MIRONE (Μύρων Myron)
Scultore nativo di Eleutere in Beozia (Plin., Nat. hist., xxxiv, 57-58); ebbe probabilmente assai presto la cittadinanza di Atene, come si può dedurre da Pausania, che lo chiama senz'altro ateniese (vi, 2,2); le due notizie si basano evidentemente su firme di statue originali. Il figlio di M. è indicato come eleutereo in un'iscrizione che ci è giunta (I. G.2, I, 400). Plinio data lo scultore dopo Policleto nel 420 e ne fa un alunno di Hageladas (v.) e nello stesso tempo contemporaneo dello scultore Pythagoras, attivo intorno al 480 a. C., con indicazione altrettanto inesatta; l'unico punto di appoggio può essere offerto dalle statue di atleti olimpici, vittoriosi nel 456, 448 e forse nel 444, e anche dal gruppo di Atena e Marsia probabilmente eseguito fra il 457 ed il 447 a. C., cioè in un momento di particolare inimicizia fra Atene e la Beozia. Sarà quindi più probabile fissarne la fioritura intorno al 450, ritenendolo attivo fra il 480 ed il 440 a. C. circa.
Tre opere mironiane ci sono tramandate in copie secondo l'opinione generale: il Discobolo, l'Atena e Marsia, l'Atleta. Il Discobolo, forse creato per Sparta prima che per Atene, come Giacinto che lancia il disco, è attestato da una quindicina di torsi e teste in marmo, da un bronzetto e da due gemme; il giovine atleta raccolto in se stesso nella preparazione del lancio del disco insiste sul piede destro, mentre il disco è nella destra alzata e la testa è sollevata ed arretrata; il piede sinistro sfiora il terreno preludendo a quello che sarà il nuovo atteggiamento dell'atleta subito dopo il lancio. Luciano (Philops., xviii, 45-46) dice che "il discobolo è rappresentato nell'attitudine raccolta del lancio; la testa rivolta verso la mano che tiene il disco, ed inclinata in modo da rialzarsi di scatto". In questa capacità di cogliere l'attimo di un movimento così veloce sta l'originale concezione dell'artista. Mentre nella copia già Lancellotti, ora nel Museo Naz. Romano, forse di età antoniniana, abbiamo la statua intera con la testa intatta (vol. iii, fig. 1316, s. v. greca, arte), in quella di Castel Porziano, anch'essa nel Museo Naz. Romano, si ha un torso di età augustea di singolare freschezza; interessanti per la storia delle copie in genere i torsi ridotti di Napoli e di Daphni, ora ad Atene, mentre il copista nel bronzetto di Monaco di età ellenistica ha operato soprattutto la trasformazione del volto, che è divenuto un ritratto (Rizzo, in Brunn-Bruckmann, Denkm., pp. 631-32; J. Sieveking, ibid., p. 681; B. Schweitzer, in Die Antike, xv, 1940, pp. 271 ss.). Cronologicamente il Discobolo sembra da attribuirsi ancora al periodo arcaico del maestro, quindi da collocare verso il 460 a. C. nonostante l'opinione contraria del Beyen, soprattutto per la vicinanza tra la testa dell'atleta e quella dei Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus in Olimpia. Pure in bronzo M. aveva eseguito un gruppo formato dal Satyrum admirantem tibias et Minervam (Plin., Nat. hist., xxxiv, 57); Pausania conferma (1, 24, 1) di aver visto il gruppo di Atena che batte il sileno Marsia, perché le ha preso i flauti, mentre la dea voleva che fossero gettati a terra. Dalla rappresentazione invero assai schematica del gruppo sulle monete, da una scena a rilievo su di un vaso marmoreo del Museo Naz. di Atene e da un vaso a figure rosse di Berlino, il Brunn riuscì ad identificare nel 1858 il Marsia in una statua del Laterano, allora deturpata da un falso restauro. Il sileno si ritrae puntando il piede destro avanti e gettando il torso indietro. L'Atena invece è stata identificata dal Pollak in una statua ora a Francoforte; la dea è di aspetto giovanile, e, con passo leggero, è raffigurata in atto di ritrarsi mentre volge il capo vivacemente a sinistra. Le due figure dovevano essere rappresentate come davanti ad un fondo, data la connessione stabilita dai flauti che erano a terra nel mezzo. L'instabilità dell'atteggiamento delle due figure, e il problema di movimento che è nella loro impostazione rendono ancora piuttosto salda questa attribuzione a M., che recentemente è stata oggetto di una critica serrata del Carpenter. Questi rileva invece un movimento su se stesso del sileno, che attribuisce ad età postpolicletea e confronta col Protesilao di New York; sicché il Marsia