Abstract
La pluralità dei provvedimenti cautelari ha imposto la predisposizione di una pluralità di mezzi attraverso i quali verificarne la “resistenza”: al di là dell’esame dei profili normativi dei singoli rimedi (riesame, appello e ricorso per cassazione) appare, quindi, necessaria qualche preliminare puntualizzazione di ordine sistematico, che ne valuti le caratteristiche, anche nei rapporti con altri mezzi non inquadrabili nella categoria dei mezzi di impugnazione (revoca e sostituzione).
Il mutamento del modello processuale, tra il “vecchio” e il “nuovo” codice, non ha solo imposto di mutare l’approccio alla restrizione della libertà personale prima della condanna (nel corso, cioè, del procedimento), seguito dal passaggio dalla “carcerazione preventiva” alla custodia cautelare, ma ha coinvolto l’intera disciplina della materia, e la sua stessa “filosofia”.
Principio della domanda cautelare e riserva di giurisdizione; discrezionalità nella scelta della misura, di cui si è ampliato il ventaglio, puntando su di un rapporto “calibrato” con l’ipotesi delittuosa oggetto di accertamento; adeguatezza, proporzionalità, gradualità e carcere come estrema soluzione; superamento delle presunzioni di pericolosità e di automatismi in relazione alla violazione delle prescrizioni; perdita di efficacia per il mancato rispetto degli adempimenti cronologicamente cadenzati; liberazione e non più libertà provvisoria; ragionevole, ancorché “flessibile”, durata (di fase, massima e complessiva) della custodia cautelare; struttura rafforzata del provvedimento cautelare connotato da una specifica tipologia di invalidità; riparazione per ingiusta detenzione, sono soltanto alcuni dei nuovi orizzonti entro i quali si colloca la disciplina racchiusa negli artt. 272-316 c.p.p., resi già evidenti dalla collocazione sistematica (e autonoma) nella struttura del codice di rito penale.
Si tratta, invero, di un autentico sottosistema normativo.
Nel riferito contesto, un ruolo significativo e caratterizzante – se non addirittura decisivo – non poteva non assumere la disciplina dei controlli nel quadro di un provvedimento strutturalmente destinato ad assumere le connotazioni dell’atto a sorpresa e per questa ragione in prevalenza sottratto ad un contraddittorio anticipato.
Si tratta di un meccanismo destinato ad operare su piano diversi: il primo livello è costituito dalle regole che a tempi rigorosi consentono alle parti di dolersi delle decisioni assunte in prime cure attraverso la tradizionale – ancorché fortemente rinforzata e strutturata rispetto al passato – disciplina dei gravami; il secondo è rappresentato dagli strumenti che su iniziativa di parte o d’ufficio consentono di verificare – continuativamente – la permanenza delle diverse condizioni che legittimano il perdurare delle misure restrittive.
Negli artt. 309-311 c.p.p. sono regolate le impugnazioni dei provvedimenti cautelari personali: si tratta dei rimedi del riesame, dell’appello e del ricorso (ordinario e per saltum). Già la sola elencazione consente di percepire che si tratta di un sistema articolato e differenziato, sia in relazione ai provvedimenti impugnabili, sia con riferimento ai soggetti legittimati, sia per quanto attiene ai poteri degli organi investiti dell’attività di controllo.
Invero, soprattutto il riesame risulta destinato ad avere un notevole rilievo in considerazione del fatto che si tratta dello strumento – affidato ad un organo collegiale – di verifica del provvedimento che dispone la misura coercitiva, articolato in tempi molto cadenzati e sanzionati, vicini al momento applicativo della misura.
Costruito sullo schema del nuovo giudizio, non condizionato dai motivi di gravame e dalla pienezza di poteri cognitivi (seppur forniti dalle parti) e decisori, il riesame, rispetto all’impostazione originaria del codice – pur conservando la sua centralità nella materia de qua – ha visto depotenziato il suo ruolo di garanzia, in forza della progressiva “anticipazione” della tutela difensiva.
Obbligo per il p.m. di verificare gli atti favorevoli sin dal momento della domanda cautelare, deposito degli atti ex art. 293 c.p.p. con diritto di copia, interrogatorio di garanzia, fino alla recente decisione della Corte costituzionale in punto di trasposizione delle intercettazioni telefoniche su supporto magnetico (C. cost., 10.10.2008, n. 336), hanno segnato un parziale affievolimento del ricorso al riesame in funzione difensiva.
A questo dato – sotto il profilo delle prassi – può aggiungersi il timore di una propensione alla “protezione” dell’ordinanza cautelare disposta dal tribunale del riesame, nonché l’orientamento giurisprudenziale che limita l’operatività dell’art. 309 c.p.p. al solo provvedimento genetico, con esclusione dei provvedimenti cautelari – in malam partem – connessi agli sviluppi procedimenti (ad es. artt. 276, 300 e 307 c.p.p.).
