MOBILITÀ SOCIALE
La m. s., intesa come processo mediante il quale i membri di una data società si muovono dalla propria posizione sociale di origine a quella di destinazione, è oggetto di una specifica rilevazione periodica da parte dell’ISTAT nell’ambito delle indagini multiscopo riguardanti famiglia e soggetti sociali, finalizzata a cogliere il fenomeno nelle sue dimensioni statiche e dinamiche. Dall’ultima rilevazione relativa all’anno 2009 (tabb. 1 e 2) emerge che il 62,6% degli italiani con esperienza di lavoro ha occupato in quello stesso anno una posizione sociale diversa da quella di origine (propria o dei propri genitori). La maggior propensione a spostarsi verso posizioni sociali diverse da quelle della propria famiglia si osserva soprattutto tra i figli degli occupati nel settore agricolo (con percentuali oscillanti intorno al 90%) e tra i discendenti della piccola borghesia urbana, tre quarti dei quali sono diretti verso posizioni operaie e impiegatizie, e gli individui provenienti dalla borghesia professionale (oltre il 60%).
Al contrario, mostrano una propensione alla m. s. relativamente bassa i figli della classe media impiegatizia e della classe operaia urbana (45-50%). Allo stesso tempo, i movimenti degli italiani nello spazio sociale, pur risultando relativamente frequenti, sono guidati da meccanismi sperequativi che ne influenzano la direzione in modo rilevante. In particolare, la possibilità di raggiungere le diverse destinazioni sociali disponibili risulta ancora significativamente condizionata dall’origine sociale di partenza, con la conseguenza che la diseguaglianza delle opportunità di m.
s. è un aspetto che caratterizza ancora negativamente la società italiana. Tale disuguaglianza tende inoltre a crescere con l’aumento della distanza sociale fra le posizioni di origine in competizione. Per es., la probabilità per i figli di imprenditori e dirigenti di restare allo stesso livello dei padri risulta 11 volte superiore alla probabilità di accesso a quel medesimo livello per i figli di operai e impiegati di bassa qualificazione. Risulta pertanto accentuato il rallentamento dei processi di spostamento sociale verso l’alto a fronte di un rafforzamento del grado di ereditarietà delle posizioni sociali.
L’indagine ISTAT permette inoltre di rilevare l’emergere di un ulteriore fenomeno, che si aggiunge aggravandoli a quelli precedentemente descritti, consistente nella maggiore difficoltà incontrata soprattutto dalle generazioni più giovani di accedere a inizio della carriera lavorativa a posizioni sociali superiori. Considerando, infatti, le dieci coorti anagrafiche nella tab. 3, si rileva che le opportunità di miglioramento della propria condizione sociale rispetto a quella dei genitori (m. s. ascendente), iniziano a ridursi per i nati dopo il 1960 e peggiorano significativamente per i nati nel periodo 1970-84, dei quali un terzo si è trovato in una classe sociale inferiore a quella d’origine e appena un sesto è riuscito a migliorare il proprio status sociale. I nati dopo il 1970 rappresentano la prima generazione, tra quelle nate nel 20° sec., non soltanto a vedere complessivamente ridotta rispetto ai loro genitori la possibilità di accedere alle classi medie e superiori (Schizzerotto 2014), ma anche a subire, a parità di posizione occupazionale, una forte precarizzazione del rapporto di lavoro – l’accesso al mercato del lavoro attraverso contratti di lavoro atipico coinvolge il 44,6% dei nati dopo il 1980 e il 31,1% dei nati negli anni Settanta – e una riduzione sensibile dei salari reali, con conseguenze negative sulla stabilità del lavoro e sui percorsi di carriera. Anche il conseguimento di livelli di istruzione elevati, che tradizionalmente ha costituito il principale fattore di ascesa per le classi sociali più basse, sembra rispondere in maniera meno efficace alla funzione di miglioramento dello status sociale, sia perché i giovani che hanno completato percorsi formativi fino alla laurea o al dottorato trovano spesso impiego in posizioni professionali meno qualificate rispetto al proprio titolo di studio, con conseguente perdita di utilizzo delle competenze acquisite (brain waste) o fuga dei cervelli all’estero (brain drain), sia perché l’origine sociale stessa continua a influire sulla scelta e sull’esito dei percorsi formativi: tra i giovani nati negli anni Ottanta, risulta iscritto all’università il 62% dei figli di individui appartenenti a classi sociali agiate, ma solo il 20,3% dei figli di operai, mentre nella stessa coorte anagrafica abbandonano le scuole superiori soprattutto i figli di operai (30%) e solo marginalmente i figli di imprenditori e professionisti (6,7%). In questo senso la scuola, anziché essere un luogo di realizzazione dei principi meritocratici e, quindi, uno strumento di emancipazione sociale, contribuisce in modo rilevante a riprodurre le disuguaglianze sociali legate alle condizioni di nascita.
Bibliografia: A. Schizzerotto, Progredire regredendo. Dinamiche recenti della mobilità sociale, «AREL la rivista», 2014, 1, pp. 37-44. Si veda inoltre: ISTAT, indagine multiscopo famiglia e soggetti sociali, Roma 2013: http://www.istat.it/it/archivio/81546 (27 luglio 2015).