misero
Non è facile determinare una precisa distinzione di significato nell'uso di questo aggettivo pregnante, che esprime più un sentimento che non una qualità vera e propria, il cui valore più immediato di " infelice ", " sventurato ", " che desta pietà e commiserazione " (come in Cv IV IX 10) viene spesso potenziato da D. col raddoppiamento (IV XXVII 11), o con l'uso del superlativo (anche nell'edizione del '21 in Cv IV VI 19, ma nella Simonelli miseri), con l'accoppiamento con altri aggettivi di significato affine o complementare (‛ misero e vile ', Cv II XV 8, IV XXVIII 7 e XXIX 4; ‛ misero lasso ', If XXVII 84, XXXII 21, Pg X 121. In If XXX 16 trista, miseria e cattiva, si avrebbe, secondo il Bosco, una triplicazione sinonimica, avendo cattiva lo stesso valore di misera. La dittologia ‛ misero cattivo ' è in Novellino LXXIX, e il Boccaccio nel Decameron ricorre sovente ai tre aggettivi di D., accoppiandoli anche in duplicazioni sinonimiche. In If III 34-36 si ha la connessione ‛ misero tristo '). Il potenziamento dell'aggettivo si ha anche nell'uso sostantivato di If IX 123 sì duri lamenti, / che ben parean di miseri e d'offesi, in accorate esclamazioni (Rime LXVII 51, Rime dubbie XII 12, Cv I I 7, IV VI 19, Pg VIII 75), in apostrofi e invettive concitate (Cv II X 7, If XIX 1, Pg VI 85), assumendo il valore intensivo di " disgraziato ", " sciagurato ", " miserabile ", " meschino ", sì che tutta la miseria sia materiale sia morale dei personaggi e del loro stato viene di volta in volta compatita o bollata, ma anche sofferta dal poeta stesso.
Anche negli esempi, più numerosi, nei quali m., riferito a persone, luoghi, situazioni, azioni e parti del corpo umano, ha valore generico, come in If XIV 41 Sanza riposo mai era la tresca / de le misere mani (e Vn XXXII 4,. Cv I I 10, IV XIII 11, If III 34, VI 21, XVII 109, XXV 95, XXXI 7, XXXIII 63 e 77, Pg I 11, XIV 41, XXIV 129, Pd XXVIII 2), non è mai esornativo, ma rivela una viva partecipazione dell'autore, sia quando usa l'accorgimento stilistico di posporre l'aggettivo al sostantivo (Icaro misero le reni / sentì spennar per la scaldata cera, If XVII 109; riprese 'l teschio misero co' denti, XXXIII 77; quel suono / di cui le Piche misere sentiro / lo colpo tal, che disperar perdono, Pg I 11), sia là dove riprende direttamente un modo virgiliano (cfr. Aen. XI 182 e passim; Georg. III 66): infatti l'ormai proverbiale miseri mortali (Pd XXVIII 2), banalizzato se avulso dal contesto, nella terzina che, all'inizio del nuovo canto, ribadisce l'amara constatazione della debolezza e della miseria umana, analizzate nell'ultima parte del XXVII, è intensissimo, anche per la preziosità del neologismo del verso successivo, quella che 'mparadisa la mia mente, con la quale perifrasi viene indicata Beatrice.
In If XIX 1 (O Simon mago, o miseri seguaci / che le cose di Dio... per oro e per argento avolterate) e in Pg XIX 112 (Fino a quel punto misera e partita / da Dio anima fui, del tutto avara), pare che la condizione d'infelicità dei personaggi sia dovuta alla loro avidità e cupidigia, che li corrompe e travia, per cui m. potrebbe qui forse assumere press'a poco il significato di " avaro ", " gretto "; in Cv IV XXVII 9 quelli [consigli] che hanno rispetto a l'arte, la quale hai comperata, vendere puoi; ma non si che non sì convegnano alcuna volta decimare e dare a Dio, cioè a quelli miseri a cui solo lo grado divino è rimaso, si avvicina piuttosto a quello di " povero ". In Vn XXXV 3, XXXVII 3, Cv I I 10, II X 10, III XIII 11, IV XXVII 9, If IX 123, XXV 117, è usato con valore di sostantivo. L'aggettivo compare nella forma del diminutivo miserella in Pg X 82, e si trova anche nelle opere latine (VE I VII 2, Ep II 3, VI 3, Eg IV 79), sempre col significato generico che ha in italiano; è sostantivato in VE II IV 5.