MIRABEAU, Gabriel-Honoré Riqueti, conte di
Nacque nella piccola terra di Bignon, in Provenza, il 9 marzo 1749, dal marchese Vittorio (v.), e da Maria Genoveffa di Vassan. Fisicamente fortissimo, precoce, irrequieto, entrò a 15 anni nella pensione militare dell'abate Choquard, e il 19 luglio 1767 arrivò al reggimento Berri-Cavalerie comandato dal de Lambert. S'irretì subito in debiti di giuoco e in avventure galanti in modo tale che il padre lo fece rinchiudere nella prigione dell'Île-de-France. Ne uscì il 16 aprile 1769 imbarcandosi subito per la spedizione di Corsica, durante la quale serbò la più esemplare condotta; ma ritornato in Francia e non avendo tanto da comperarsi una Compagnia di dragoni, secondo gli ordinamenti militari del tempo, lasciò a 21 anni l'esercito con qualche amarezza. Contro la volontà dei genitori, sposò, il 23 giugno 1772, la figlia del marchese di Marignano: matrimonio che non gli portò né la ricchezza, né l'agiatezza, né la pace. I debiti contratti in poco più di un anno furono tanti che il padre lo fece rinchiudere nel castello di Mirabeau, per sottrarlo, come disse, alle persecuzioni dei creditori (16 dicembre '73). Trasferito nel marzo '74 a Manosque, ne uscì con grande disinvoltura recandosi a Grasse, dove imperava la sorella, bella e indocile come lui, marchesa di Cabris; a Grasse si batté in duello aggravando la sua già difficile posizione; e però il marchese, irritato, lo fece chiudere (20 settembre '74) nel castello d'If davanti a Marsiglia, prima, e poi nel lontano castello di Joux a qualche chilometro da Pontarlier (25 maggio '75). Scrisse allora l'Essai sur le despotisme, pubblicato nel novembre di quell'anno, anonimo, a Neuchâtel, ma con la data di Londra. Il destino volle che a Pontarlier, nelle sue fugaci apparizioni clandestine, conoscesse la seconda moglie del settantenne marchese de Monnier, Sofia de Ruffey, meno che venticinquenne, bella, seducente. Una violenta passione travolse i due giovani, che fuggirono insieme, la notte del 24 agosto del 1776, verso le Verrières. Di là, nel settembre, si rifugiarono in Olanda; ma sotto la pressione di tutto il parentado di entrambi, il ministro degli Esteri di Francia ottenne l'arresto e l'estradizione dei due, il 14 maggio '77. M. fu rinchiuso a Vincennes, e Sofia, incinta, collocata in una casa di correzione. La prigionia durò fino al 13 dicembre 1780; Sofia languì in convento a Gien fino alla morte del marito (1783); poi, avendo perduto già la figlioletta Sofia-Gabriella e l'amore di M., finì suicida (9 settembre '89). Sono degli anni di Vincennes le Lettres à Sophie, che, ritrovate nell'archivio della Bastiglia (poiché passavano per le mani di Le Noir), furono pubblicate nel 1792 dall'editore T. B. Garnery, in 4 volumi: epistolario eloquente e doloroso e pur ricco di osservazioni letterarie, storiche e filosofiche profonde e originali, che echeggeranno più tardi negli scritti e nei discorsi del tribuno. L'ultima lettera è del 21 ottobre '80. Nel 1782 uscì il saggio Des lettres de cachet et des prisons d'État, in cui i frammenti di pensiero costituzionale disseminati già nell'Essai sur le despotisme si compongono in vigoroso organismo, in quella teoria dei "contrepoids politiques dans l'État" che diventerà, durante tutta l'ardente battaglia alla Costituente, il suo credo e l'intima ragione dei suoi successi all'assemblea e nel paese. "Il diritto di sovranità - ecco un periodo singolare - risiede unicamente e inalienabilmente nel popolo;... il re non è che il primo magistrato della nazione". E poi: "La legge, per essere giusta, legittima, obbligatoria, insomma veramente legge, deve avere il suggello del libero e generale consenso". Questo scritto veniva alla luce la vigilia della divisione di M. dalla moglie, dopo un giudizio incominciato il febbraio e finito il 5 luglio '83. Il 23 maggio, davanti alla Gran camera del parlamento d'Aix, M. parlò cinque ore dando la piena misura della sua formidabile eloquenza e polverizzando l'accusa che gli movevano contro i difensori della moglie; ma la causa era già decisa nel cuore dei giudici. Per M. la cosa non ebbe alcuna importanza, tanto più che il 19 settembre '83 il padre sciolse la riserva implicita nell'atto di liberazione del M. abbandonando al suo destino il figlio ribelle e