sarebbe della fine del V sec. a. C. e l'Atena di Francoforte non apparterrebbe al gruppo mironiano. Se invece si ritiene ancora di poter attribuire l'opera a M. e di vedere in essa un'allusione ironica all'invenzione del flauto che si riporta alla Beozia, il gruppo dovrà collocarsi cronologicamente fra il 457 ed il 447 a. C. quando Atene e la Beozia erano nemiche. Famosi erano gli atleti di M. vincitori ad Olimpia: Timanthes di Kleonai vittorioso nel pancrazio nel 456 a. C. (Paus., vi, 8, 4), Lykeinos di Sparta nelle corse dei carri del 448 (Paus., vi, 2, 2) e Chionis di Sparta più tardi (Paus., vi, 13, 2), nonché molti altri atleti (Plin., Nat. hist., xxxiv, 57). Raccogliendo varî elementi del corpo da nove copie, l'Amelung ha ricostruito un tipo di atleta mironiano che principalmente si basa su di un torso del Vaticano integrato da copie del Museo Torlonia, di Firenze, Siviglia, Vienna e Stoccolma; l'atleta è in atto di cingersi il capo con una fascia di cuoio per proteggersi prima della lotta. È un anadoùmenos, che, nonostante la sua statica concezione, può avvicinarsi alla struttura del Discobolo. Un altro atleta, noto soltanto dalla tradizione letteraria, era il Ladas di Olimpia trasportato a Roma ed identificato da qualcuno, senza però alcun seguito, nell'Efebo di Subiaco; era un corridore rappresentato nel momento culminante del suo esercizio come ci dicono due epigrammi (Anth. Pal., iv, 185, 318), e Pausania ricorda più volte il corridore senza però dirne l'autore (viii, 12, 5; iii, 21, i; ii, 19, 17). M. rappresentò anche parecchie divinità, come molti scultori suoi contemporanei: di legno o almeno con lo scheletro ligneo rivestito in bronzo era la sua Ecate, che Pausania ricorda come xòanon (v.) eseguito per Egina (Paus., ii, 30, 2), mentre nulla sappiamo di due statue di Apollo, una in proprietà di Verre ed un'altra rapita ad Efeso e restituita da Augusto a quella città (Cic., In Verr., iv, 43, 93; Plin., Nat. hist., xxxiv, 57), e di un Dioniso bronzeo di Orchomenos (Paus., ix, 30, 1). Né miglior sorte hanno l'Eretteo ricordato da Pausania (loc. cit.) e tre statue di Eracle (Cic., In Verr., iv, 3, 5; Plin., loc. cit.) di una delle quali si sa che faceva parte di una triade con Zeus ed Atena nell'Heraion di Samo (Strabo, xiv, 637 C). Il Bulle ha ricostruito idealmente questo gruppo servendosi di una copia pergamena di Atena, di un torso del Vaticano con testa di Lucio Vero, che è servito anche all'Amelung per l'Atleta, e di una statuetta di Eracle a Boston, che ha alcuni caratteri ancora severi, ma che può anche meglio considerarsi opera neoattica. Né miglior successo ha l'attribuzione della testa bolognese della Lemnia al gruppo di Samo, fatta dalla Jenkins. A M. si è anche attribuito un Eracle colossale del Palazzo Altemps in Roma, che rappresenta l'eroe seduto su di una roccia su cui è gettata la pelle leonina, opera, invece, probabilmente ellenistica. Del Perseo, che per Pausania (1, 23, 7) era rappresentato dopo aver compiuto l'impresa di Medusa, avremmo, secondo il Furtwängler, due repliche della testa a Londra ed al Museo Nuovo dei Conservatori, mentre della statua intera avremmo riproduzioni nelle monete di Argo dove l'eroe è rappresentato in atto di brandire il gorgonèion; il Carpenter ha negato anche questa identificazione. Nella testa del Perseo egli scorge un carattere prassitelico che l'avvicina all'Igea del Palatino e quindi sposta la data dell'originale agli inizî del IV sec. a. C. Quattro tori bronzei collocati intorno all'ara nel portico del tempio di Apollo Palatino erano attribuiti anticamente a M. (Prop., iii, 21, 7), mentre celebre era la sua Mucca (Tzetz., Chil., viii, 370; Proc., De bello Goth., iv, 21) consacrata sull'acropoli ateniese forse in occasione delle Panatenee e poi trasportata a Roma, celebrata dai poeti dell'Anthologia Graeca (i, 165, 42; 249, 19; 11, 248, 25). È alquanto difficile trovare oggi il legame tra la Mucca della Sala degli Animali del Vaticano, o quella bronzea di Ercolano ora a Parigi, e l'opera di M.; forse si tratta di un tipo trasformato nell'ellenismo. Invece i quattro tori menzionati da Properzio sono rappresentati su uno dei lati della base di Sorrento, dove è il portico del tempio di Apollo Palatino, ma la piccola dimensione non consente alcun giudizio sull'opera.
