mobile
. Vale ciò che può essere mosso o può muoversi " e designa la proprietà fondamentale dell'oggetto della Filosofia naturale o Fisica (v.: Sì come ne la scienza naturale è subietto lo corpo mobile, Cv II XIII 17 [il termine ricorre una seconda volta]; Quaestio 60; cfr. Alb. Magno Phys. I I 3, Tomm. Comm. Phys. I lect. I).
M. non indica soltanto ciò che ha la possibilità di passare dalla quiete al moto ma anche ciò che permane nello stato di moto. Dice infatti Boezio (Peri Hermeneias sec., ediz. Meiser, Lipsia 1880, VI c. 13): " possibilitas aequivoca est et multa significans "; infatti se " haec talis potestas, quae ex potestate in actum vertit in solis mobilibus est, hoc est quae moveri possunt ", anche " illae vero quae semper in actu propria naturae qualitate mansuerunt, et in mobilibus inveniuntur, ut igni calor qui semper actu et nunquam fuerit potestate ".
Da notare che m. è termine relativo a moto, insieme con movente o motore (v.) e luogo; trae quindi le proprie caratteristiche dai diversi tipi di moto (aumentativo, alterativo e locale; cfr. Aristotele Phys. III 1-2, Met. X 9), ma l'interesse prevalente della scienza fisica si porta sul moto locale.
Accade così che anche in D. l'uso del termine riguardi quasi esclusivamente tale moto (unica eccezione è Pd XXXII 132 la gente ingrata mobile e retrosa, dove la connotazione morale priva senz'altro il termine di valore tecnico, di modo che esso designa ciò che è opposto a perseverante). Nell'ambito del moto locale si distingue ulteriormente tra moto circolare, moto rettilineo e moto misto, ma l'uso dantesco di m. si riferisce per lo più al moto circolare. Mobilis in connessione al moto naturale rettilineo è usato in Quaestio 25, dove serve alla definizione dei gravia e dei levia (et levia moventur sursum, gravia vero dorsum. Hoc enim intendo per grave et leve, quod sit mobile) e 22, dove la unidirezionalità del moto naturale di un elemento (l'acqua) verso il proprio luogo naturale (naturaliter mobilis) serve all'eliminazione di una delle ipotesi riguardanti le maree. Riferito a moti misti, il termine si può ritrovare solo in Cv I III 10 Per che Virgilio dice nel quarto de lo Eneida che la Fama vive per essere mobile, e acquista grandezza per andare, dove la fonte poetica (" mobilitate viget virisque adquirit eundo ", Aen. IV 175) riduce al minimo il valore tecnico del termine.
L'uso dantesco di m. si riferisce dunque prevalentemente al moto locale circolare ed è attribuzione delle sfere celesti in generale (Vn XXIX 2, Cv II III 6, V 12, XIII 3, 7 e 20, Quaestio 69) e alla nona sfera o Primo Mobile o cielo cristallino in particolare (Cv II III 5 e 9, V 17, XIV 14, Pd XXX 107, Mn I IX 8, Quaestio 68).
