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MISTRÀ

di Giuseppe GEROLA - Georges A. SOTIRIOU - Enciclopedia Italiana (1934)
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MISTRÀ (Μυστρᾶς)

Giuseppe GEROLA
Georges A. SOTIRIOU

Città bizantina, ora abbandonata, presso l'attuale Sparta, sulla pendice orientale di un contrafforte del Taigeto. Fu detta la "Pompei bizantina".

Storia. - Quando, alla fondazione delle signorie franche in Levante, Guglielmo di Villehardouin vi fabbricò nell'inverno fra il 1248 e il 1249 la potente sua cittadella, la località si denominava Misithra: Mistrà non è che la corruzione di quel nome. Ma il Villehardouin, fatto prigioniero poco dopo dai Bizantini, fu costretto a vendere la nuova città al vincitore. Mistrà divenne da allora in poi non soltanto la capitale del tema del Peloponneso abbracciante la parte sud-est della Morea, ma il centro di resistenza dell'elemento greco contro i Franchi del principato di Acaia. Quando, nel 1349, agli strateghi che lo avevano governato fino allora, fu sostituita una dinastia di principi della casa imperiale, i primi despoti di Mistrà furono Manuele Cantacuzeno (morto nel 1380), secondogenito dell'imperatore Giovanni VI, Matteo ex-imperatore, fratello di costui e Giovanni, figlio di Matteo. Ma sbalzati i Cantacuzeni dal trono di Bisanzio dagli emuli Paleologi, anche a Mistrà si successero l'uno dopo l'altro Teodoro I (1384-1407), figlio dell'imperatore Giovanni V; Teodoro II (1407-1443; nato dall'imperatore Manuele II, divenuto poi imperatore egli stesso) impadronitosi a scapito dei Latini dell'intera Morea, che fu spartita tra i varî fratelli; suo fratello Costanzo (1443-1448), l'ultimo imperatore di Costantinopoli; e finalmente l'altro fratello Demetrio (1448-1460), con cui si chiude la serie.

Le alterne lotte con i Franchi e con i Veneziani e le sciagurate rivalità fra i varî membri della famiglia Paleologa furono causa dell'intervento in Morea degli Albanesi prima, cui fu affidata la colonizzazione di parte del paese, dei Turchi poi, che invitati dagli stessi signori in loro aiuto, non tardarono a dimostrare le loro mire di conquista, col rendere vassalli quei despoti e col sottometterli finalmente al giogo ottomano. Mistrà, che per lungo tempo aveva potuto rappresentare il centro politico e intellettuale del mondo greco e che dopo la caduta di Costantinopoli aveva costituito il rifugio estremo dell'ellenismo, finì per cadere a sua volta nel 1460 in mano del Turco.

I superstiti principi della schiatta Paleologa si rifugiarono a Roma. Quei principi infatti non avevano saputo resistere alle attrattive della civiltà italiana: ché mentre Ciriaco da Ancona, archeologo e poeta, visitava ripetutamente la Morea, Teodoro I sposava una figlia del fiorentino Neri Acciaiuoli duca d'Atene, Teodoro II impalmava Cleofe Malatesta da Rimini, e Costantino medesimo sceglieva a consorte Teodora Tocco di Zante e poi Caterina Gattilusi dei signori di Scio. Lo stesso Sigismondo Pandolfo Malatesta, inviato nel Peloponneso nel 1463 quale generale dell'esercito veneziano, dopo avere espugnato ai Turchi le cinte inferiori di Mistrà, portava con sé in Italia, per erigervi un avello all'esterno del tempio malatestiano, le ossa di Gemistio Pletone.

Mistrà rimase dopo di allora incontrastato dominio turco. Solo alla conquista della Morea ad opera di Francesco Morosini, la vecchia capitale, redenta dalle armi venete nel 1687, poté d'un tratto rifiorire a tal segno, specialmente in grazia della coltivazione del baco da seta, che la città crebbe allora a ben 42 mila abitanti e il suo benessere rimase testimoniato dal detto popolare "Mistrà mostra di Morea". Ma con la riconsegna al Turco nel 1715 essa decadde ancora una volta e definitivamente. Oggi non è più che un cumulo di rovine.

Monumenti. - Dell'epoca del suo fiorire Mistrà conserva sette chiese bizantine, la reggia dei despoti, palazzi, pozzi, cisterne, torri e mura, entro le quali sono contenute le rovine di circa due mila case quasi tutte d'età posteriore.