incorreggibile. M. si trovò completamente libero ma, povero assai (non aveva che una rendita di tremila lire), fu spesso alle prese con incredibili difficoltà, appena attenuate durante il periodo ('84-'86) in cui amò sinceramente Enrichetta Amelia de Nehera, che esercitò su di lui un influsso benefico fin che M. se ne allontanò passando a più utili amori con quella M.me Lejay, libraia di Marsiglia, che gli portò via il ms. della Histoire secrète de la Cour de Berlin. Tra l''84 e l''86 pubblicò le Considerations sur l'Ordre de Cincinnatus, in cui severamente criticò il concetto informatore della istituzione negli Stati Uniti d'America dell'Ordine equestre di Cincinnato per gli ufficiali che avevano partecipato alla guerra d'indipendenza, concetto assurdo per M. perché in giovani repubbliche, senza tradizioni nobiliari, la creazione di una "nobiltà artificiale" sarebbe stata pericolosa e, comunque, non necessaria; e poi alcuni opuscoli rapidi e violenti, come i Doutes sur la liberté de l'Escaut, intonno al progetto di Giuseppe II di donare la libertà della Schelda ai suoi sudditi del Brabante, e i cinque pamphlets scandalistici sulla Cassa di sconto, sulla Banca di Spagna e sulla condotta della Compagnia delle acque di Parigi - tutti ispiratigli dalla consuetudine di vita con amici e collaboratori suoi come Dumont, Romilly, Vaughan, Chauvet, Clavière, dei quali egli assimilava con prodigiosa rapidità le idee e loro conferiva le caratteristiche del genio. Da mezzo l''86 fino ai primi dell''87 fu inviato dal ministro degli Esteri de Vergennes in Prussia con una missione non esattamente definibile, ottenutagli dai buoni uffici dell'allora abate de Périgord (il futuro principe di Talleyrand) e del duca di Lauzun. Le note che M. scrisse e inviò al governo dal 5 luglio '86 al 19 gennaio '87 (settanta in tutto) venivano indirizzate al duca e all'abate (rispettivamente in numero di tre e di sessantasette), perché le passassero al ministro, e furono lette spesso anche da Luigi XVI: acute, originali, ricche di osservazioni sconcertanti, sono, in realtà, la storia intima di una corte che, avviandosi il grande Federico alla tomba, si corrompeva e si sfasciava. Naturalmente, non erano destinate alla pubblicità; ma tra la fine dell''88 e i primi dell''89 vennero fuori, a cura di M.me Leiay, come opera postuma e anonima, sotto il titolo di Histoire secrète des la Cour de Berlin, ou corréspondance d'un voyageur françois depuis le 5 juillet 1786 jusqu'au 19 janvier 1787, suscitando una vasta ondata di scandali e non lievi ripercussioni sui rapporti diplomatici tra la Francia e la Prussia. Debolmente, in una lettera al Journal de Paris (11 febbraio '89) M. tentò di difendersi dall'accusa di aver dato alla luce, per trarne guadagno, documenti diplomatici; ma l'apertura della campagna per gli stati generali servì ad attenuare lo scandalo e a sommergerlo per dir così nella più ardente e impetuosa corrente di scandali che circolava allora per tutta la Francia. Appena pubblicato il decreto del 12 agosto 1788 che convocava per la ventura primavera gli stati generali, M. pensò di ottenere a qualunque costo un mandato. Ostacolato sordamente dal padre, sospettato dagli ordini privilegiati e poi da essi, con evidente ingiustizia, espulso, non gli rimase che gettarsi nella lotta come rappresentante del terzo stato, precisando nell'opuscolo del 3 febbraio '89 (che era destinato a essere un discorso all'assemblea dei privilegiati) quei punti di vista dai quali non si allontanò mai più: la rivoluzione degli spiriti è già scoppiata e nessuna forza umana potrà arrestarne il corso fatale; troppi gli abusi dell'assolutismo e degli ordini privilegiati, nobiltà e clero; corroso l'organismo dello stato; insopportabile l'ingiustizia sociale e l'ineguaglianza civile; tutto da riformare nella funzione stessa della monarchia. Eletto a Marsiglia e ad Aix, optò per Aix, e il 5 maggio '89 era presente all'apertura degli stati generali. Assolutamente solitario tra i 1145 membri di quella che fu subito dopo l'Assemblea Nazionale Costituente, M. era sicuramente il solo che avesse un programma. Egli vi aveva più volte accennato, e apertamente, in una nota per il ministro Montmorin, dell'aprile 1788, aveva sostenuto la tesi nuovissima che solo una costituzione avrebbe potuto