Considerazioni in parte analoghe possono essere sviluppate anche in relazione al giudizio d’appello cautelare regolato dall’art. 310 c.p.p. Pur calibrato sul modello del giudizio di controllo nei confronti delle sentenze, il meccanismo de quo si connota per alcune caratteristiche legate al suo particolare oggetto: si pensi, tra le più significative, quella legata all’effetto sospensivo del ricorso ex art. 310, co. 3, c.p.p., un unicum in materia di libertà personale.
La sua alternatività con il riesame ha finito per privilegiarlo, anche in ragione della natura ordinatoria dei tempi decisori e degli orientamenti giurisprudenziali che lo identificano quale strumento maggiormente “gestibile” rispetto al riesame.
Strutturato nei due percorsi – quello ordinario e quello per saltum – il ricorso per cassazione de libertate conserva, pur nella diversa materia oggetto di controllo – le sue connotazioni istituzionali – connesse alla funzione nomofilattica – di vaglio delle sole violazioni di legge, dando altresì seguito alla garanzia costituzionale della ricorribilità dei provvedimenti in tema di libertà personale.
In particolare, il ricorso per saltum, previsto come alternativo nel solo percorso dell’art. 309 c.p.p., esalta la funzione ed il ruolo del riesame come procedimento suscettibile di portare ad una valutazione complessiva di merito e capace di integrare le carenze del provvedimento genetico: saranno riscontrabili dal Supremo Collegio quei vizi che ai sensi dell’art. 309, co. 10, c.p.p. potrebbero condurre all’annullamento – radicale e non rimediabile – dell’ordinanza cautelare.
La questione assume rilievo problematico in ragione della significativa e risalente riforma dell’art. 292 c.p.p. (l. 8.8.1995, n. 332) e la previsione di precise situazioni invalidanti rilevabili anche d’ufficio. È nota, tuttavia, l’interpretazione riduttiva assunta, al riguardo, dalla giurisprudenza.
Le riserve paiono, piuttosto, annidarsi sulle implicazioni dell’esecuzione della misura a seguito sia di un annullamento parziale, sia di un annullamento totale: nel primo caso, si ritiene che il provvedimento mantenga i propri effetti esecutivi, ancorché sorretto da elementi incompleti; nel secondo, invece, pur nella diversità delle situazioni prospettabili, non sembrano trarsi tutte le implicazioni che una simile decisione dovrebbe comportare. Il discorso si salda, altresì, con le questioni prospettabili nel successivo giudizio di rinvio, sia in caso di annullamento totale, sia nel caso dell’annullamento parziale. L’impressione, infatti, è quella che, una volta esaurita la fase iniziale, quella legata, cioè, ad una “prima” verifica del provvedimento restrittivo, le successive cadenze e i successivi sviluppi procedimentali finiscano per assumere un rilievo del tutto marginale, in punto di garanzie – variamente considerate – restando i riscontri affidati al classico ed ordinario rito che caratterizza il procedimento sul merito.
Come anticipato, la disciplina dei gravami non esaurisce l’armamentario processuale – di cui dispongono le parti e il giudice che procede – teso alla verifica della condizione del soggetto ristretto: il riferimento s’indirizza, in particolare, alla revoca ed alla sostituzione dei provvedimenti in esecuzione (art. 299 c.p.p.).
Perfettamente inserita nel contesto dei criteri di scelta delle misure, come emerge dai richiami agli artt. 275 e 276 c.p.p. contenuti nella stessa norma, lo strumento offre a tutti i soggetti della vicenda cautelare un rimedio duttile e tempestivo per adeguare lo status libertatis alla situazione processuale “in continuo divenire” e, pertanto, fortemente ”magmatica”.
In merito, va evidenziato, fra l’altro, che, se l’iniziativa delle parti può ritenersi elemento appartenente alla fisiologia della materia, tratto caratterizzante l’istituto della revoca è, nei limiti e termini legalmente stabiliti, rappresentato dai poteri d’ufficio attribuiti al giudice. Un dato indubbiamente significativo è costituito soprattutto dall’intervento del g.i.p., giudice estraneo alla fase e con conoscenza circoscritta (cd. ad acta): in via del tutto eccezionale, i momenti di cognizione integrano i poteri giurisdizionali che, di conseguenza, si espandono in tutta la loro pienezza, seppur in modo selettivo, rispetto all’intera materia.
