missioni cristiane
La diffusione del messaggio di Cristo nel mondo
Solo alla fine del 6° secolo si può cominciare a parlare di missioni quali tentativi organizzati di diffondere la fede cristiana: fu papa Gregorio Magno a dare vita al movimento missionario inviando in Inghilterra un gruppo di monaci. Nei secoli successivi l’evangelizzazione fu affidata a diversi ordini religiosi: domenicani, francescani, cappuccini, gesuiti. Dopo essersi adattate a sempre nuove esigenze, le missioni cristiane sono attive ancora oggi soprattutto nei paesi più poveri del Pianeta
I missionari che sbarcarono nel 596 sulla spiaggia di Hastings, in Inghilterra, avevano studiato lingua, costumi e religione delle popolazioni che avrebbero incontrato (Angli e Sassoni): dovevano infatti conquistarne la fiducia prima di conquistarne le anime. Duecento anni più tardi, nella prima metà dell’8° secolo, il missionario inglese Bonifacio, sostenuto dai papi e dai sovrani franchi, avviò l’evangelizzazione dei popoli germanici distribuiti a est del Reno.
Nel 9° secolo fu invece l’Impero d’Oriente a delegare ai monaci greci Cirillo e Metodio il compito di avviare l’evangelizzazione dei popoli slavi.
Una diversa e più coerente fase delle missioni cristiane ha inizio soltanto nel 13° secolo. Fu allora che francescani e domenicani – ordini allora di recente fondazione – iniziarono a organizzare scuole per formare chierici incaricati di diffondere ove possibile il messaggio di Cristo. Ne derivò una forte spinta verso Oriente, di cui furono protagonisti ecclesiastici che erano insieme missionari, diplomatici ed esploratori. I risultati non furono però duraturi. Nel 14° secolo le missioni rivolte a evangelizzare l’Impero mongolo furono vanificate dall’invasione di Tamerlano, mentre in Cina, dove il cristianesimo era stato introdotto dalla fine del Duecento, a porre fine all’esperienza fu l’affermarsi della dinastia Ming, che nella sua ultima fase, però, vide la penetrazione dei gesuiti nel paese.
La scoperta e la colonizzazione diretta di territori nelle Americhe, ma anche in Africa e in Asia, diedero forte impulso all’attività missionaria. L’evangelizzazione fu affidata agli ordini regolari – francescani, domenicani, cappuccini e così via – e i missionari ebbero anche un ruolo fondamentale nel denunciare le violenze che caratterizzarono l’opera dei colonizzatori. Il domenicano spagnolo Bartolomé de Las Casas, autore di una Brevissima relazione della distruzione delle Indie, fu il più importante di questi missionari e col suo operato riuscì tra l’altro a ottenere che agli Indios venisse riconosciuta un’anima (a lungo però a essi sarebbero state negate l’Eucaristia e la possibilità di essere ordinati sacerdoti).
L’ordine gesuita, fondato da Ignazio di Loyola e riconosciuto dalla Chiesa nel 1540, aprì nuove prospettive. I gesuiti si consideravano missionari al servizio del papa per diffondere la parola di Cristo. A questo fine organizzarono un loro sistema di istruzione per i giovani nobili e i rampolli delle classi dirigenti. Attivi sul fronte interno, i gesuiti furono anche presenti nelle realtà coloniali. In America Meridionale elaborarono un nuovo modello di organizzazione coloniale, le reducciónes, più rispettoso dei diritti degli Indios. Questa esperienza li mise in concorrenza, e anche in urto, con le monarchie spagnola e portoghese, poco inclini a tollerare modelli alternativi al proprio.
Nel Cinquecento l’attività missionaria fu intensa in tutto il mondo. In Cina il gesuita Matteo Ricci conseguì rilevanti successi tra il 1583 e il 1610; in Giappone fu invece s. Francesco Saverio, anch’egli gesuita, a introdurre il cristianesimo. Qui però, a partire dalla fine del secolo esplose una violenta reazione anticristiana. Tali eventi e la difficoltà sempre maggiore dei missionari di tenersi liberi dalle pressioni delle maggiori potenze coloniali spinsero papa Gregorio XV a istituire nel 1622 la Congregazione de Propaganda Fide. I missionari dovevano ora obbedire solo a vicari apostolici nominati dalla congregazione. A essi veniva raccomandato di non occuparsi di politica e di rispettare usi e costumi dei popoli tra cui si trovavano.