Le sfere celesti sono mosse dalle Intelligenze (v.) motrici, e quindi sotto questo rispetto sono passive, ma potenzialmente atte al moto:: " Sic ergo motus coelestis corporis, quantum ad activum principium, non est naturalis sed magis volontarius et intellectualis; quantum vero ad principium passivum est naturalis; nam corpus coeleste habet naturalem aptitudinem ad talem motum " (Tomm. Cont. Gent. III 23). La mobilità delle sfere celesti comporta la loro materialità, poiché il moto deriva da privazione e imperfezione e ha la sua giustificazione metafisica nella potenzialità della materia (" Et si coniunctio cum materia causa est mobilitatis, erit separatio a materia causa oppositi: quod est immobilitatis per se et per accidens ", Alb. Magno Metaph. I III 5). Di questa connessione necessaria fra materia e mobilità si serve D. come di una delle giustificazioni della personificazione poetica che egli fa dell'amore in Vn XXV 2 Dico che lo [Amore] vidi venire; onde, con ciò sia cosa che venire dica moto locale, e localmente mobile per sé, secondo lo Filosofo, sia solamente corpo, pare che io ponga Amore essere corpo. I cieli sono però di materia incorruttibile e il loro moto è solo moto locale: " Cum in corpore coelesti non sit potentia ad privationem formae sed solum ad diversa loca, non habent materiam quae sit in potentia ad formam et privationem, sed quae est in potentia ad diversa loca " (Tomm. Exp. Metaph. VIII lect. IV). I m. possono esser mossi da sé e allora sono esseri animati (esempi danteschi di m. usato per indicare un essere animato sono Pg XVIII 20 e il già citato Vn XXV 2), o sono mossi da altro; ciò comporta, nel caso delle sfere celesti, la dottrina aristotelica del Primo Motore immobile e delle Intelligenze motrici, ma insieme le dottrine del Primo Mobile e del suo luogo, cioè l'Empireo (v.), mediatore tra questo e Dio, che in D. assumono forti connotazioni arabizzanti e neoplatoniche.
L'esistenza e la qualità di un Primo Mobile, identificato con la nona sfera e racchiuso nella luce dell'Empireo (Fassi di raggio tutta sua parvenza / reflesso al sommo del mobile primo, / che prende quinci vivere e potenza, Pd XXX 107) sono dedotte, in un contesto culturale neoplatonico preoccupato di una corretta e graduale mediazione dall'uno al molteplice, dal semplice al complesso (cfr. Al-Bitrûji [Alpetragio] De Motibus coelorum, ediz. Carmody, Berkeley-Los Angeles 1952, VII-VIII, 89-93; Michele Scoto Super auctore Sphaerae, in Sphaera cum commentis, Venezia 1518, f. 108 coll. 3-4; Campano di Novara Tractatus de Sphaera 12, in Sphaera cum commentis, cit., f. 154 1; Summa philosophiae XV 3, in L. Baur, Die philosophischen Werke des Robert Grosseteste, in " Beiträge zur Gesch. der Phil. des Mittel. " Bd. IX), dalla necessità metafisica dell'esistenza di un cielo semplicissimo e mosso di un moto semplice e perfettamente circolare, cioè omogeneo al primo motore immobile, caratteristiche queste cui l'ottava sfera non soddisfaceva più dopo l'osservazione in essa del moto di precessione degli equinozi (v.) a fianco del moto diurno di rotazione (Cv II III 5 Tolomeo [cfr. Ptolomaei Opera quae extant omnia, II, Opera astronomica minora, ediz. Heiberg, Lipsia 1907, 123; Averroè Metaph. XII comm. 44, 48, De Coelo II comm. 67] poi, accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti, veggendo lo cerchio suo partire da lo diritto cerchio, che volge tutto da oriente in occidente, costretto da li principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori de lo Stellato, lo quale facesse questa revoluzione da oriente in occidente).
Il Primo Mobile così col suo moto semplicissimo e rapidissimo (Cv II III 9 E questo è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento, e V 17; cfr. Al-Bitrûji, op. cit., III §§ 10-15, 79-80) si presta sia alla funzione di regolatore di tutti i moti e motori (Mn I IX 8 Et cum coelum totum unico motu, scilicet Primi Mobilis, et ab unico motore, qui Deus est, reguletur in omnibus suis partibus, motibus et motoribus), sia alla funzione di sede di una virtù che " universalissima est minimeque ad particularitatem contracta " (Simplicio De Coelo II c. 8; Summa philosophiae, cit., XV 5) atta a sollecitare le potenzialità di tutti gli esseri a esso gerarchicamente sottoposti (ne la cui virtute / l'esser di tutto suo contento giace, Pd II 113-114).