre in Pd VI 75, ove, sulla scorta di Lucano (Phars. I 41), si accenna alle sofferenze della città (Modena... fu dolente) al tempo del bellum Mutinense (43 a.C.): non senza qualche imprecisione, dal momento che nel testo pare che l'assedio alla città sia stato posto da Ottaviano anziché da Antonio.

Nonostante questa assai marginale presenza della città nell'opera dantesca, il culto di D. a M. conobbe momenti di particolare fioritura. Se per trovarne documentata la conoscenza occorre giungere al 1433, quando un Giacomo de Comanzarini segna nel suo testamento un " liber Dantis " e il commento di Benvenuto, le testimonianze si fanno poi più frequenti: così sappiamo delle letture tenute ai primi del '500 da Panfilo Sassi, che pare esercitassero influsso assai marcato sul Castelvetro. È appunto costui che rappresenta col suo commento il maggior tributo di M. al culto dantesco nel sec. XVI, anche se la sua posizione nei confronti del poema è assai cauta e piena di riserve. Sorvolando sul Tassoni, a prova del cui approfondimento della Commedia resta nella biblioteca Estense un'edizione aldina con sue postille, si ricordano le " sposizioni sopra Dante " tenute nel 1684 da G. Cinelli; come da ricordare saranno le pagine del Muratori e del Tiraboschi, pur con le limitazioni che costoro derivarono dal gusto arcade. Ma è soprattutto nell'Ottocento che M. diviene un'operosa officina nella quale operano studiosi che hanno lasciato traccia non lieve negli studi danteschi: dal Parenti, che fu tra i primi a intuire il problema della ricostruzione del testo del poema, al Cavazzoni Pederzini, editore del Convivio; dal Franciosi, scopritore del commento del Castelvetro, al Bertoldi, al Galassini, fino, all'inizio del '900, al Vandelli e al Casini, che in M. operò a lungo.

Nella biblioteca Estense sono conservati tredici manoscritti, otto incunaboli e duecentottantotto edizioni a stampa, incluse traduzioni e antologie, delle opere dantesche.

Bibl.-Fonti fondamentali sono gli Annales veteres Mutinensium (1131-1336), in Rer. Ital. Script. XI, Milano 1727, 49-83; Bonifacio Da Morano, Chronicon Mutinense (1306-1342), ibid., 89-130; Chronicon Estense (1101-1393), XV, ibid. 1729, 294-534; Giovanni Da Bazano, Chronicon Mutinense (1002-1363), ibid., 550-638; molte notizie anche nel Chronicon Parmense (1038-1338), a c. di G. Bonazzi, in Rer. Ital. Script.² IX 9, Città di Castello 1902-1904. Manca ancora una storia moderna di M. che superi L.A. Muratori, Antichità estensi, II, Modena 1717-40, 38-98, e G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, II, ibid. 1793-95, 70-268.

Su D. e M. qualcosa in T. Sandonnini, D. e gli Estensi, in " Atti Mem. Deputazione St. Patria Prov. Modenesi " IV (1892) 149-191; ricerche erudite in A.G. Spinelli, Gli Aldighieri danteschi nel Modenese, in " Mem. Accad. Scienze Lett. Arti Modena " III (1902) 187-203; sul culto dantesco G. Cavazzuti, Il culto di D. a M., ibid. V (1952) 189-212; per la notizia di D. a M.: P. Arfaruoli, Storie della città di Pistoia, 255-256, manoscritto nell'Arch. Capitolare di Pistoia, I 255-256.

Lingua. - D. accenna al dialetto modenese in VE I XV 2-4, a proposito dei Bolognesi che secondo il suo giudizio accolgono nel loro volgare qualcosa delle caratteristiche dei dialetti circostanti, romagnolo (imolese) da una parte, ferrarese e modenese dall'altra: e precisamente, da questi ultimi, aliqualem garrulitatem (" una certa chioccia durezza "), tipica dei ‛ Lombardi ' e derivata dalla mescolanza con gl'invasori Longobardi. Per questa ragione - prosegue D. - è impossibile trovare qualcuno, tra i Ferraresi, i Modenesi e i Reggiani, che abbia saputo scrivere poesie d'arte (come giustamente il Marigo intende poetasse): infatti gli abitanti di queste città, abituati alla loro ‛ garrulitas ', non riescono ad accostarsi al volgare aulico senza un residuo di asprezza (nullo modo possunt ad vulgare aulicum sine quadam acerbitate venire). E v. FERRARA: Lingua; LOMBARDIA: Lingua.

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rua s. f. – Variante di ruga1 nel sign. 3 («strada nell’abitato»), tuttora in uso nella toponomastica di alcune città, come Napoli (Rua Catalana, Rua Toscana), Ascoli Piceno, Modena.
comunèllo
comunello comunèllo s. m. [der. di comune2]. – Unità amministrativa minima della Toscana granducale e del ducato di Modena, fino alla fine del sec. 18°, equivalente a frazione di territorio comunale.
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