La mancanza di limiti temporali nell’attivazione dell’art. 299 c.p.p. ha inevitabilmente sollecitato la soluzione di complessi e articolati interrogativi in ordine alla contestualità ovvero all’esercizio delle relative iniziative in tempi successivi all’esaurimento totale o parziale della procedura di gravame. Lo stesso legislatore, pur consentendone implicitamente il contestuale o postumo esercizio, non ne ha definito – se non parzialmente – i confini. I nodi interpretativi e le questioni applicative sono stati sciolti, in qualche modo, dalla giurisprudenza e dalla dottrina attraverso il riconoscimento sia dell’azione contemporanea, sia di quella successiva, attraverso il ricorso ad una nozione “temperata” di giudicato o preclusione processuale, calibrate proprio sulla materia qui considerata, definendo, contenuti e i limiti, del cd. giudicato cautelare.
Nel contesto dei meccanismi di controllo e di verifica dell’attualità delle cautela – seppur da una diversa prospettiva – possono essere inquadrati anche altri strumenti con cui l’ordinamento connota la disciplina de qua (e ai quali si può qui solo accennare). Il riferimento s’indirizza al decorso dei termini finalizzati ad eludere che la cautela finisca, in alcuni casi, per identificarsi con la pena e, in altre situazioni, per coincidere con i tempi del processo. Nella stessa prospettiva vanno considerate le implicazioni connesse sia agli sviluppi processuali (art. 300 c.p.p.), sia alle ipotesi di irragionevolezza nella prosecuzione della detenzione (artt. 303 ss. c.p.p.).
Invero, proprio all’interno di questi contesti non sono mancate alcune criticità legate ad una diversa visione della cautela, com’è emerso nel contrasto fra Corte costituzionale e Cassazione, che ha obbligato i giudici a pronunciarsi sulla interpretazione restrittiva del Supremo Collegio in relazione all’art. 303, co. 2, c.p.p. (C. cost., 22.7.2005, n. 299).
Alla luce delle brevi considerazioni formulate, corre l’obbligo di sottolineare come il ruolo dei gravami abbia subito – rispetto all’originaria impostazione “illuminata” del legislatore – un certo arretramento dovuto, prevalentemente ad una giurisprudenza orientata verso letture sostanzialistiche delle patologie degli sviluppi procedimentali della disciplina dei gravami, impostazione tesa a distinguere l’itinerario in gravami – tutelata – da quella in regressione - meno garantita – nonché i mancati effetti preclusivi del giudizio di gravame in svolgimento, rispetto a nuove iniziative dell’accusa sostanziate dal materiale sopravvenuto (Cass., S.U., 16.12.2010, Testini, in CED Cass., 249001; Cass., S.U., 28.6.2005, n. 34655, Donati, in Corr. mer., 2006, 239; Cass., S.U., 31.3.2004, n. 18339, Donelli, in Dir. pen. e processo, 2005, 59).
Anche per queste ragioni, il ricorso alla disciplina prevista all’art. 299 c.p.p. ha finito per ricevere un significativo impulso, senza annullare il valore dei gravami de libertate ai quali spetta, comunque, una significativa funzione di garanzia.
Artt. 13 e 111 Cost.; art. 299; 303; 309; 310 e 311 c.p.p.
Cfr., tra gli altri, Ferraioli, M., Il riesame “anche nel merito”, Torino, 2012; Furgiuele, A., Il riesame, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, a cura di A. Scalfati, t. II, Le misure cautelari, Torino, 2009, 479 ss.; La Rocca, S.-La Rocca, E.N., Impugnazioni de libertate, in Le misure cautelari personali, a cura di G. Spangher e C. Santoriello, I, Torino, 2009; Spagnolo, P., Il tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano, 2008; Vigoni, D., Ricorso per cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, a cura di A. Scalfati, t. II, Le misure cautelari, Torino, 2009, 561.
Per la dottrina più autorevole, ma meno recente, senza alcuna pretesa di completezza v.: Bresciani, L., Libertà personale dell'imputato, in Dig. pen., VII, Torino, 1993, 438 ss.; Galati, A., La libertà personale dal codice Rocco al codice Vassalli, in Studi in onore di G. Vassalli, II, Milano, 1991, 235 ss.; Grevi, V., Le garanzie della libertà personale dell'imputato nel progetto preliminare: il sistema delle misure cautelari, in Giust. pen., 1988, 461 ss.; Grevi, V. (a cura di), La libertà personale dell'imputato verso il nuovo processo penale, Padova, 1989; Marzaduri, E., Custodia cautelare nel diritto processuale penale, in Dig. pen., III, Torino 1989, 280 ss.; Marzaduri, E., Misure cautelari personali, in Dig. pen., VIII, Torino, 1994, 59.