salvare la Francia. Fermo nella convinzione che la Francia è "geograficamente monarchica", M. parte dalla constatazione che il movimento intellettuale del secolo e il grado di maturità economica e spirituale della borghesia hanno determinato quella esplosione di sentimenti, di rancori, di desiderî incomposti che è veramente rivoluzione, e arriva a una prima conclusione che la rivoluzione è inarrestabile. Osserva poi che non è nell'interesse della monarchia e del paese conservare i privilegi della nobiltà e del clero, ma è necessario che - affermata l'eguaglianza civile - il re sia finalmente "il re di tutti i Francesi". La monarchia deve mettersi alla testa della rivoluzione, e nulla deve tentare contro l'assemblea fino a quando essa non si sia consumata in sé stessa; Necker, ragioniere ma non uomo di stato, deve lasciare il potere; i più vicini al re e alla regina sono soltanto dei cortigiani; lo stesso La Fayette non è che un personaggio rumoroso, arido e senza convinzioni... La sola speranza possibile è in una manovra abile e tenace che tenga conto delle esigenze dell'assemblea e della capitale, preda di demagoghi irresponsabili, ma scopra il meno possibile il re, perché solo attraverso codesta manovra la monarchia apparirà l'unica grande forza di conservazione nella generale follia. Di tale manovra egli vuole essere l'artefice. Oratore di straordinaria potenza, instancabile, mutevole di spiriti e di forme, sa di esercitare sull'assemblea e sulla folla un fascino irresistibile, e sa che con progressivi adattamenti il programma centrale potrà essere salvato se gli si lascerà tutta l'occasionale libertà di decisione. Ma occorre soprattutto l'adesione del re e della regina, specialmente dopo la presa della Bastiglia e le giornate ammonitrici del 5 e 6 ottobre '89. I suoi discorsi, e specialmente quello del 26 settembre '89, suonano a raccolta. Il conte di La Mark e l'ambasciatore d'Austria Mercy, dopo laboriosi tentativi, riescirono a mettere in rapporto M. e la corte. M. s'impegnò il 10 maggio '90 a servire il re e il paese, con parole di alta dignità, ma volle per sé la più ampia libertà di condotta dentro e fuori dell'assemblea. Il re, per assicurare al suo nuovo ministro segreto la necessaria indipendenza economica, gli pagò i debiti e gli assegnò seimila lire al mese più un milione che gli sarebbe stato pagato alla fine della Costituente, se egli avesse mantenuto gl'impegni assunti. M. continuò quindi a battersi su due frontiere, contro l'assolutismo e contro l'anarchia, ora sostenendo i diritti dell'assemblea ora quelli del re, ora indulgendo alla popolarità ora sprezzandola, e in cinquanta note segrete (che costituiscono, anche, un mirabile trattato di scienza politica) egli consigliò al re di attuare una sorta di controrivoluzione, incominciando col ritirarsi in una provincia fedele, ben guardato da truppe scelte, e lasciando che Parigi si arrovellasse in torbidi ed eccessi quotidiani. Se non che, la corte diffidava ed esitava, mentre i circoli parigini, specialmente il club dei giacobini, di cui faceva parte M., tenevano in realtà prigioniera l'assemblea, irresoluta e sbandata. Il compito quindi assuntosi da M. apparve in tutta la sua magnanima temerità anche a uomini come La Mark e Mercy. I suoi ultimi discorsi alla Costituente e quello, grandissimo, del 28 febbraio 1791, al club dei giacobini, testimoniano della disperata difesa da lui tentata contro la follia rivoluzionaria che minacciava di travolgere monarchia e paese nello stesso abisso. Colpito a morte da una congerie di mali diversi e irrimediabili, M. si spense a 42 anni il 2 aprile 1791.
Bibl.: E. Dumont, Souvenirs sur M., Bruxelles 1832; L. De Montigny, Mémoires biographiques, littéraires et politiques de M., Parigi 1834-35, voll. 8; J. Seligmann, M. devant le Parlement d'Aix, Parigi 1884; R. Stourm, Les finances de l'ancien régime et de la Revolution, ivi 1885; L. e Ch. De Lomenie, Les M. Nouvelles études sur la société franç. au XVIIIe siècle, ivi 1889-91, voll. 5; A. Stern, La vie de M. (trad. dal tedesco), ivi 1895-96, voll. 2; P. Cottin, Sophie de Monnier et M., ivi 1903; F. A. Aulard, Les orateurs de la Révolution. L'Assemblée Constit., ivi 1905; L. Barthou, M., ivi 1913; R. Caggese, M., Bologna 1925; D. Meunier, Autour de M., Parigi 1926.