I missionari, soprattutto i gesuiti, si adattarono a tal punto alle civiltà locali da attirare su di sé critiche e condanne. In Cina già dagli inizi del Seicento essi reputarono che gli atti di venerazione verso Confucio o altre pratiche religiose non fossero incompatibili col cristianesimo. Lo stesso fecero in India e in Giappone. Domenicani e francescani contestarono la sopravvivenza di questi particolari riti, che dopo un lungo confronto furono nel Settecento definitivamente condannati.
Alla paziente attività di convincimento che caratterizzava l’attività dei missionari si affiancava in alcune aree quella degli inquisitori che fronteggiavano con mezzi ben diversi i residui di paganesimo o la presenza di eresie. Nel mondo coloniale fu in specie nelle colonie portoghesi che la logica violenta dell’Inquisizione finì con l’avere la meglio: nel dominio indiano di Goa i roghi restarono accesi a lungo.
In età moderna, dopo la conclusione del Concilio di Trento (1563), si definirono altri modelli missionari e vennero promosse iniziative anche volte a evangelizzare di nuovo popolazioni di territori cristiani ove le sopravvivenze del paganesimo antico, le tracce di eresie e le credenze in superstizioni erano ancora robuste. I missionari agivano a fianco dei parroci e anche le città e non più solo aree isolate furono territorio di missione.
L’istituzione di nuove congregazioni religiose come quella dei lazzaristi, fondata da s. Vincenzo de’ Paoli, o quella dei redentoristi, voluta nel 1732 da s. Alfonso Maria dei Liguori, conferì nuovi significati a questo tipo di missioni. Attraverso esse si attuava anche una vigorosa opera di carità e assistenza.
Nel Settecento, con la diffusione dell’Illuminismo, le attività missionarie furono in più momenti ostacolate. La Compagnia di Gesù fu soppressa (1773) e con essa lo furono le numerose missioni da essa mantenute. Fu negli anni Venti dell’Ottocento che una nuova ventata ravvivò il movimento.
Vennero istituite nuove congregazioni esclusivamente indirizzate al compito missionario e nel campo finirono per adoperarsi anche le Chiese protestanti. Per lungo tempo le potenze coloniali protestanti, Inghilterra e Olanda, non promossero attività missionarie, anche per polemica contro le missioni cattoliche. Ancora nel Settecento, solo sparuti gruppi di missionari inglesi erano attivi in Oceania e in Africa. Poi, soprattutto per iniziativa di missionari che facevano parte di Chiese dissenzienti da quelle anglicana e calvinista, il fenomeno s’allargò. Anglicani, calvinisti, appunto, e poi anche luterani si impegnarono a fondo e all’inizio del Novecento i loro missionari erano saliti a decine di migliaia. Diffondevano la Bibbia, stampata in ogni lingua e dialetto, ma soprattutto si dedicavano all’assistenza. I missionari, cattolici o protestanti che fossero, attirarono però su di sé in questa fase anche diffidenze e critiche. Essi rischiarono infatti di divenire strumenti di penetrazione delle potenze coloniali (Francia, Gran Bretagna e Germania su tutte) che andavano allora consolidando i propri imperi. Quando gli esploratori rivelavano l’esistenza di nuovi territori, specialmente in Africa, quelle potenze prontamente li occupavano anche inviandovi subito missionari.
Nel 1919, dopo le devastazioni della Prima guerra mondiale, papa Benedetto XV ridefinì in una enciclica l’attività missionaria. Ogni intento nazionalistico andava bandito: i missionari dovevano formare il clero locale e dedicarsi all’assistenza. Pio XI riprese e amplificò questi temi: nel 1923 venne ordinato il primo vescovo indiano e nel 1926 lo furono i primi sei cinesi.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale (1945), la situazione generale mutò radicalmente per il disfarsi dei domini coloniali in Africa e in Asia. Nei paesi in via di sviluppo si andarono creando chiese locali su cui si imperniò un nuovo tipo di attività missionaria che fu anche ispirata dalle aperture e dalla nuova sensibilità dettata dal Concilio Vaticano II.
Le nuove missioni si caratterizzarono per spirito ecumenico, cioè per l’apertura alle altre confessioni religiose, e per l’accentuazione del carattere umanitario delle attività dei missionari. Accanto alle chiese sorgevano ospedali, scuole, centri di accoglienza e di formazione.
Ai giorni nostri l’attività dei missionari resta intensa in moltissimi paesi in via di sviluppo. Sempre più si contesta però, in realtà non cristiane, il fondamento del diritto della Chiesa di evangelizzare i popoli.
In diverse aree del Pianeta vengono frapposti ostacoli, anche con il mezzo della violenza, per impedire conversioni che riguardano spesso aree di popolazione marginali, considerate incapaci di difendersi dalle lusinghe dei missionari.