mitoide
s. m. (iron.) Luogo comune che si pretenderebbe di elevare a mito.
• Molti anni fa, facevo ricerche per trovare concetti e nomi nuovi per i cosmetici. Allora non lo sapevo, e tuttavia contribuivo anch’io a creare un mitoide, per usare il neologismo utilizzato nel brillante saggio di Marino Niola. I mitoidi sono dei miti in miniatura, più effimeri rispetto ai miti classici dell’antica Grecia. Nel mio caso, si lavorava sul corpo come strumento di seduzione. […] Niola li ha chiamati mitoidi alludendo agli asteroidi, che brillano e scompaiono, mentre le costellazioni di astri durano in eterno, come i miti classici. (Paolo Legrenzi, Repubblica, 28 agosto 2012, p. 36, Cultura) • «Roland Barthes nel saggio intitolato proprio “Miti d’oggi”, li definiva “parole scelte dalla Storia” per indicare la loro mutevolezza. Nel dopoguerra i miti erano ricostituenti: la bistecca, le patate fritte, il vino rosso, la Due Cavalli. Oggi abbiamo “mitoidi”, siamo choosy (schizzinosi) come direbbe il ministro [Elsa] Fornero, inseguiamo la bellezza anoressica, le nostre case sono vuote come i corpi. Ci chiudiamo dentro corazzate viaggianti, i suv, l’opposto dell’Italia del miracolo economico che faceva tanti figli e li stipava nella Cinquecento» (Marino Niola intervistato da Annarita Briganti, Repubblica, 13 gennaio 2013, Milano, p. XIII) • Nel saggio «Miti d’oggi», a oltre cinquant’anni dall’uscita dell’omonima opera capitale di Roland Barthes, Niola rilegge il concetto del mito guidando il lettore in un viaggio attraverso i moderni simboli, gesti, segni e costumi che raccontano il mondo. Li definisce «mitoidi» l’autore, per sottolinearne una generale tendenza alla provvisorietà. (Mattino di Padova, 23 aprile 2013, p. 46).
- Derivato dal s. m. mito con l’aggiunta del suffisso -oide.