Mistrà si divide in città bassa e città alta; la città alta, ch'era il quartiere aristocratico, è circondata da mura con due porte; contiene la reggia con la chiesa di Santa Sofia e una serie di abitazioni signorili. La città bassa era il centro della vita religiosa. Vi si trovano: la metropoli con accanto il palazzo del metropolitano, il convento di Brontóchion con le due chiese degli Hágioi Theódōroi e di Afentikó, il convento della Pantánassa, le chiese della Períbleptos e della Euangelistría, e inoltre molti piccoli oratorî (tra cui degno di menzione quello di S. Giovanni) e le abitazioni di ragguardevoli personaggi come Frankópoulos, Láskaris, Krebbatãs.

Le chiese, con gli affreschi in esse conservati, sono considerate i resti più significativi dell'ultima rinascita dell'arte bizantina dell'epoca dei Paleologi; la reggia e i palazzi sono tra i pochi esempî rimastici dell'architettura bizantina profana.

Nell'architettura delle chiese di Mistrà predomina lo "stile pittoresco", caratteristico dell'ultimo periodo dell'arte bizantina. Le chiese circondate da narteci, portici, campanili, cappelle, hanno piccole dimensioni, proporzioni eleganti, esterno ornato, di tinta calda, con ricco movimento di superficie e di linee curve. Grande è la varietà dei tipi: elementi più antichi, derivanti dall'arte di Costantinopoli, ed elementi d'arte occidentale si fondono in un complesso armonico. Il più antico tempio è la metropoli (dedicata a S. Demetrio), dove avvenne l'incoronazione dell'ultimo imperatore Costantino Paleologo. Essa fu costruita, secondo epigrafi nel 1302, in forma di basilica, e trasformata poi in tempio cruciforme con cinque cupole. Lo stesso tipo architettonico misto si riscontra nelle chiese: di Afentikó, costruita nel 1310, e della Pantánassa, costruita nel 1365, inaugurata nel 1447. Le chiese di Mistrà conservano molti affreschi dell'epoca dei Paleologi; vi si può seguire l'evoluzione dello stile per un secolo e mezzo. I più antichi sono quelli della metropoli, appartenenti a due scuole: una tradizionalistica, che segue i canoni della più antica arte bizantina; un'altra più libera, con composizioni prospettiche, piene di movimento e d'espressione. Le migliori opere di questa seconda scuola sono costituite dagli affreschi delle due chiese di Brontóchion, disgraziatamente non bene conservati. Una terza scuola operò alla fine del sec. XIV nella Períbleptos, con carattere meno ardito ma più pittoresco, con ricerca di grazia, nobiltà, armonia di colori. Splendide opere di questa scuola, che portò al massimo il pittoresco e la ricchezza dei colori, sono nella chiesa della Pantánassa, e risalgono alla prima metà del sec. XV. Nelle chiese di Mistrà si conservano le tombe dei despoti e dei nobili con i loro ritratti. (V. tavv. CXI e CXII).

Bibl.: Per la storia: A. Struck, Mistra, eine mittelalterliche Ruinenstadt, Vienna 1910; Σ. Λάμπρος, Παλαιολογεια καὶ Πελοποννησιακά, Atene 1996 segg.; varî articoli di W. Miller, in Νέος ‛Ελληνομνήμων, vol. 21, Atene 1927; G. Gerola, L'effige del despota Giovanni Cantacuzeno, in Byzantion, VI, Bruxelles 1931; D. A. Zakynshinos, Le despotat grec de Morée, I, Parigi 1932. Per la storia dell'arte, oltre al citato volume dello Struck, Ch. Diehl, Manuel de l'art byzantin, II, Parigi 1926 (e gli scritti quivi citati a p. 755); F. Perilli, Mistrà, Atene 1929 (illustrazioni pittoriche); E. Muratof, La pittura bizantina, Roma s. a., p. 156 segg. In particolare su alcuni affreschi, G. Millet, Recherches sur l'iconographie de l'Évangile aux XIVe-XVI siècles, Parigi 1916.

Vedi anche
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Vocabolario
mistrà
mistra mistrà s. m. [voce di origine veneta, di etimo incerto]. – Liquore prodotto per distillazione di alcol di vino a bassa gradazione nel quale si sono fatti macerare frutti di anice verde, oppure preparato con alcol e anetolo cristallizzato....
fiaschétta
fiaschetta fiaschétta s. f. [dim. di fiasca]. – 1. Piccola fiasca, in genere. In partic.: a. Piccola borraccia, da portare in viaggio o in escursioni, per tenervi liquidi: la f. del mistrà, della grappa. b. Tasca di cuoio appesa alla bandoliera,...
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