Anche per M. c'è stato un lavoro di attribuzione di sculture che, pur non trovando rispondenza nella tradizione letteraria, sono apparse a qualche studioso di stile mironiano. V. H. Poulsen, partendo dal confronto con l'Atleta Amelung ha allargato in modo singolare le opere di M. attribuendogli l'Apollo dell'Omphalòs, che sarebbe opera giovanile vicina anche alla testa dell'Atena di Francoforte, databile intorno al 480 a. C., e lo Zeus o Posidone barbato (per altri un atleta) dal Capo Artemision ora ad Atene, che è per lui opera vicina all'ambiente peloponnesiaco come un po' tutta l'opera mironiana; queste conclusioni permettono al Poulsen anche di ritenere che M. si sia formato alla scuola dello scultore attico Kritios. In seguito al confronto poi fra una testa di Hermes a Berlino, attribuita al Discoforo di Policleto in generale, e la testa del Discobolo Lancellotti, il Poulsen stabilisce che M. fu per quest'opera influenzato dall'arte policletea, mentre echi fidiaci si ritroverebbero nell'Atena, nel Marsia (si veda la Lemnia fidiaca e il Lapita della Metopa xxvii S del Partenone) sicché il gruppo sarebbe del 445 a. C. circa; di poco posteriore sarebbero l'Atleta mironiano, che risentirebbe del pathos fidiaco, ed il Perseo, mentre il torso del cosiddetto Diomede di Monaco dovrebbe attribuirsi all'estrema attività mironiana per il confronto con l'Apollo dell'Omphalòs. Lo Homann-Wedeking ha giustamente messo l'accento sul pericolo delle attribuzioni a M. di opere d'incerta paternità soltanto perché egli è l'artista più noto del suo tempo; la vicinanza del cosiddetto Posidone o Zeus del Capo Artemision con le figure dei frontoni di Egina farebbe pensare invece ad una provenienza peloponnesiaca, e specialmente ad Onatas mentre l'Apollo dell'Omphalòs, di un altro maestro, potrebbe attribuirsi a Kalamis come l'Anadoùmenos dell'Amelung. L'Andrén vorrebbe addirittura limitare le attribuzioni mironiane al solo Discobolo, ciò che veramente appare eccessivo, ma ritornando recentemente sulla questione dell'Atena e del Marsia ritiene possibile attribuire a M. anche questo gruppo. Infine il Beyen ha di recente negata l'attribuzione del cosiddetto Posidone a M. rilevando il carattere peloponnesiaco della figura ed identificando addirittura la scuola alla quale apparterrebbe, quella di Sicione, mentre l'Atleta Amelung sarebbe attico. L'estrema variabilità di queste ipotesi dimostra quanto sia difficile ricostruire la personalità di un artista antico sulle copie, o su originali come il cosiddetto Posidone, che hanno infiniti legami stilistici con opere coeve d'incerta attribuzione. Val quindi meglio attenersi per M. a quelle attribuzioni che sono sostenute non soltanto dalla tradizione letteraria ma dalla unanimità del giudizio diretto.
Nella tradizione M. è altamente elogiato. Plinio più volte considera M. vicino a Policleto, e afferma che è numerosior quam Polyclitus et in symmetria diligentior; secondo Cicerone (De orat., iii, 7, 26) egli fa parte con Policleto e Lisippo di una triade (di scultori di atleti che furono tra loro assai diversi, ed altrove l'oratore (Brut., xviii, 70) osserva che le opere di M. rispetto a quelle dure di Kalamis ed a quelle ancor più dure di Kanachos erano sulla via della bellezza ma non satis ad veritatem adducta, né perfette come quelle di Policleto. Fu anche il primo a multiplicare veritatem (Plin., Nat. hist., xxxiv, 58) cioè a moltiplicare gli aspetti rappresentativi della natura, oppure a segmentare e scomporre la realtà di un corpo umano (secondo l'interpretazione proposta dal Ferri, che si riporta all'espressione retorica greca πολλὰ πλέκεσϑαι, che deve stare alla base del testo pliniano). Accanto a queste lodi Plinio tuttavia accenna alla scarsa rappresentazione dei sentimenti dell'animo ed al prevalente interesse di M. per l'aspetto fisico; egli aggiunge che nell'esecuzione dei capelli aveva ancora un carattere arcaico, e Stazio (Silv., iv, 6, 25) lo chiama doctus; Ovidio invece lo dice operosus (Ars am., iii, 219); nell'impostazione delle figure consisteva dunque il merito di M. che appartiene all'ultimo stadio dello stile preclassico (Quintil., xii, 10, 7). La predilezione che M. manifesta per le figure in movimento, dal Discobolo al Marsia, dal Ladas al Perseo, lo rende diverso dai contemporanei; se il suo nudo è ancora legato a schemi arcaici, ed è ancora frammentaria la sua concezione anatomica, il suo ideale resta quello di cogliere l'attimo del movimento, l'azione violenta e momentanea, l'instabilità dei vari atteggiamenti atletici. Sembra che tale visione formale fosse stata anche teorizzata dall'artista (cfr. Plin., Nat. hist., xxxiv, 38, ediz. S. Ferri. nota C). La sua arte estremamente dinamica appartiene allo stile severo, ed è in fondo attica, ma legata ad un ricordo di schemi arcaici. Realizzatore di una vitalità fisica intensa e quasi animalesca, M. è lontano però ancora da quella rappresentazione spirituale dell'uomo che è la conquista di Fidia.
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