MISSIONI
Le missioni cristiane (XXIII, p. 443; App II, 11, p. 333). - Negli ultimi decennî, e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, nelle m. di tutte le confessioni cristiane si è andata accentuando la tendenza al passaggio dalla forma missionaria dell'organizzazione ecclesiastica a quella di chiese locali con gerarchia e clero autoctoni. Il processo si è sviluppato evidentemente in corrispondenza con il movimento di rinascita nazionale o di liberazione dalla condizione di colonia di molti paesi d'Asia e d'Africa tanto più che la rapida trasformazione delle strutture politiche e sociali in questi paesi poneva le missioni - spesso oggetto di diffidenza o addirittura di avversione da parte dei gruppi e dei movimenti nazionalisti e progressisti locali - di fronte a una nuova situazione, nella quale veniva meno l'appoggio dell'amministrazione coloniale. D'altronde proprio il colonialismo era una pericolosa occasione a dimenticare che la m. ha per sua intrinseca natura un carattere transitorio.
Quanto alle m. cattoliche, già le encicliche Maximum illud di Benedetto XV (1919) e Rerum Ecclesiae di Pio XI (1926) avevano riconfermato che le chiese nate dalla m. dovevano essere portate a condizione di maturità fino a reggersi con clero autoctono. Pio XII con le sue encicliche Summi pontificatus (1939) e Evangelii praecones (1951) aveva rimesso autorevolmente in primo piano questa fondamentale direttiva. Giovanni XXIII, in una delle prime encicliche del suo pontificato (Princeps pastorum, 28 nov. 1959), relativa appunto al problema missionario, ha ricordato che il fine ultimo del lavoro missionario è di "costituire in modo stabile la Chiesa presso gli altri popoli e di affidarla a una gerarchia propria scelta tra i cristiani del luogo". Così negli ultimi decennî nelle missioni cattoliche il numero dei vescovi asiatici e africani è andato rapidamente crescendo: nel 1926 c'erano in Asia 11 vescovi di stirpe asiatica; nel 1935 venne consacrato il primo vescovo africano; intanto il numero dei vescovi in Asia era salito a 35; nel 1959 in Asia (ma non più considerando la Cina) i vescovi asiatici erano 68 e in Africa i vescovi africani 25. Ormai poi è divenuto quasi normale vedere sia in Asia che in Africa un prete locale succedere a un europeo a capo dei vicariati e delle diocesi. Il clero nativo è passato da 919 membri nel 1918 a 5553 nel 1957 per l'Asia, e in Africa da 90 membri a 1181. La Santa Sede ha anche proceduto alla costituzione della gerarchia ordinaria: nel 1950 nel Camerun britannico, nella Costa d'Oro, nella Nigeria, nel Pakistan, nella Sierra Leone; nel 1951 nel Basutoland e nello Swaziland; nel 1952 a Formosa; nel 1953 in Birmania, in Malesia, nella Rhodesia del sud, nella Somalia Francese, nell'Africa Equatoriale Francese, nell'Africa Occidentale Francese, nel Camerun Francese, nel Madagascar, nel Marocco.
In questo quadro di emancipazione e di autonomia dei paesi già coloniali e già di m. si è fatto nuovamente urgente il problema dell'adattamento della Chiesa alle culture dei popoli evangelizzati. Importante sotto questo riguardo è il movimento di rinnovamento liturgico nei paesi di m., per cui si è arrivati all'uso delle lingue parlate nel rituale e anche in alcune parti della messa cantata, all'utilizzazione delle melodie indigene per la musica sacra, all'adattamento di certe cerimonie agli antichi usi locali.
Va ricordato che in questi ultimi anni si è andato sviluppando in campo cattolico un vasto movimento per la partecipazione dei laici alle m. con un vero e proprio arruolamento di essi al servizio della Chiesa in favore delle giovani cristianità afroasiatiche. In Italia i varî movimenti sorti a questo scopo, pur mantenendo la propria autonomia, fanno capo a un Segretariato di cooperazione missionaria con sede a Milano.