MO YAN
Pseudonimo dello scrittore cinese Guan Moye, nato a Gaomi (Shandong) il 2 febbraio 1955. Autore soprattutto di romanzi e racconti brevi, ma anche di saggi e sceneggiature, molto amato e stimato in patria e all’estero, conosciuto anche per la sua attività di sceneggiatore, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti aggiudicandosi nel 2012 il Nobel per la letteratura perché «con il suo realismo allucinatorio unisce racconti popolari, storia e contemporaneità».
Quarto figlio di una famiglia di agricoltori, come tutti i giovani della sua generazione dovette abbandonare gli studi e dedicarsi a lavori pratici in nome della Rivoluzione culturale. Pastore, contadino e operaio, cercò nella scrittura il balsamo alle tante privazioni subite, dalla fame alla mancanza d’amore. Nel 1976 entrò a far parte dell’Esercito popolare di liberazione iniziando ben presto la sua attività di scrittore che gli aprì le porte, nel 1984, del dipartimento di letteratura dell’Accademia d’arte dell’esercito. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di magistero di Pechino nel 1990, si dedicò sempre più alla scrittura e nel 1997, ormai famoso, lasciò la carriera militare.
M. Y. (pseudonimo che in cinese tradizionale è traducibile con «non parlare») affida alla scrittura tutto il suo passato e le sue memorie, spesso incarnati in personaggi autobiografici, in un racconto che scaturisce dall’esposizione dei fatti senza lasciarsi andare ai giudizi. Fortemente legato alla terra natale e al mondo contadino che conosce profondamente, M. Y. ne ha portato alla luce tutte le contraddizioni che lo animano e che riflettono quelle del suo Paese, superpotenza mondiale intrappolata dal retaggio di un passato arcaico e autoritario. E proprio questo suo sguardo rivolto alle origini ne ha fatto un esponente di rilevo della corrente letteraria Xungen («ricerca delle radici») che racconta i caratteri più autentici, meno dogmatici e ufficiali della tradizione cinese.
Cantore della Cina degli umili, dei riti agresti e dell’energia femminile come cardine della società contadina, dopo i grandi romanzi degli anni Ottanta e Novanta (Hong gaoliang jiazu, 1987, trad. it. Sorgo rosso, 1994; Tiantang suantai zhi ge, 1988, trad. it. Le canzoni dell’aglio, 2014; Feng ru fei tun, 1996, trad. it. Grande seno, fianchi larghi, 2002), nel 2001 ha scritto Tan xiangxing (2001; trad. it. Il supplizio del legno di sandalo, 2005), racconto di una ribellione e di un’espiazione sempre sullo sfondo di una Cina dolorosamente in trasformazione; seguito da Shengsi pilao (2003; trad. it. Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, 2009), carrellata dei momenti cruciali della più recente storia cinese attraverso le reincarnazioni del proprietario terriero Ximen Nao di volta in volta asino, toro, maiale, cane, scimmia e infine di nuovo essere umano; e quindi da Bian (2009; trad. it. Cambiamenti, 2011), autobiografia tragicomica dall’infanzia dolorosa alla notorietà; Wa (2009; trad. it. Le rane, 2013), che affronta il drammatico tema del controllo delle nascite e la ‘politica del figlio unico’ introdotta in Cina nel 1978; Pow! (2012), racconto comico e allucinato della vita di un ragazzo che fugge le depravazioni del suo villaggio. Nel 1997 è uscita in Italia una raccolta dei suoi racconti intitolata L’uomo che allevava i gatti.
Bibliografia: M.S. Duke, Past, present and future in Mo Yan’s fiction of the 1980s, in From May fourth to June fourth. Fiction and film in 20th century China, ed. E. Widmer, D. Der-wei Wang, Cambridge (Mass.)-London 1993, pp. 295-326. Si veda inoltre: Mo Yan, The story of my life, http://www.nobelprize.org/ nobel_prizes/literature/laureates/2012/yan-bio.html (25 luglio 2015).